La frutta del Peppino e i «Kiwi»
Da ragazzo avevo un vicino di casa (il Peppino) proprietario di un piccolo frutteto che curava in maniera maniacale e gelosa. Tanto da circondarlo con un’ampia recinzione sulla quale campeggiavano i cartelli «Vietato entrare», «Alberi trattati con veleno», «Pericolo di morte». Insomma, per i ragazzi del paese, un invito a provare a entrarci. E così accadde: una notte scavalcammo la rete, mangiammo bel po’ di frutta lasciando i torsoli in fila sullo zerbino. La sua reazione fu furibonda: si rivolse a tutte e autorità del villaggio, innalzò la recinzione dotandola (una novità per l’epoca) di un sistema di fari che si accendevano nel caso qualcuno avesse cercato di violare il suo spazio. Cosa che puntualmente accadde un paio di sere dopo, quando facemmo un’altra razzia lasciando un numero ancora più cospicuo di torsoli sul suo uscio. Di fronte a quell’ennesimo affronto il Peppino decise che era meglio lasciar perdere: tolse lampade, recinzione alta e minacciosi cartelli e si mise il cuore in pace. E da quel momento nessuno di noi prestò più attenzione al suo campo e ai suoi frutti. Questa bravata adolescenziale mi è tornata alla mente la scorsa settimana leggendo dell’introduzione in Nuova Zelanda di una severissima legge per combattere il fumo: in pratica dal primo gennaio sarà vietata la vendita di tabacco ai nati dopo il 2008. Non si tratta un limite di età ma un autentico e drastico spartiacque anagrafico che vieterà agli attuali dodicenni e alle generazioni successive di comprare legalmente e per tutta la vita le sigarette. Capisco la volontà dei «Kiwi» di combattere con energia rugbistica il tabagismo ma, personalmente, ritengo la mossa un’epica stupidata: se già per una persona adulta proibire qualcosa che di per sé non ha alcunché di illecito o di smaccatamente pericoloso significa stimolare l’interesse nei suoi confronti (vedi quanto accaduto cent’anni fa con il proibizionismo americano che ha provocato danni sociali immensi e favorito lo sviluppo di una criminalità che ancora oggi impera), mi immagino gli effetti di una simile decisione tra i componenti di quella fascia d’età per la quale la provocazione, la trasgressione, la ribellione a ciò che proviene dal mondo degli adulti sono insite nel DNA – che si tratti di violare il frutteto del Peppino di turno o di addentrarsi in ambiti… «fumosi» (da ogni punto di vista) come quello di tabacco e affini. Il risultato sarà probabilmente un aumento dello smercio illegale di «bionde», della coltivazione casalinga e clandestina di tutto ciò che è possibile fumare (e non solo quelle liane con le quali noi da piccoli, per provare l’ebbrezza del fumo, ci intossicavamo) e un aumento di quella microcriminalità da sempre legata a ogni proibito (e dunque, per un ragazzo, affascinante) intrallazzo. Meglio dunque sarebbe evitare ogni misura restrittiva e optare piuttosto su una campagna che evidenzi la sostanziale banalità dell’atto di fumare, il suo non essere «cool» e che nel contempo spieghi ai giovanissimi che oggi – in una società in cui gli adulti sono spesso più irrazionali dei ragazzini - la vera trasgressione potrebbe essere ricercata nella normalità.