Il reportage

In un «gay tour» a Lugano si scoprono tante cose

In città cresce il turismo arcobaleno – Ma i luoghi di ritrovo Lgbtqi+ spariscono – Abbiamo fatto un giro con una guida per capire perché
©Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
08.06.2025 06:00

Il custode della chiesa è chiaramente contrariato. Intima il silenzio («sssssst») e scuote la testa. «Non ho niente contro i tour gay» dice. «Ho qualcosa contro i tour in generale. Fosse per me, li vieterei tutti».  La chiesa di S. Maria degli Angioli è tappa fissa del turismo in centro a Lugano e c’è solo il custode a ricordare alle frotte di visitatori che, almeno in teoria, è ancora un luogo di preghiera.  «Oggi sono già passati ventidue gruppi - conta -. Me ne aspetto almeno altri sette o otto prima della chiusura».

C’è una guida però che a differenza delle altre non osa entrare: aspetta in disparte, fuori dalla porta. Indossa una borsa a tracolla arcobaleno. «Di solito mi accontento di fare la spiegazione all’esterno della chiesa - dice - non voglio creare polemiche».

Ce ne sono già state abbastanza. L’ultima volta che un gruppo Lgbtqi+ ha provato a entrare in una chiesa a Lugano non è andata benissimo: la veglia organizzata alla Basilica del Sacro Cuore il 21 maggio è stata annullata tra le polemiche. Alla fine l’evento si è tenuto alla chiesa Evangelica Riformata di viale Cattaneo.

Matteo, 40 anni, cresciuto a Lugano, si muove con i piedi di piombo. Senza fare scalpore. Da alcuni mesi organizza quello che probabilmente è il primo gay-tour di Lugano, un’esperienza che come guida turistica ha già proposto in passato a Zurigo e Basilea (anche durante l’Eurovision). A un certo punto si è chiesto: perché non provare in Ticino?

Leonardo e San Carlo

Il giro comincia dall’affresco di Bernardino Luini: da una cartella di fotografie Matteo estrae l’immagine di un dettaglio, il ritratto di Leonardo Da Vinci su un asino. «Leonardo dovette lasciare Firenze perché accusato di sodomia» spiega la guida. «Trovò rifugio a Milano, dove nessuno conosceva i suoi ‘‘peccati’’».

Il rapporto tra mondo cattolico e omosessualità è uno dei fil rouge del tour: incuriosisce in particolar modo i turisti anglosassoni e del nord Europa, che costituiscono «la maggioranza della clientela interessata a questo tipo d’offerta» spiega Matteo. «Parliamo di un rapporto conflittuale, fatto di rimozione e persecuzione. È sicuramente un aspetto che attira».

La «rimozione» trapela anche dal fatto che non esistono, in effetti, veri e propri monumenti legati alla storia Lgbtqi+ a Lugano. Matteo deve avventurarsi in acrobazie concettuali. «Fare un tour del genere a Zurigo è molto più semplice. Qui mancano luoghi legati all’identità gay, c’è una grande assenza».

La tappa successiva in via Nassa è l’istituto scolastico intitolato proprio al genio fiorentino, già sede della Curia Vescovile. Mentre cammina, Matteo mostra ai turisti una mappa della Svizzera con i risultati della votazione sulle unioni domestiche (5 giugno 2005): il «sì» passò con il 55 per cento nonostante l’opposizione di molti cantoni cattolici (Ticino compreso). «Ci sono voluti altri sedici anni perché il popolo svizzero approvasse il matrimonio per tutti» dice estraendo una seconda mappa, con la votazione del 26 settembre 2021. «Anche in questo caso il Ticino è stato uno dei cantoni con la percentuale più bassa».

Tra serio e faceto

È il culmine di un percorso fatto di tappe anche dolorose, che il tour ripercorre risalendo via Nassa: dalla chiesa di San Carlo Borromeo, padre del «seminario per soli uomini» (qui Matteo ricorda una discussa uscita di papa Francesco sui seminaristi) alle architetture fasciste in contrada di Sassello, ricordo di un Mussolini esule in Ticino come operaio nei cantieri stradali. «A lui si dovette in seguito la persecuzione degli omosessuali in Italia» ricorda Matteo. «Anche dopo la fine della guerra, quelli che scamparono ai campi di concentramento rimasero a lungo in prigione, perché l’omosessualità continuò a essere ritenuta reato».

Matteo è un uomo gioviale e simpatico. Gli piace intrattenere i turisti con il tipico «gay humour», alternando racconti sulla lotta svizzera - «il nostro sport nazionale è molto mascolino» - e immagini di alpigiani con vistosi orecchini, che in altre latitudini sarebbero scambiati per distintivi Lgbtqi+. Nel porticato di Palazzo Civico si sofferma davanti alla statua di Spartaco di Vicenzo Vela: lo schiavo romano è un simbolo della comunità omosessuale («rappresenta la rivolta») e ha dato il nome a una famosa enciclopedia delle città gay (Spartacus) in cui Lugano naturalmente non è nominata.

«La domanda non manca»

Uscendo in piazza Riforma il tono torna però serio. Tre turisti svedesi, anch’essi appartenenti alla comunità Lgbtqi+, ascoltano con attenzione la spiegazione di come venivano annunciate le condanne a morte dal Palazzo Pretorio, ora Banca Stato. E di come agli omosessuali in Svizzera fosse riservata la morte per annegamento (l’ultima a Ginevra nel 1566, un 15.enne italiano). Sono venuti a Lugano per tutt’altri motivi - shopping, a giudicare dai borsoni - ma il fatto di essersi imbattuti in una lezione sulla storia più o meno «friendly» della città non sembra infastidirli. «Non avevamo fatto questa associazione - ammettono -. È decisamente interessante».

Il turismo gay a Lugano esiste di fatto e muove già diversi milioni. Secondo le statistiche il settore è in crescita, paradossalmente proprio nel momento in cui i luoghi storici associati alla comunità Lgbtqi+ non se la passano bene. In città l’ultimo a chiudere i battenti è stato il bar Madalena di via Balestra, a maggio 2023: aveva aperto meno di un anno prima. «La risposta era buona soprattutto nelle serate di drag queen» spiega Mahdi El Gouri del collettivo Q-Haus, che gestiva il locale. L’artista - che continua a proporre eventi queer itineranti - dà la colpa della mancanza di spazi «non alla mancanza di interesse che è invece è forte e nemmeno all’omofobia» ma a quella che definisce «una sorta di discrezione patologica molto diffusa in Ticino».

Una ventina di locali, chiusi

L’unico locale gay ancora aperto sul Ceresio è la sauna Gothic di Massagno - «l’unico tra Milano e Lucerna» - che resiste dal 1996. È frequentato «soprattutto da turisti provenienti dall’Italia ma anche dalla Svizzera interna» spiega il titolare Patrick Perret-Gentil. L’attività però ha registrato un «calo significativo dell’utenza» con il rafforzamento del franco dopo il 2012, e ancor di più negli ultimi anni. «Lugano di per sé è una piccola città e non ha la massa critica per mantenere dei locali riservati a una minoranza» osserva Perret-Gentil.

La lista delle serrande aperte e chiuse è lunga. Una ventina di locali, dagli anni ’70 a oggi. La Serenella di Besso, La Venere Imperiale di Viganello, Spatio Gay a Massagno, il Nautilus in centro sono alcuni dei nomi «storici». Nei primi anni Duemila è stato il turno del D.Loft a Loreto. Secondo Federico De Angelis dell’associazione Imbarco Immediato (che organizza aperitivi itineranti e due feste estive, a Carona e al grotto del Ceneri) le difficoltà sono figlie dei tempi. «Con l’avvento dei social network la comunità sente meno l’esigenza di luoghi di ritrovo specifici. Da un lato è un peccato, dall’altro un’evoluzione naturale della società».

Non è colpa dell’omobitransfobia, insomma, se l’offerta di intrattenimento Lgbtqi+ sul Ceresio si è ridotta a tracce evanescenti, come gli adesivi dell’ormai lontano Pride del 2018 - primo e ultimo - che ormai sono scomparsi dalle vetrine del centro. Anche al Gran Caffè al Porto, che per l’occasione sfornò dei pasticcini a forma di cuore, il logo di locale «gay friendly» è stato rimosso («non perché fosse un problema, ma per prassi» spiega il personale). Ora alla guida turistica non resta che ricordare l’incontro segreto del 3 marzo 1945, a cui partecipò anche il futuro direttore della CIA Allen Dulles, grande persecutore di omosessuali e campione del maccartismo durante la Guerra Fredda. «Le connessioni si trovano sempre - sorride Matteo -. Basta volerle cercare».

Il tour della Lugano «omobitransfobica»

In assenza di meglio, il tour della «Lugano gay» rischia di assomigliare a un tour dell’omofobia, e la guida ne è consapevole. Si inoltra nel parco Ciani e passa oltre la statua di Socrate - altro genio colpevole di «amor greco» - dirigendosi verso la Chiesa Evangelica che da ultima è diventata, in modo un po’ rocambolesco, il simbolo di questa idiosincrasia. «In Ticino c’è ancora una certa resistenza culturale e la vicenda della veglia contro l’omobitransfobia lo dimostra» dice Matteo. Anche lui ha partecipato alla preghiera, concludendo il tour con un gruppo di cinque persone proprio in viale Cattaneo il 21 maggio. Da allora, la Chiesa Evangelica è diventata una tappa obbligata.

Matteo si professa credente - «a modo mio» - ed è rimasto sconvolto dalle reazioni in rete e dai commenti negativi che hanno accompagnato l’evento. Parte della sua discrezione nasce proprio da lì. «C’è una parte della popolazione che ancora non ha digerito il cambiamento». Il tour non è pensato per loro: ma se dovessero presentarsi, assicura Matteo, sarebbero i benvenuti.

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