Heidi, ritorno alle origini

Ottimo cast e belle ambientazioni per il film di Alain Gsponer
Da sinistrra: Anuk Steffen, Bruno Ganz e Quirin Agrippi.
Antonio Mariotti
25.03.2016 00:10

Quanta strada ha fatto in 135 anni l'eroina dei racconti pubblicati a partire dall 1880 da Johanna Spyri: il suo volto (spesso molto più bambinesco di quel che dovrebbe essere) campeggia sulle confezioni di decine di prodotti destinati alla giovane clientela di tutto il mondo, il suo nome ha tenuto a battesimo parchi di divertimento che puntano sul fascino incontaminato (almeno in apparenza) della montagna, la sua storia è stata all'origine di innumerevoli film, serie televisive e cartoni animati, che l'hanno trasformata in vera e propria star fin nel lontano Giappone. Cosa può ancora aggiungere a questa saga di risonanza planetaria l'ennesimo lungometraggio? Una domanda che bisognerebbe porre agli oltre 489 mila spettatori che in Svizzera hanno già visto il film diretto da Alain Gsponer, uscito lo scorso Natale, o ai due milioni di persone che hanno già staccato un biglietto all'estero per questa Heidi che ora giunge anche sugli schermi ticinesi. Bisogna inoltre ricordare che girare un film ispirato alle avventure della pastorella orfana e ribelle non è sempre sinonimo di successo, nemmeno nel nostro Paese: basti pensare che la precedente pellicola con lo stesso titolo (realizzata nel 2000 da Markus Imhoof con Paolo Villaggio nel ruolo del nonno burbero della bambina) aveva attirato nelle sale elvetiche soltanto (si fa per dire) 82 mila persone.Il quarantenne regista zurighese Alain Gsponer ha già ottenuto un ottimo riscontro di pubblico a livello europeo un paio d'anni fa con il suo precedente lungometraggio Das kleine Gespenst - Un fantasma per amico, dopo essersi fatto le ossa adattando per la tv due celebri romanzi firmati da Martin Suter: Lila, Lila e L'ultimo dei Weynfeldt. Stavolta, insieme alla sua sceneggiatrice Petra Volpe, ha avuto il coraggio di «tornare alle origini», levando di dosso alla povera Heidi qualsiasi orpello posticcio e riportandola così in un certo senso a casa: all'aria limpida delle Alpi ma anche nella grigia prigione della città di Francoforte dove la bambina che ha assaporato la libertà non può sopravvivere. Una bambina che ha il volto dell'adorabile e bravissima grigionese Anuk Steffen che tra le montagne si ritrova a dover convivere con il burbero nonno Almöhi, impersonato dal sorprendente e sempre grande Bruno Ganz (che ha appena compiuto 75 anni: auguri!). Tutto il cast è del resto indovinato (compreso il Peter di Quirin Agrippi) e riesce a tenere alto il livello del film, permettendosi persino qualche (giustificata) velleità a livello di critica sociale.Scoprire questa Heidi significa in primo luogo riscoprire la complessità e la limpidezza delle diverse tematiche sviluppate da Johanna Spyri in anticipo sui tempi: la contrapposizione tra città e campagna, il rapporto figli-genitori, la questione dell'istruzione e i primi aneliti di un mitizzato «ritorno alla natura». Ma si ha anche occasione di ricordare l'ormai mitico film di produzione svizzera diretto da Luigi Comencini nel 1952, che è ormai assurto a vero e proprio «classico» del cinema per i più giovani. Allora, però, il mondo di Heidi era ancora sostanzialmente vivo, mentre oggi – anche se i capitoli montani della pellicola sono stati girati nei Grigioni, nei luoghi originari del romanzo – si è dovuto lavorare alacremente in postproduzione per cancellare strade, scilift e teleferiche che facevano inevitabilmente capolino all'orizzonte.Coproduzione con una forte partecipazione tedesca Heidi è stato concepito come un prodotto da imporre sul mercato internazionale nel settore del «film per famiglie», ma questo aspetto economico non lo rende asettico. Al contrario, l'aver riportato all'essenzialità la storia della piccola orfana innamorata delle montagne finisce con il dare alla storia quella dimensione universale che si merita a tutti gli effetti.