Locarno78

Nick Hayek: «Il tempo del cinema è come un orologio, a Locarno ritrovo la sua magia»

Il Ceo di Swatch racconta il rapporto che lo lega da anni alla macchina da presa e il vincolo, non soltanto sentimentale, che lo porta ogni estate a frequentare la manifestazione ticinese – Il ricordo di Teco Celio: «Un vero amico, con il quale ho vissuto anche l'emozione del festival di Cannes»
Mattia Sacchi
08.08.2025 06:00

Nick Hayek, CEO di Swatch, uno dei più grandi gruppi orologieri svizzeri, ha nel cuore una seconda vocazione - o, forse, la prima, a giudicare dalla luce che si accende nei suoi occhi quando ne parla - quella per il cinema. Non solo una passione giovanile, ma un percorso vissuto intensamente e con talento: studi a Parigi, una casa di produzione fondata negli Anni ’80, un film girato con Peter Fonda (Family Express, 1990), selezioni a Cannes e premi internazionali. Hayek non ha mai smesso di raccontare storie, anche quando la vita lo ha portato altrove. Perché, in fondo, tra pellicole e meccanismi di orologi, tutto ruota attorno al tempo.

In tre al cinema

«Il montaggio è come un movimento meccanico: se sbagli un tempo, tutto salta». È anche per questo che al Locarno Film Festival, di cui Swatch è sponsor principale e dove ogni anno è lanciato un orologio in edizione limitata, Hayek si sente a casa. Perché Locarno è un luogo dove il tempo non si misura, ma si vive.

«Mi ricordo quando vidi per la prima volta Monty Python and the Holy Grail, a Parigi. In sala eravamo tre. Non risi una volta. Tornai la sera con un amico, la sala era piena. Risi dall’inizio alla fine. Capii, allora, che il cinema vive dell’energia degli altri, del pubblico, del respiro della sala».
Quell’energia, a Locarno, vibra nella Piazza Grande, tra migliaia di persone che si stringono anche sotto il temporale. È lì che Hayek ha ritrovato lo spirito del cinema popolare ma intelligente che più ama, quello di Ernst Lubitsch, di Charlie Chaplin, di Federico Fellini. «Una commedia ben scritta vale quanto un film d’autore. Ma nei festival ideologici, spesso, la commedia non trova posto. A Locarno invece sì, ed è per questo che siamo qui». Swatch non si limita a finanziare. Con lo Swatch Art Peace Hotel, la residenza per artisti a Shanghai, porta in città creativi da tutto il mondo. Allestisce installazioni, organizza premi, trasforma anche il tempo in gioco.

Come detto, ogni anno, in occasione del festival, è creato un orologio celebrativo. Locarno78 ha il quadrante iridescente e motivi leopardati, ed è ispirato al poster firmato Wolfgang Tillmans. «Non ci ho messo mano, ma lo trovo bellissimo - dice Hayek - Marco Solari lo portava sempre con orgoglio: ogni anno indossava l’orologio celebrativo dell’edizione in corso, come un distintivo affettivo del festival. Quegli orologi raccontano anche la storia del cinema che passa da Locarno, sono piccole capsule del tempo».

Proprio Solari, storico presidente del festival, è anche l’uomo che convinse Hayek a diventare partner. «Con Marco non servivano lunghi discorsi. Ci siamo incontrati e ci siamo stretti la mano ancor prima di parlare di contratti. C’era stima reciproca, fiducia, l’idea che si potesse fare qualcosa di bello, insieme. Lui amava Locarno come si ama una causa personale. E sapeva trasformare i problemi in opportunità, le crisi in slanci creativi. Quando c’era un momento difficile, veniva da me e diceva semplicemente: “Nick, dobbiamo fare qualcosa”. E io rispondevo: ‘Facciamolo’».

Vecchi fotogrammi

Nel racconto affiorano episodi come fotogrammi. I piccoli film realizzati con il ticinese Teco Celio, «un vero amico, con cui ho vissuto anche l’emozione di Cannes», presente in Manovergäste e Le Pays de Guillaume Tell, pellicole girate in bianco e nero, dai toni surreali e ironici. E poi le collaborazioni con Akira Kurosawa, Robert Altman e Pedro Almodòvar per la trilogia 100 Years of Cinema: tre orologi Swatch in edizione limitata, presentati in una scatola a forma di bobina cinematografica. Ognuno realizzato da un grande regista: Despiste da Almodòvar, Time to Reflect da Altman, Eiga Shi da Kurosawa.

«Con Kurosawa ci incontrammo a Kyoto. Mi disse: “Sì, partecipo”. Gli proposi il tema del sogno e lui cominciò a raccontare la guerra, l’onore, la giovinezza. Poi arrivò un nostro dirigente a dire: “Pensa che la guerra sia un messaggio per i giovani nel mondo?”. Kurosawa lo fulminò con lo sguardo. Io gli feci un cenno: “Stai zitto, lasciamo parlare il maestro”».

Oggi Hayek continua a immaginare storie. Una è ambientata in una vecchia fabbrica di cioccolato a Blenio. Un’altra in Giappone, con protagonista un lottatore di sumo. Ma la macchina da presa l’ha accantonata: «Dopo Family Express, ho capito che senza una rete di distribuzione non potevo continuare. I festival erano fondamentali, ma le sale erano chiuse ai film indipendenti. Così sono tornato da Swatch. Dovevo aiutare. Avevano bisogno di qualcuno che capisse i budget, le pubblicità, la creatività. Non sono figlio di papà. Ho lavorato».

Quel ritorno ha cambiato il destino dell’orologeria svizzera, ma non ha cancellato la passione. «Oggi, con l’intelligenza artificiale si può fare un film in un pomeriggio. Ma manca l’umanità. L’attore, il set, la luce, il montaggio: sono elementi vivi. Non basta un algoritmo. Il cinema è finzione, ma è anche carne».

Tuttavia, il legame tra il grande schermo e Swatch non si è mai spezzato. L’azienda ha realizzato spot con Spike Lee, coinvolto giovani registi, raccontato il tempo con ogni linguaggio possibile. E con la presenza a Locarno, ha scelto di stare proprio dove il cinema incontra la sua anima più libera. «Locarno è uno dei pochi luoghi dove si può ancora vedere un film insieme, in silenzio, nel buio di una piazza. Questo vale più di ogni effetto speciale». E se un giorno dovessero fare un film su di lui? Hayek ride: «Mi interpreto da solo, ma con qualche effetto per ringiovanirmi. Forse Dustin Hoffman, o Tim Roth. Ma solo se sanno portare due orologi al polso come me».

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