La recensione

Fabio Concato, il cantore della semplicità

«Sold out» mercoledì sera al Teatro Sociale di Bellinzona per la tappa del tour «Musico ambulante» con cui il cantautore, ospite della Fondazione del Patriziato, ha ripercorso con garbo e ironia la sua lunga carriera
Mauro Rossi
25.11.2022 06:00

Un viaggio attraverso uno dei repertori più eleganti e raffinati della canzone italiana degli ultimi quattro decenni condotto con garbo e un pizzico di ironia. È il concerto del tour «Musico ambulante» con cui Fabio Concato è approdato mercoledì sera al Teatro Sociale di Bellinzona ospite della locale Fondazione del Patriziato nel tradizionale «Gala» che chiude la sua annata artistica.

Una serata durante la quale il settantenne artista meneghino non si è risparmiato e di fonte a un folto e caloroso pubblico (l’evento era «sold out») ha ripercorso quasi interamente la sua carriera, «saltando» molti brani significativi dei suoi inizi («Quando si hanno in repertorio così tante canzoni, fare una scelta di cosa inserire in un concerto è sempre difficile e inevitabilmente scontenta qualcuno», ha candidamente spiegato alla platea) e ritirando fuori dal cassetto alcuni piccoli gioiellini, magari non saliti ai vertici delle classifiche come altre sue composizioni, ma in grado di delineare in maniera chiara e limpida la sua personalità di cantore della semplicità, di quelle piccole cose, che compongono la quotidianità. Come un pranzo solitario in un piccolo ristorante in riva al mare (In trattoria), la lotta contro la burocrazia dilagante (Il caffettino caldo), la visione di due persone che lasciano intravedere un’avvenuta rottura sentimentale (Stazione Nord), un serale rientro dopo il lavoro colmo di pensieri (Tornando a casa) e così via.

Brani che Concato ha alternato alle pagine più conosciute della sua discografia (O bella bionda, Domenica bestiale, Ti ricordo ancora, Guido piano, Fiore di maggio...) e ad altri dal taglio ancora più intimista come Gigi, dedicata al padre, talentuoso musicista jazz dilettante che lo iniziò alla musica e 051/222525, composizione che negli anni Ottanta dedicò alla lotta contro la violenza sui bambini e divenuta il «manifesto» del Telefono Azzurro.

Il tutto proposto in un contesto musicalmente ricercato, con soventi richiami sia a quel «latin jazz» cui è profondamente legato, sia a quello «scat» con cui su disco e, soprattutto in concerto, è solito condire le esecuzioni. Nelle quali anche l’eterogeneo pubblico bellinzonese ha fatto la sua parte, accompagnandolo per lunghi tratti a testimonianza di come il suo repertorio sia entrato nel cuore di tutti.