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Quando le vittime sono giornali e tv

Il falso bombardamento israeliano dell'ospedale di Gaza rilancia il dibattito sulla disinformazione in tempi di guerra – I pareri di Gabriele Balbi e Colin Porlezza
L'ospedale al-Ahli di Gaza, dato per distrutto ma ancora intatto.
Andrea Stern
Andrea Stern
22.10.2023 10:30

Martedì sera i media di tutto il mondo hanno rilanciato la notizia diffusa da Ashraf Al-Qudra - ministro della salute palestinese e membro di Hamas - secondo cui un raid aereo israeliano aveva colpito l’ospedale al-Alhi di Gaza, causando la morte di almeno 500 persone, forse più di mille. Nel giro di poche ore l’indignazione si è riversata nelle piazze, i manifestanti hanno preso di mira alcune sedi diplomatiche di Israele, Stati Uniti, Regno Unito e Francia, alcuni facinorosi hanno tentato di fare irruzione in una base NATO in Turchia, i leader arabi hanno cancellato il previsto vertice con il presidente USA Joe Biden e il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha proclamato tre giorni di lutto nazionale.

Un pandemonio. Per una notizia poi rivelatasi clamorosamente inesatta. Nelle ore seguenti si è infatti scoperto che a essere colpito non era stato l’ospedale bensì un vicino posteggio, non da parte dell’aviazione israeliana bensì da un razzo palestinese e che i morti non erano parecchie centinaia bensì «forse tra 10 e 50». Un terribile incidente ma non la «strage» annunciata persino dai media considerati più autorevoli, come il New York Times o la BBC.

Le «fake news» nella Grande guerra

«Non è una novità che in guerra vengano diffuse delle false notizie – spiega Gabriele Balbi, professore all’Istituto di media e giornalismo dell’Università della Svizzera italiana -. Durante la Prima guerra mondiale in trincea si dava per scontato che tutto fosse vero tranne quello le autorità lasciavano pubblicare sui giornali. Era opinione comune che i giornali dessero solo notizie false e che la verità venisse occultata».

Ma l’origine delle «fake news» è ancora più antica. «La guerra e la disinformazione sono sempre andate a braccetto - ricorda Balbi -. Il primo falso fotografico documentato risale già al 1855, quando durante la guerra di Crimea il fotografo Roger Fenton mise delle palle di cannone dove non c’erano, per rendere l’immagine più impressionante».

Risale invece al 1921, dopo la Grande guerra, il libro sulle notizie false scritto dallo storico Marc Bloch, che esponeva riflessioni ancora oggi perfettamente attuali. «Già allora – prosegue Balbi – si diceva che una delle cause della diffusione di notizie false fosse l’eccessiva velocità con cui lavoravano i media. Figuriamoci adesso. Inoltre, Bloch evidenziava che le notizie false non nascevano dal nulla, bensì da rappresentazioni collettive preesistenti. Le notizie false sono lo specchio in cui la coscienza collettiva ritrova i suoi lineamenti».

False ma credibili

Nel caso del falso bombardamento dell’ospedale di Gaza, è come se l’opinione pubblica si attendesse che dovesse accadere e quindi ci ha subito creduto. «Esatto – riprende Balbi –, è come se ci fosse nella coscienza l’ipotesi che un ospedale potesse essere distrutto. Non era uno scenario così inverosimile. Le notizie false non sono così distanti da quella che potrebbe essere la realtà».

Altrimenti non ci crederebbe davvero nessuno. «È importante sottolineare che la disinformazione può avere un carattere distruttivo, per creare confusione – afferma Balbi – ma in certi casi può anche avere un carattere costruttivo, non nel senso che sia positiva ma che propone una verità alternativa. Mescolata alla propaganda, può servire a compattare i soldati e a rafforzare il fronte interno, per esempio facendo credere che la controffensiva ucraina stia andando bene. Oppure può avere l’obiettivo di demoralizzare il nemico, per esempio continuando a minacciare di voler entrare a Gaza».

La disinformazione è un’arma di guerra. Contro la quale non esistono difese inespugnabili. «È fondamentale che i media esercitino estrema cautela nel riportare notizie di guerra – sostiene Colin Porlezza, professore all’USI e direttore dell’Osservatorio europeo di giornalismo – . Ciò significa anche non precipitarsi a riportare informazioni non verificate, mantenere una copertura fattuale ed evitare titoli sensazionalistici. Il giornalismo ha una grande responsabilità e deve essere sicuro al 100% di quello che pubblica, altrimenti può provocare delle reazioni violente che comportano dei danni reali».

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