I pesci del Principe
Pescare nel Verbano è un’esperienza che riporta indietro nel tempo. Perché è un’attività antichissima, quanto i primi insediamenti umani sul lago. Ma anche perché per farlo è necessario, in alcuni punti, pagare un «balzello» di origine feudale. Pochi lo sanno, in Svizzera e anche in Italia: ma i Principi Borromeo esercitano ancora - e riscuotono - i diritti di pesca in buona parte del Lago Maggiore. Diritti che risalgono al 1400, e sono arrivati fino al terzo millennio non si sa se per inerzia o distrazione dell’apparato burocratico-statale della vicina Penisola. Fatto sta che, nel 2022, per buttare la lenza nella parte italiana del lago i pescatori dilettanti - ha ricordato di recente il Corriere della Sera - devono pagare 50 euro all’anno al nobile casato, i professionisti 3.500. Non proprio bruscolini.
Possibile? Possibile. Da Brissago in giù, il 50 per cento delle acque sono possedimento della famiglia a cui sono appartenuti il famoso San Carlo (il «Carlone» della statua sopra Arona), il manzoniano Federigo e più di recente la contessa Lavinia (moglie di John Elkann) e il principe Vitaliano Borromeo. Quest’ultimo in particolare è per discendenza diretta il titolare della concessione che, attraverso una convenzione con la Federazione italiana di pesca (Fipsas), frutta circa 76 mila euro all’anno tra i contributi dei pescatori professionisti e dei dilettanti. Tra questi ci sono anche diversi ticinesi - locarnesi soprattutto - che ogni anno nella stagione invernale si trasferiscono sulle sponde delle Isole Borromee (Bella, Madre, Pescatori: tutte di proprietà della famiglia) per la pesca della trota. Il principe Vitaliano, 62 anni, milanese, in base ad accordi con lo Stato italiano dovrebbe utilizzare in parte gli incassi per attività di ripopolamento ittico e manutenzione delle rive del lago: ma ai pescatori e le associazioni ambientaliste non risulta che ciò avvenga. Parlano di «un’anomalia», di «tassa anacronistica».
Il nervosismo risale la corrente fino al confine svizzero: il bacino elvetico del Lago Maggiore è esente dal tributo borromeo, che arriva fino a Cannobio in forza dei citati diritti concessi intorno alla metà del 1400 dall’allora duca di Milano Filippo Maria Visconti a Vitaliano I Borromeo - antenato e omonimo del principe attuale - assieme alla proprietà dei feudi del Vergante, di Arona, Lesa e appunto Cannobio.
Privilegi e contenziosi vecchi di seicento anni, ma che a ben vedere non sono così rari. I diritti di pesca hanno origine nell’Alto Medioevo e il sistema è rimasto più o meno immutato fino a oggi anche se i vincoli sono stati un po’ ovunque (tranne che nel Verbano) frazionati tra diverse famiglie nobiliari o donati alla Chiesa e da questa ai Comuni o allo Stato. Piccole riserve o usi civici a favore di comunità locali esistono anche sul Ceresio. Nel 1800 il regime napoleonico decretò che l’utilizzo delle acque del golfo di Lugano (da capo San Martino a Villa Favorita grossomodo) fossero ad uso esclusivo della Città e dei suoi pescatori dilettanti e senza reti. Un diritto nato a favore dei cittadini meno abbienti che, confermano dall’Ufficio caccia e pesca, vale ancora oggi ma non frutta alcun provento alla Città: qui come nel resto delle acque ticinesi per pescare è necessario munirsi soltanto della patente cantonale. Anche il laghetto di Origlio è di proprietà comunale, ma è concesso in gestione alla società di pesca Ceresiana che incassa i proventi della pesca dilettantistica. «Si tratta di eccezionali retaggi di un sistema diffusissimo anche da noi fino a due secoli fa» spiega il pescatore e giornalista Raimondo Locatelli, autore di un importante volume sull’argomento (La pesca nel Cantone Ticino, ed. Dadò, 1997). «Nel corso del 1800 e 1900 il Cantone ha sostanzialmente annullato questi privilegi con diverse leggi, con pochissime eccezioni». Nel golfo di Porlezza invece esiste ancora oggi una «bandita», ossia una porzione di acqua di proprietà privata, con un’estensione di circa 200 metri quadri. Appartiene a un’antica famiglia notabile del posto (i Resca) e la pesca è proibita a chiunque altro. Oggi come nell’Alto Medioevo.