Politica

Una iniziativa per le vittime

«La legge non va, chi commette violenza stia lontano da casa per almeno un mese»
Giorgia Cimma Sommaruga
Andrea Stern
22.05.2022 10:00

Chi picchia la moglie o la compagna, chi commette violenza in famiglia, deve essere subito allontanato e tenuto alla larga dall’abitazione. E non solo dieci giorni, come prevede la legge attuale, ma minimo un mese. Un po’ come accade in altri cantoni, dove le norme per proteggere le vittime sono più rigide. Lo si chiede una iniziativa parlamentale «trasversale». Prima firmataria Roberta Soldati, grancosigliera UDC e avvocato, sostenuta da Maristella Polli (PLR), Maddalena Ermotti-Lepori (PPD), Massimiliano Ay (PC), Lelia Guscio (Lega), Marco Noi (Verdi).

Cosa dice la proposta? Dice che non va l’articolo della legge di polizia attuale «sul divieto di rientro in ambito di violenza domestica», quello che «prevede che l’ufficiale di polizia possa decidere l’allontanamento per 10 giorni di una persona dall’abitazione comune e dalle sue immediate vicinanze, come pure vietarle l’accesso a determinati locali e luoghi se rappresenta un serio pericolo per l’integrità fisica, psichica o sessuale, di altre persone facenti parte della stessa economia domestica». Perché quanto prevede la norma per Soldati e il gruppo di deputati che hanno firmato l’iniziativa non basta. D’altronde nel dossier pubblicato in aprile dall’Ufficio federale per l’Uguaglianza (UFU),una percentuale irrisoria delle vittime (solo il 10-20%) denuncia il reato. E dunque per aiutare davvero la vittima occorre che abbia «tempo per elaborare una consapevolezza e denunciare il proprio carnefice. Questo è un passo difficile, poiché la violenza si sviluppa nel tempo ed è graduale e costituita da reiterate azioni fisiche, psicologiche, sessuali e coercizione economica. Un termine di allontanamento dal domicilio dell’autore del reato di soli 10 giorni non costituisce certamente un periodo sufficiente per permettere alla vittima di violenza domestica di elaborare la situazione».

«La campagna di prevenzione desta grosse perplessità e può risultare offensiva»

Dopo le drammatiche testimonianze a La Domenica di due vittime di violenza domestica, e l’iniziativa della petizione a favore dell’introduzione del Codice Rosso - una legge a tutela delle vittime di violenza domestica - si susseguono le proposte politiche.

L’iniziativa parlamentare presentata da Soldati, cita poi come esempio virtuoso a sostegno della richiesta quello del Canton Vaud, che ha esteso il periodo di allontanamento da 14 a 30 giorni imponendo a chi usa violenza un colloquio socio-educativo; quello Canton Ginevra, da 10 a 30 giorni; quello del Canton Neuchâtel, da 10 a 30 giorni; e quello del Canton Berna, 20 giorni. Ora si chiede a gran voce, a maggiore tutela delle vittime, che «anche il Ticino modifichi la propria legislazione in questo senso». L’iniziativa chiede al «Consiglio di Stato di modificare l’art. 9a cpv. 1 LPol - quindi - estendere i giorni di allontanamento dell’autore di violenza domestica e obbligarlo ad un colloquio socio-educativo, così come previsto in altri Cantoni».

Ma l’iniziativa portata avanti in Ticino non è l’unica. Anche a Berna si lavora su questo fronte. Secondo la mozione presentata dalla consigliera agli Stati, Marina Carobbio (PS), le vittime di violenza sessuale, domestica e di genere, dovrebbero contare su centri di crisi cantonali che garantiscono assistenza medica e psicologica adeguata e immediata.

Due atti simili alla mozione della consigliera agli stati ticinese, sono stati inoltrati da Tamara Funiciello (PS/BE), e Jaqueline de Quattro (PLR/VD). Questi centri, oltre a garantire una prima assistenza, dovranno produrre la documentazione e il rilevamento delle tracce da parte di un medico legale, senza però imporre l’obbligo di sporgere denuncia. L’obiettivo resta migliorare l’aiuto alle vittime e facilitare le indagini per perseguire penalmente chi commette violenza. Il Consiglio federale si dice pronto ad accogliere la «Mozione Carobbio».

Il discutibile Ken

In un’immagine si vede un uomo somigliante a Ken che affoga in una vasca da bagno una donna simile alla Barbie. In un’altra, «Ken» che si avventa sulla «Barbie» con una pentola. In altre immagini le tira i capelli, la placca da dietro sul letto, picchia i bambini. Scene che «destano grosse perplessità sulla loro adeguatezza e possono risultare fortemente offensive per persone che hanno già subito simili forme di violenza», sostiene la consigliera nazionale Greta Gysin (Verdi).

Eppure è con queste discutibili immagini che la Prevenzione svizzera della criminalità (PSC) cerca di prevenire la violenza domestica. «Il Consiglio federale ritiene opportuno - chiede Gysin in un’interpellanza - continuare a diffondere materiale informativo ufficiale con immagini estremamente violente di situazioni di violenza domestica rappresentate con bambole e giocattoli simili a una nota linea commerciale, già spesso accusata di sessismo?».

La parlamentare ticinese ricorda che le varie convenzioni sottoscritte dalla Svizzera conferiscono agli enti pubblici «responsabilità sostanziali per il superamento degli stereotipi e l’eliminazione dei contenuti sessisti». Ci vuole accortezza. A maggior ragione se si è un servizio intercantonale specializzato nella prevenzione della criminalità, quale la PSC.

«Urlate forte»

Un servizio che, agli occhi di Gysin, ha prodotto altre campagna discutibili.La consigliera nazionale cita ad esempio i consigli per proteggersi dalla violenza sessuale. «Urlate forte, mordete l’aggressore, cercate di divincolarvi, lottate, tirate calci e pugni», suggerisce laPSCa chi dovesse essere suo malgrado vittima di un’aggressione a sfondo sessuale.

Consigli poco opportuni, secondo la consigliera nazionale, «viste le decennali conoscenze scientifiche tratte dalla neurobiologia, psicologia e criminologia sulla diffusione di reazioni quali il ‘freezing’ e sulle implicazioni emotive e psicologiche delle aggressioni sessuali nonché gli impegni sanciti dalle normative federali e internazionali sulla prevenzione della vittimizzazione secondaria».

Gysin chiede quindi se questi contenuti siano stati «analizzati e verificati da figure professionali esperte di questi ambiti e delle dimensioni psicosociali della violenza, specificatamente della violenza di genere».

Tre milioni l’anno

Ma il Consiglio federale nonè in grado di dire se i contenuti siano stati verificati da esperti, come ammette lui stesso nella risposta fornita in settimana a Greta Gysin. La PSC è un servizio intercantonale gestito da una commissione permanente della Conferenza delle direttrici e dei direttori dei dipartimenti cantonali di giustizia e polizia. «Non rientra nelle competenze del Consiglio federale rispondere alle domande dell’interpellante riguardanti la PSC» precisa il governo.

Tuttavia il Consiglio federale ricorda che «dal gennaio del 2021, la Confederazione mette a disposizione ogni anno aiuti finanziari pari a tre milioni di franchi per sostenere progetti di prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica e organizzazioni attive in questo campo».

Inoltre per giugno è prevista l’adozione di un nuovo piano d’azione nazionale per l’attuazione della Convenzione di Istanbul»

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