L'intervista

Juliette Binoche: «La forza delle donne in un mondo maschile»

A tu per tu con l'attrice francese, già ospite del Festival nel 2014, ora protagonista in Paradise Highway
Antonio Mariotti
08.08.2022 06:00

Era già stata ospite del Festival nel 2014, quando aveva presentato in Piazza Grande Sils Maria e ricevuto l’Excellence Award. Nel film di Olivier Assayas, interamente girato nei Grigioni, interpretava il ruolo di una grande attrice di teatro, in Paradise Highway di Anna Gutto, visto sabato sera, invece Juliette Binoche è una camionista sulle strade del Sud degli Stati Uniti. Da qui è iniziata la nostra conversazione.

Che cosa l’ha sorpresa di più del mondo delle donne camioniste negli Stati Uniti?
«In effetti non ero cosciente che questo mondo esistesse anche al femminile. Sono rimasta sorpresa di sapere che queste donne subiscono violenze addirittura durante gli esami per la patente di guida, perché tutti gli istruttori sono uomini, e nulla sapevo nemmeno dei traffici a sfondo sessuale che caratterizzano questo ambiente. È anche per questo che la storia di Paradise Highway merita di essere raccontata, visto che mostra bene gli aspetti legati a tutte le regole che i camionisti devono osservare riguardo al numero di ore in cui possono guidare e quelle in cui devono riposare. Non mi rendevo conto nemmeno della durezza di questa vita: da nessuna parte trovano un pasto decente nelle aree loro riservate, credo che dovrebbero ribellarsi contro questa situazione, anche perché vivono la maggior parte del tempo lontani da casa. È vero, però, che ci sono coppie che viaggiano insieme e hanno persino una cucina nel camion. Molti, come la protagonista del film, scelgono questo lavoro per desiderio di libertà ma non è una vita facile, e spero che questo film contribuisca a mostrarlo».

Come si è svolta la sua collaborazione con Hala Finley, la giovanissima attrice che interpreta il ruolo di Leila?
«Molto bene: si è assunta tutte le responsabilità per ciò che riguarda il suo personaggio, e ho ammirato il modo in cui si è preparata per le riprese, ciò che ha facilitato anche il mio compito. C’è una scena in cui cerco di sottrarle la mia pistola e lottiamo. Ebbene, lì mi sono resa conto della sua forza di volontà e alla fine del primo ciak di quella scena ci siamo abbracciate. Credo che sia stata toccata da questo gesto e da quel momento in poi si è sentita più sicura, più fiduciosa anche nei miei confronti».

Ha imparato a guidare il camion per interpretare il personaggio di Sally?
«Sì, mi piacciono le sfide fisiche che fanno parte del mestiere di attrice. Le riprese di Paradise Highway sono però state ritardate per la pandemia e, al momento di girare, ho dovuto riprendere le lezioni di guida perché temevo di aver dimenticato tutto, ma ho insistito affinché ci fosse almeno una scena del film dove fossi io a guidare il camion perché mi sembrava importante. E alla fine, a causa di un contrattempo che ha coinvolto il secondo camion che utilizzavamo, ce l’ho fatta. È stato bellissimo, anche se devo dire che la strada era stata bloccata al traffico dalla polizia».

Ho anche molti altri interessi, ma amo recitare, immergermi in personaggi sempre nuovi. È un’attività molto creativa, molto fisica, che coinvolge tutto il tuo essere

Dopo una carriera intensa e ricca di soddisfazioni come la sua, che cosa la spinge a interpretare ancora due-tre film all’anno, senza fermarsi mai?
«Ho anche molti altri interessi, ma amo recitare, immergermi in personaggi sempre nuovi. È un’attività molto creativa, molto fisica, che coinvolge tutto il tuo essere. Ed è molto interessante lavorare con altri attori. Mi sento molto fortunata di poter fare questo mestiere».

In questo caso si mostra senza trucco e in abiti praticamente maschili: è stato facile?
«Gli abiti e le scarpe che indossi sono molto importanti per definire il proprio ruolo, e la costumista di questo film è stata molto brava: mi ha proposto un paio di jeans ed erano quelli, ha comprato le magliette e le camicie nei negozi per camionisti ed erano perfette».

Paradise Highway è un road movie: le ha permesso di scoprire regioni degli Stati Uniti che non conosceva?
«Sì, il Mississippi e l’Arkansas: regioni dove la vita non è facile, soprattutto per la comunità nera. Essere lì, lavorare lì, è diverso dal leggere articoli o vedere documentari. Soprattutto in questo periodo post-COVID, c’è pochissimo lavoro e la situazione dell’agricoltura è la stessa da secoli: i ricchi possiedono la terra e i poveri la lavorano».

E, last but not least, questo film le ha permesso anche di lavorare con Morgan Freeman.
«Vedo un’immensa dignità dentro di lui e una grande umanità nei suoi occhi e il suo modo di comportarsi è davvero unico. Stavamo provando il dialogo di una scena e, a un certo punto, attorno a noi i tecnici hanno iniziato a spostare le luci e a discutere, ma lui ha continuato a recitare come se nulla fosse, sino alla fine della sua parte. Sono rimasta affascinata da ciò, perché qualsiasi altro attore si sarebbe arrabbiato, mentre lui ha mostrato un enorme rispetto per il nostro lavoro. Ed è stata una grande lezione per me».

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