Nuove frontiere

Ripensare l’essere umano nell’era della tecnologia avanzata

Intervista a Markus Krienke, Professore di filosofia presso la Facoltà di Teologia di Lugano
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Antonio Paolillo
Antonio Paolillo
10.12.2020 09:11

In qualità di professore di Filosofia moderna e di Etica sociale alla Facoltà di Teologia di Lugano, Markus Krienke si impegna per una conciliazione critica tra cristianesimo e modernità attraverso l’attualizzazione del pensiero di Antonio Rosmini, infatti egli è direttore della «Cattedra Antonio Rosmini» della FTL. Krienke è inoltre professore invitato presso la Pontificia Università Laternanense di Roma e la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale a Milano.

A Lugano è socio fondatore dell’Unione cristiana imprenditori ticinesi (UCIT), e membro dell’Osservatore Democratico e della Lepontia Cantonale.

I suoi interessi scientifici riguardano: Pensiero, opera e attualità di Antonio Rosmini; Storia delle idee dell’Ottocento italiana e tedesca; Storia della filosofia moderna e contemporanea; Questioni di mediazione di fede e ragione nella modernità; Etica dei diritti umani; Liberalismo cattolico e liberalismo moderno; Economia sociale di mercato; Storia della Democrazia cristiana in Germania e in Italia; l’Unione Europea; Intelligenza artificiale e Transumanesimo.

Markus Krienke, Facoltà di Teologia di Lugano
Markus Krienke, Facoltà di Teologia di Lugano

Filosofia e nuove tecnologie sembrano essere due pianeti molto lontani tra di loro, eppure molti filosofi si interessano ad esse. Qual è il ponte tra i due mondi?

Sebbene la tecnica è sempre stata in qualche modo un tema della filosofia, è precisamente quando nella modernità smette di essere un mero ‹strumento› dell’agire umano che si intensifica l’urgenza di riflessione filosofica su di essa. Per Heidegger la tecnica moderna è ormai imprescindibile per la comprensione del mondo e dell’uomo: le ‹ultime domande› che una volta erano metafisiche o di natura religiosa, non possono più prescindere dalla tecnica. Gli antropologi all’inizio del ’900 comprendono la natura umana solo in quanto si esprime attraverso la cultura e la tecnica, e certamente sono gli sviluppi più recenti del digitale e dell’intelligenza artificiale che costituiscono la sfida più grande per ogni antropologia: se in qualche modo le macchine hanno ‹intelligenza›, ‹pensano› ed ‹agiscono›, che cosa significa ciò per i concetti filosofici fondamentali dell’essere umano quali ‹dignità›, ‹libertà›, ‹identità›, ‹relazione›, ‹responsabilità›, etc.? Vorrei sottolineare però che questo incontro tra filosofia e tecnica non è di per sé una minaccia per l’uomo, in quanto sempre ha portato ad una maggiore comprensione di che cosa o chi è l’essere umano.

In che modo può cambiare - qualora ritiene che debba farlo - il concetto di umanità con l’avvento dell’IA? Aristotele definiva l’essere umano come ‹animale razionale›, ma, grazie a queste tecnologie, sembra che nel prossimo futuro egli non sarà l’unico nel mondo ad essere dotato di ragione. Dovremo revisionare la definizione aristotelica?

La definizione aristotelica ha subito delle modifiche importanti già con l’avvento del cristianesimo, poi con Kant, Darwin e Freud: queste tre ultime ‹offese› per l’essere umano (cosÌ le ha chiamate Freud) lo hanno spostato sempre di più dalla centralità cosmologica aristotelica e/o cristiana. Ma l’essere umano che deve accettare di non stare più né al centro dell’universo (Copernico/Kant), né

dell’evoluzione (Darwin) e infine neanche di sé stesso (Freud), ha scoperto in cambio la sua soggettività, nonché la sua natura biologica e psichica. Oggi l’antropologia deve affrontare la ‹quarta offesa› che per Luciano Floridi è quella ‹di Turing›: cosa cambia se l’uomo non sta più al centro del sapere, il quale si trova trasformato? In altre parole, l’intelligenza può essere anche ‹artificiale› o silicon-based? Innanzitutto riusciamo a entrare più profondamente nella mente umana: comprendiamo con Minsky innanzi tutto che essa è strutturata come una ‹società›, cioè da molti elementi elementari; inoltre che non esiste un limite principale o ‹metafisico› allo sviluppo di una complessità emergente e quindi ‹autonoma› che non sarà artificialmente prodotta in un domani. Questo costringe la filosofia a una riflessione più precisa circa le caratteristiche di quell’intelligenza carbon-based che caratterizza sin da Aristotele (ma anche da prima) l’‹animale razionale›. Esse saranno da trovarsi nell’individualità personale, nella specificità di emozioni umane, nella consapevolezza della morte e nel senso di trascendenza ad essa connesso. Tutti concetti che fino ad ora la filosofia ha affermato senza più di tanto aprirli, cioè considerarli nella loro portata specifica.

Essendo padre dell’Intelligenza Artificiale, l’uomo, teologicamente parlando, diventa non più solo creatura ma anche creatore, un Homo Deus. Può l’IA cambiare il rapporto tra uomo e religione, uomo e Dio?

Assolutamente sÌ, ed esattamente come ogni rivoluzione sociale ha cambiato il modo in cui la religione e il rapporto tra uomo e Dio sono stati vissuti. Non a caso si parla della ‹seconda grande trasformazione› dopo quella verso la società moderna secondo il termine di Karl Polanyi, oppure della ‹quarta rivoluzione industriale›, per indicare che con l’IA cambia la società e il modo in cui gli esseri umani comprendono sé stessi e le relazioni. Per questo motivo è da aspettarsi che – proprio come tutte le volte che è accaduto in precedenza – l’IA cambi il modo di vivere e comprendere la religione, e la sfida alle religioni sarà non solo quella di esprimere il loro messaggio in modo nuovo, utilizzando a loro favore le possibilità dei mezzi tecnologici, ma anche quella di mantenere vivo nell’uomo il suo senso e desiderio di trascendenza. Perché dico questo? La Weltanschauung – termine caratteristico della filosofia tedesca, impropriamente traducibile in italiano con ‹visione del mondo/concezione del mondo› (ndr) - che vuole impiegare l’IA per la soluzione dei grandi problemi dell’umanità, ‹salvando› l’uomo dalla sua limitatezza e difettosità, dalle malattie e infine dalla mortalità, è il materialismo radicale del transumanesimo che proclama di ‹trascendere›, appunto, l’attuale configurazione biologica dell’uomo in una perfezione tecnologica. Con l’eliminazione della dimensione trascendente – la religiosità – dell’essere umano, lo spirito viene assorbito dalle forme artificiali di una ‹superintelligenza›. Proprio per garantire che l’uomo resti uomo, anche quando l’IA sarà una realtà normale, le religioni hanno la grande responsabilità di coltivare in lui la sua naturale aspirazione alla trascendenza.

Cosa riguardano gli studi di etica che stanno dietro lo sviluppo delle nuove tecnologie?

Dopo l’artificial intelligence, il secondo grande tema è l’artifical morality: dato che i sistemi intelligenti agiranno e interagiranno con gli esseri umani, la domanda è se, e in che misura, possano o debbano ‹imparare› ad essere morali, e secondo quale modello. Mentre l’etica utilitaristica non basterà affinché si potrà parlare di un umanesimo digitale, e per l’etica deontologica si richiederebbe da parte dell’IA una coscienza, attualmente ci si chiede se sarà possibile che le macchine intelligenti imparino le virtù (deep learning). Come si vede, tutti i modelli classici dell’etica vengono ridiscussi

nell’ambito dell’IA. Molto difficile dovrebbe essere applicarvi un’‹etica della responsabilità›, per cui l’etica delle macchine rimanderà sempre costitutivamente alla società umana di riferimento. Non a caso già oggi, a livello europeo, si discute quali saranno i principi etici e giuridici per lo sviluppo e l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nel futuro. La filosofia sarà costretta a contribuire a questo dibattito con una riflessione comprensibile dai tecnici e alla fine anche dai politici.

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