Lavoro

Tra le serre: «I nostri salari vanno bene»

La cooperativa degli agricoltori TIOR difende le paghe dei braccianti: «Non sfruttiamo nessuno»
©Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
25.06.2023 12:00

Marco Bassi è indispettito. Per usare un eufemismo. «Certe notizie ti rovinano la giornata» dice armeggiando con il telefonino sulla scrivania con vista sui campi coltivati. Odia anche il telefonino - «non fosse per il lavoro me ne sbarazzerei» - ma il motivo del nervoso è un altro.

Le condizioni di lavoro in un’azienda del Piano di Magadino, raccontate da La Domenica con un reportage ‘‘in incognito’’ settimana scorsa, gli hanno ricordato quelle dell’orticoltura da lui fondata nel 1986. Un centinaio di dipendenti, serre sparse tra Giubiasco, Sant’Antonino e Cadenazzo, è la più grande sul Piano di Magadino. Stessi contratti, stessi salari (3385 franchi al mese, 50 ore a settimana) descritti nell’articolo. L’unica differenza - Bassi ci tiene a precisarlo - è nell’uso del verderame: «Assolutamente non lo utilizziamo, solo prodotti biologici».

Così fan tutti

Per il resto niente di strano: turni da dieci ore al giorno, temperature sopra i 30 gradi (60 in serra ad agosto), e stipendi irremovibili dal minimo legale nonostante le spinte inflazionistiche. «D’altra parte potrebbe valere per qualsiasi azienda del nostro territorio. Fanno tutti così» spiega il 58enne, che sette anni fa ha ceduto l’orticoltura omonima al figlio Christian e ora dirige il consorzio Tior di Cadenazzo. La cooperativa, di proprietà della Federazione ortofrutticola ticinese (FOFT), distribuisce il raccolto di 36 soci-produttori sparsi da Stabio a Quartino.

Il via vai nel magazzino è continuo. Sotto l’ufficio di Bassi si caricano dodici camion al giorno diretti soprattutto in Svizzera interna: 14mila tonnellate l’anno, 8mila di pomodori. Una telefonata interrompe lo sfogo del direttore - «non è uno sfogo mio, parlo a nome della categoria» - per organizzare una consegna last-minute di 23 tonnellate di patate. «Ist guet, ta riciami» la sbriga Bassi in dialetto e perfetto ‘‘schwizerdütsch’’. Il camion partirà per Berna la notte stessa. «Per fortuna gli ordini da un giorno con l’altro non sono la norma» sospira.

Tutto in regola

Poi torna ai salari. «Sono stabiliti dal contratto normale dell’agricoltura, non abbiamo niente da nascondere. Personalmente li ritengo dei bellissimi salari, confrontati con il resto della Svizzera e d’Europa» attacca. «Senza andare lontano, oltre confine gli stessi prodotti vengono raccolti con un terzo della spesa per il personale». È la concorrenza europea (e non solo) a spingere in basso le retribuzioni dei braccianti ticinesi che poi - Bassi lo ribadisce - ticinesi non sono ma nordafricani, est-europei, italiani, portoghesi. «Per queste persone le paghe offerte dalle nostre aziende non sono affatto da fame, ma permettono a molti un tenore di vita nel paese d’origine che diversamente non si sognerebbero». Come prova il direttore custodisce nel telefonino la foto di una «villa» costruita da un ex dipendente in Portogallo, e si offre di mostrarla. «Sono andato a vederla.Ecco cosa diamo ai nostri dipendenti: una vita migliore. Altro che sfruttatori».

«Aumenti impossibili»

Che le paghe non siano sufficienti a vivere in Ticino, è un’obiezione a cui la FOFT è abituata. «Ogni anno i sindacati insistono su questo punto, e ogni volta noi ripetiamo le stesse cose». Bassi controbatte con carta e penna. Fa una sottrazione a mano partendo da 3.385 franchi: tolto l’affitto (500 franchi), le tasse (500 a spanne) fanno 2.300. «Togliamo anche le spese e la cassa malati, rimane comunque un risparmio netto di tutto rispetto» conclude. E non c’è inflazione che tenga. «Di aumenti salariali è difficile parlare dal momento che la pressione del mercato è enorme».

Il problema che pone Bassi è difficile da contestare. Per non aumentare la dipendenza alimentare dall’estero («durante la pandemia eravamo gli eroi nazionali» ricorda) la Svizzera ha bisogno di una produzione di qualità e monitorata come quella del Piano di Magadino. Un franco in più per Kg di pomodori permetterebbe di alzare le paghe a 4mila franchi al mese: «Personalmente ne sarei contento, ma la grande distribuzione si rivolgerebbe immediatamente a fornitori stranieri» avverte il direttore della FOFT. «E non avremmo risolto il problema». Che non è salariale ma generazionale, secondo Bassi. «Ci sono anziani in pensione che continuano ad andare in serra per il piacere di stare nella natura. I giovani ticinesi oggi preferiscono lavori d’ufficio, lunedì-venerdì, per poi magari finire in burnout».

Per sbollire il nervoso il direttore deve scendere al pianterreno del magazzino, dove confluiscono a vagonate ortaggi da tutto il Piano. Le cataste arrivano fino al soffitto. Tra i pomodori perfetti - «la nostra è un’eccellenza» - Bassi sembra ritrovare un po’ di pace. Li accarezza quasi con amore. «Il nostro lavoro è bello. È questo che la gente fatica a capire».

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