Clima

Le temperature salgono e le Alpi si trasformano

Lo studio realizzato da ricercatori delle università di Basilea e Losanna parla di cime sempre più verdi, a rischio la biodiversità – Gaia: «Intervenire per non alimentare il circolo vizioso» – Conedera: «Sistema delicato»
Paolo Galli
07.06.2022 06:00

Da che mondo è mondo, l’immagine delle montagne svizzere racconta di cime innevate. Il Toblerone ci ha costruito logo e successi. Ma qualcosa sta cambiando. Secondo uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Science - realizzato da ricercatori delle università di Basilea e Losanna, in collaborazione con gruppi di ricerca olandesi e finlandesi -le Alpi sono sempre più verdi. Insomma, potrebbe cambiare l’immagine stereotipica delle nostre montagne. Gli scienziati hanno esaminato i cambiamenti nella copertura nevosa e nella vegetazione utilizzando dati satellitari ad alta risoluzione raccolti dal 1984 al 2021. Nel periodo in rassegna, la biomassa vegetale è aumentata, al di sopra del limite della vegetazione arborea, sopra i 1.700 metri, su oltre il 77% dell’area alpina. Un fenomeno di «rinverdimento» evidentemente dovuto al cambiamento climatico e già documentato anche altrove, per esempio nell’Artico.

Tendenza confermata

Lo studio è importante perché sfrutta le immagini satellitari e aggiunge quindi dati sistematici e molto dettagliati ai rilevamenti delle stazioni meteorologiche. «In Svizzera MeteoSvizzera gestisce al giorno d’oggi circa 250 stazioni, ma non sono in grado comunque di coprire tutti gli angoli del Paese. I satelliti riescono a dare informazioni di qualità su un lasso di tempo ora sufficientemente lungo», avverte Marco Gaia, responsabile del Centro regionale sud di MeteoSvizzera. «Le tendenze elaborate sulla base dei differenti dati, comunque, combaciano», aggiunge.

Marco Conedera, capo dell’unità di ricerca dell’Istituto federale WSL a Cadenazzo, aggiunge: «Questi studi sono da interpretare alla stregua di tasselli, che vanno a comporre un quadro il più possibile dettagliato della situazione». Comporre questo quadro è importante per capire gli effettivi impatti futuri dei cambiamenti in atto. «È chiaro che sulle nostre montagne andremo incontro a temperature più calde e a una minore copertura nevosa, ma ora vanno comprese le conseguenze e le interazioni in un sistema molto complesso quale è la Natura. E le Alpi rappresentano in questo senso un sistema delicato». Da notare come, pochi giorni fa, lo stesso WSL aveva presentato una riflessione dal titolo «I cambiamenti climatici fanno innalzare il limite del bosco?». Insomma, come sottolineano Gaia e Conedera, la tendenza è confermata da più fonti.

Lo studio è riferito alle regioni alpine sopra i 1.700 metri. Secondo i ricercatori, a queste quote i fattori principali che impattano sulla vegetazione sono l’aumento delle precipitazioni e l’accorciamento del periodo con neve al suolo
Marco Gaia

Il nostro contributo

Tornando allo studio pubblicato da Science, Marco Gaia ribadisce: «Lo studio è riferito alle regioni alpine sopra i 1.700 metri. Secondo i ricercatori, a queste quote i fattori principali che impattano sulla vegetazione sono l’aumento delle precipitazioni e l’accorciamento del periodo con neve al suolo. Altri studi si sono concentrati piuttosto su quote inferiori, mettendo in evidenza il ruolo primario della durata del periodo con neve al suolo. A queste quote, tendenzialmente, nevica più tardi, e la neve fonde prima. Il tutto ha un forte impatto sulla vegetazione». In seguito all’aumento delle temperature, si allunga la stagione di crescita della vegetazione. La superficie bianca poi riflette la luce del Sole, mentre quella scura - legata all’assenza di neve - tende ad assorbire energia termica, che porta a sua volta un aumento della temperatura». Insomma, un circolo vizioso, che appare irreversibile. Gaia aggiunge: «L’unica possibilità per romperlo è far sì che le temperature non continuino ad aumentare per effetto delle emissioni antropiche di gas a effetto serra. Occorre intervenire alla radice perché, altrimenti, il circolo vizioso non solo sarebbe irreversibile, ma si rafforzerebbe sempre di più».

Marco Conedera, a sua volta, sottolinea: «Sì, il sistema è irreversibile. Ma è un problema di scala. Il riscaldamento è globale. La Svizzera e il Ticino possono dare un contributo, ma da soli non possono risolverlo. Possiamo però mettere in atto misure di prevenzione e di mitigazione dei danni, misure che possono essere anche locali. Possiamo proteggere insomma il nostro territorio con azioni puntuali, ma per farlo dobbiamo conoscere nel dettaglio i meccanismi coinvolti e quindi individuare le priorità di intervento».

Le specie a rischio

In questo studio si parla anche dei rischi per la biodiversità. Marco Conedera: «Qui si parla di un aumento della biomassa vegetale, ma si dice anche che probabilmente cambierà la sua composizione. Ci sono specie che vengono dal basso che sono più competitive, specie normalmente inadatte a sopportare estremi di temperatura, ma che di fronte al riscaldamento generale potrebbero sorpassare le specie di nicchia che invece già vivevano ad alte quote. Specie specializzate alle basse temperature, ma meno competitive contro le altre. Per non citare quelle specie per cui la neve funge normalmente da isolante rispetto alle temperature più gelide, e che subirebbero quindi danni in caso di mancanza della copertura nevosa invernale». Gaia aggiunge, semplificando: «Lemontagne sono fatte a punta, più si sale, minore è la superficie a disposizione della vegetazione. Ci sono specie che vivono sotto certe temperature, ma se le temperature si alzano, loro cercano di salire per ritrovare il loro habitat e sopravvivere. Ma non possono salire all’infinito. È questo uno degli schemi che portano a una perdita di biodiversità».

Difficile, pur di fronte a questi studi, intervenire direttamente in difesa della biodiversità. «La natura, comunque, ha una grande forza, è resiliente - aggiunge Conedera -. Ciò che possiamo fare è però intervenire sulla sicurezza del territorio. La neve e l’umidità, per esempio, mitigano in primavera il pericolo di propagazione degli incendi fino alle alte quote. E se la neve viene a mancare, dobbiamo essere coscienti che anche in questo ambito ci possono essere conseguenze». Gli scenari insomma non sono soltanto teorici.

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