Il CD compie 40 anni (e non sta molto bene)

La progettazione del compact disc - nata a metà degli anni Settanta da una joint-venture tra l’olandese Philips e la giapponese Sony - nella sua configurazione definitiva risale al 1979, con il formato in policarbonato, risoluzione a 16 bit e 12 centimetri di diametro, in modo da allungare l’ascolto a 74 minuti - la durata della nona sinfonia di Beethoven, la preferita del co-fondatore della Sony, Akio Morita. Nel 1981 avviene la prima presentazione ufficiale pubblica, durante il festival di Salisburgo, tenuta da Joop Van Tilburg, responsabile del Philips CD lab e da Akio Morita in persona, accompagnati da Herbert von Karajan, presente perché il contenuto del primo CD utilizzato come test portava incisa una registrazione della Sinfonia delle Alpi di Richard Strauss da lui diretta. Il primo album pop pubblicato su questo supporto, con la concomitante messa in commercio del relativo lettore, è 52nd Street di Billy Joel, nel 1982 (insieme ad altri 49 titoli che andavano a comporre il primo vero e proprio catalogo su CD), ma solo per il mercato giapponese: la vera «esplosione» di questo formato audio e l’esordio ufficiale sul mercato internazionale si deve alla CBS Record che il 2 marzo 1983 stampa e pubblica 16 titoli contemporaneamente per il mercato mondiale, innescando così una rivoluzione audio. Il CD, infatti, prometteva di superare quelli che erano i limiti dei supporti precedenti, in particolare quelli dovuti all’usura (sia dei vinili sia dei nastri magnetici - le musicassette) e di farlo restituendo un suono qualitativamente superiore. «Nessuna microscanalatura, un disco indistruttibile di 12 centimetri, il suono puro e inalterabile del raggio laser»: così si leggeva nelle pubblicità all’epoca.

I compact disc hanno vissuto il loro picco a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio, come supporto fisico ideale non solo per ascoltare musica a casa o in mobilità, ma anche per archiviare dati, installare software o per giocare ai videogame. Nel 1990 l’intero settore dei CD supera quello dei 33 giri. Nel 2007, quando già l’MP3 è una realtà da diversi anni, si contano 200 miliardi di compact disc venduti complessivamente nel mondo. Ma a quel punto il destino del CD è già segnato: sono proprio l’MP3, le piattaforme di file sharing come Napster e successivamente lo streaming e i formati liquidi a determinarne il declino. E anche in informatica il CD crolla di fronte prima alle chiavette USB e poi, in tempi recenti, ai sistemi come wetransfer che permettono il trasferimento online di dati, video e foto in maniera veloce. In Svizzera, secondo una ricerca pubblicata dall’USTAT, siamo passati da un ascolto di musica tramite CD e DVD che nel 2014 era la seconda modalità più utilizzata (da circa il 75% degli interpellati) al quinto posto in soli 5 anni (poco più della metà degli intervistati dichiara di averne fatto uso nel 2019), superata da Internet, cellulari e computer. E contando l’incremento di fruizione online incentivato dalle restrizioni pandemiche, oggi la situazione è ancora più dominata dai formati digitali online.
A marzo dello scorso anno, però, negli Stati Uniti secondo i dati diffusi dalla Recording Industry Association of America (RIAA), le vendite dei CD hanno registrato un piccolo incremento dopo quasi vent’anni di discesa. È possibile che si tratti di un ritorno di fiamma dovuto a mode momentanee - d’altronde il vinile sta registrando da anni una specie di «seconda giovinezza» e si sono riaffacciate sul mercato addirittura le musicassette. Eppure, la mancata scomparsa dei supporti fisici, pur se prevista (con un po’ troppa fretta) dai guru dello streaming, potrebbe indicare un rinnovato interesse nel contesto che con la fruizione «liquida» tende a perdersi, spesso «menomando» il significato delle opere stesse.