Festival di Cannes

Martin Scorsese racconta la strage dei nativi d'America

Ecco il suo nuovo film, «The Killers of the Flower Moon», ambientato negli anni Venti del ventesimo secolo, con Leonardo DiCaprio e Robert De Niro nei panni di intrallazzatori senza scrupoli che decimano la Nazione Osage
© KEYSTONE (AP Photo/Daniel Cole)
Antonio Mariotti
21.05.2023 22:26

Lo avevamo lasciato nel 2019 con The Irishman a raccontarci la biografia di un killer della mafia nel secondo dopoguerra e lo ritroviamo ora a Cannes a narrarci - senza economia né di mezzi, né di tempo (il film dura quasi 3 ore e mezza) - una vicenda drammatica che testimonia del genocidio dei nativi d’America da parte dei bianchi nell’Oklahoma di un secolo fa. Ispirandosi all’omonimo bestseller di David Grann e coadiuvato dal grande sceneggiatore Eric Roth (Dune, Forrest Gump, ecc. ecc.), con The Killers of the Flower Moon l’ottantenne Martin Scorsese conferma la sua maestria e la sua imprescindibilità nelle vesti di cantore senza peli sulla lingua della storia di un Paese che si è costruito sul sangue, la violenza e la prevaricazione e che continua a fare i conti con i propri fantasmi più neri.

Quella dell’ingenuo e remissivo Ernest Burkhart, (interpretato da Leonardo DiCaprio), del suo ricco e rispettato zio William «King» Hale (Robert De Niro) e di un piccolo gruppo di complici e pregiudicati sembra quasi una bega di paese motivata dai classici motivi razzisti nei confronti degli «indiani». In effetti si tratta del genocidio e della spoliazione della ricca Nazione Osage che dall’inizio del XX secolo ricevette somme milionarie quali diritti di sfruttamento per i giacimenti petroliferi scoperti nelle terre che erano state assegnate loro come riserva. Burkhart ed Hale si accaniscono contro la famiglia della moglie del primo, Mollie (una Lily Gladstone impressionante per presenza e dignità), per accaparrarsene i diritti con la connivenza delle autorità locali, finché da Washington arriverà un agente federale che fermerà il massacro e individuerà i colpevoli, anche se ormai il male è fatto e gli Osage finiranno per lungo tempo nel dimenticatoio della Storia.

Non solo balordi di provincia

Come detto, Scorsese si prende il tempo di raccontare questa vicenda emblematica, sfruttando appieno il materiale filmato d’archivio a disposizione, concludendola con la messa in scena di un radiodramma della serie «True Crimes» e realizzando non poche scene di massa che rimangono impresse nella memoria per la loro naturalezza e il loro dinamismo. In questo contesto storico-geografico molto particolare - ai remoti confini dell’impero si potrebbe dire - i personaggi incarnati da DiCaprio e De Niro rischiano di diventare dei balordi che hanno escogitato uno dei tanti modi per arricchirsi a scapito dei più deboli.

Scorsese non cade però mai in questo tranello e i suoi interpreti (in particolare DiCaprio) gli danno una gran mano. La figura di Ernest Burkhart è infatti quella più sfaccettata tra le tante che s’intrecciano nel film. In un primo tempo non si rende conto delle dinamiche in gioco. È solo dopo aver sposato Mollie e aver scoperto la rettitudine di un intero popolo che cambia atteggiamento, diventando il grande accusatore di Hale, considerato il benefattore della comunità. Sono questi i personaggi che intrigano Scorsese: coloro che si lasciano trascinare dal Male ma che a un certo punto hanno il coraggio di dire basta. Anche se ciò va a discapito dei vantaggi della «famiglia», qualunque essa sia. Da Mean Streets, esattamente mezzo secolo fa, ad oggi questo non è cambiato nel suo cinema. E mai cambierà. 

In questo articolo: