Religione

La solitudine dei sacerdoti

Difficoltà personali e reati affliggono la Diocesi di Lugano «Si aiuti i preti a costruire relazioni»
Andrea Stern
Andrea Stern
22.05.2022 06:00

La solitudine logora. L’isolamento aggrava il disagio personale. La mancanza di relazioni sane può portare a svilupparne di malsane. Come quelle che in tempi recenti hanno condotto dietro le sbarre l’ex parroco di Cadro, un ex sacerdote del Locarnese e un altro ex collega delMalcantone. Come la relazione, con l’alcol, che ha rocambolescamente posto fine al sacerdozio in terra ticinese dell’ex parroco di Vacallo.

«Abbiamo tutti bisogno di una realtà affettiva, di amicizie, di un ambiente in cui la nostra umanità possa confrontarsi con quella degli altri ed espandersi - osserva don Willy Volonté, già rettore del Seminario della Diocesi di Lugano -. Lo stesso Gesù Cristo non si è mica piazzato su un monte a impartire ordini. Ha scelto dodici apostoli affinché stessero con lui, in un clima di condivisione e fraternità».

Anche un suicidio

È chiaramente impossibile entrare nel merito delle vicende personali che negli ultimi tempi hanno scosso la Diocesi di Lugano. È però indubbio che il tasso di malessere dei suoi sacerdoti non può passare inosservato. Attualmente in tre si trovano in carcere. Uno è passato brevemente dietro le sbarre a fine 2020 per poi essere scagionato da tutte le accuse. Un altro prete è morto annegato non molto tempo dopo essersi tolto di dosso l’abito talare. Un altro ancora è senza patente e sotto inchiesta a seguito di alcune peripezie ad alta gradazione alcolica.

«Il problema dell’isolamento è uno degli elementi della nostra società in generale - premette Dante Balbo, diacono e psicoterapeuta -. Chiaramente colpisce in maniera più massiccia coloro che per professione, o forse è meglio dire per vocazione, sono alla testa di una comunità in una situazione in cui spesso sono chiamati a correre come matti oppure a vivere in parrocchia senza veri contatti con la parrocchia».

«La soluzione non è il matrimonio»

Altrimenti detto, oggi al centro del paese c’è ancora il campanile, fisicamente, ma non più il prete. La sua funzione è stata in molti casi ridimensionata a quella di semplice dispensatore di servizi religiosi. Conclusa la messa, i fedeli si dileguano nel giro di pochi istanti e il parroco ripiomba nella solitudine fino alla successiva celebrazione eucaristica.

Starebbe forse meglio se fosse sposato? «Se pensata per risolvere dei problemi psichici, l’abolizione del celibato non funzionerebbe - sostiene Balbo -. Al posto di persone con problemi avremmo semplicemente persone sposate con problemi. E ad ogni modo questo è un orientamento che per ora la Chiesa cattolica non vuole approfondire».

Il prete come parte della comunità

La strada per uscire dalla solitudine, secondo Balbo, passa piuttosto dalla formazione.«In seminario si presenta la comunità sul piano ‘mistico’, come il corpo di Cristo, il popolo di Dio. È tutto molto bello. Ma nella pratica come si costruisce una comunità? Ecco, credo che i sacerdoti potrebbero beneficiare di una formazione su come gestire una comunità, costruire delle relazioni, favorire la partecipazione dei laici, non come esecutori delle volontà del parroco ma come corresponsabili della parrocchia».

Perché il prete non è capo della comunità. «Sant’Agostino diceva, per voi sono prete, con voi sono cristiano - ricorda don Emanuele Di Marco, direttore dell’Oratorio di Lugano -. Come Diocesi si sta cercando di favorire una migliore integrazione con i laici, di superare quella divisione tra clero e non clero, di recuperare quella dimensione di comunità in cammino dove il prete è parte della comunità».

Una vita esigente

Allo stesso tempo si sta cercando di favorire la comunione tra sacerdoti, in particolare tra coloro che sono attivi nelle realtà periferiche, nelle piccole parrocchie di valle. Quelli che più di tutti rischiano di soffrire la solitudine.

«È anche importante - riprende don Volonté - che chi decide di diventare sacerdote sia preparato alla vita cui va incontro. In seminario mi è capitato di bloccare il percorso, in accordo con l’équipe formativa, di diversi aspiranti preti. Non erano adatti a questa vocazione. Ho consigliato loro di completare gli studi, di cercarsi un lavoro, una ragazza. La vita del prete è molto esigente. Non basta avere tre lauree. Ci vuole un approccio completo, adulto e consistente con la propria umanità a imitazione dell’umano di Cristo, in modo tale da poter essere una sorgente anche per gli altri».