Detto tra noi

Sportivi di una volta e di oggi

Lo sport è diventato sempre meno attività ludico-ricreativa e sempre più spettacolo e «business»
Mauro Rossi
21.10.2022 06:00

Essere uno sportivo è un ruolo difficile. Anche nella sua versione «salottiera» (o da tribuna) che nell’era massmediatica è diventata preminente rispetto a chi lo sport lo pratica. Una volta infatti le competizioni si svolgevano con tempistiche prestabilite che non lasciavano adito a fraintendimenti o confusione. E si concentravano quasi esclusivamente nel fine settimana: il sabato pomeriggio il basket, la sera l’hockey e la domenica il calcio. Durante i giorni lavorativi solo poche cose, il disco su ghiaccio il martedì e qualche coppa europea la sera seguente, con rare eccezioni. Oggi la trasformazione subita dallo sport, diventato sempre meno attività ludico-ricreativa e sempre più spettacolo e «business» (e quindi schiavo della regola affaristica secondo la quale, nel fare soldi, non ci sono regole) ha reso tutto più confuso: i calendari e gli impegni si sono moltiplicati a dismisura, si gareggia praticamente ogni giorno e a ogni ora con il risultato di non capire più che cosa sta accadendo, cosa seguire e il grado di importanza delle varie manifestazioni. Anche il fatto che oggi tutto è visibile in diretta sulle più differenti piattaforme (tv, telefonino, internet...) invece di stuzzicare l’utente finisce per stancarlo, annoiarlo. Un po’ come le lasagne: mangiarle una volta alla settimana è un piacere; ritrovarsele nel piatto ogni giorno, dalla colazione alla cena, più diventare decisamente pesante. Questa degenerazione dell’universo sportivo ha inoltre cambiato l’atteggiamento di chi lo segue: un tempo ogni sfida era preceduta dall’augurio «vinca il migliore». E in effetti il tifoso/sostenitore si augurava che la propria squadra lo fosse davvero, mentre si preparava ad assistere a un onesto confronto che non avrebbe comunque deluso perché probabilmente avrebbe prevalso, appunto, il migliore. Una volta inoltre si diceva che lo sport affratella perché si credeva che impegnarsi allo stremo per conquistare una vittoria avrebbe reso fratelli nella condivisione del medesimo obiettivo. Oggi invece non è più così: non conta infatti più la prestazione ma unicamente la vittoria, anche a costo di ricorrere a scorciatoie non proprio eleganti. E anche il sostenere una squadra o un’altra è diventata più un’occasione di scontro che di confronto, un ulteriore modo per creare delle faziose fazioni. Tanto che quasi più nessuno è disposto a onorare il buon gioco dell’avversario e a riconoscerne i meriti: se ha prevalso è solo grazie ai nostri errori e non per quello che di buono è riuscito a combinare. E comunque va in ogni caso disprezzato, tifando contro di lui invece che sostenere la propria squadra. Se lo sport, insomma, è cambiato, lo sono anche e soprattutto gli sportivi che hanno sempre meno i tratti del sostenitore e sempre più quelli del fanatico estremista. Con il risultato di perdere di vista quello stile di vita e di comportamento che invece proprio lo sport avrebbe potuto e dovuto insegnarci.