La miglior rapper d'Italia è una ticinese: Ele A

Mesi fa, aveva portato il «natel» al concertone del Primo Maggio a Roma. Ora, Rolling Stone si è spinto oltre. Incoronandola, di fatto. «La migliore rapper d'Italia è svizzera» scrive la prestigiosa rivista. Stiamo parlando, evidentemente, di Ele A, all'anagrafe Eleonora Antognini, cantante ticinese classe 2002. Per lei, d'altro canto, si sono mossi i nomi grossi della scena: Neffa, Guè, Fabri Fibra. Ad Aranno, dove è cresciuta, ascoltava Notorius B.I.G. ma anche Gemitaiz e lo stesso Fibra. Com'è possibile che una giovane, giovanissima artista svizzera, stia conquistando il difficile mercato italiano? Pochi giorni fa è uscito Pixel, a tutti gli effetti il suo primo album. Quello che potrebbe lanciarla in maniera definitiva. Anche se lei, confidandosi a Rolling Stone, spiega: «Non farei mai San Siro con delle canzoni di merda». Della serie: calma e gesso, volendo riprendere un detto tipicamente ticinese. O, se preferite, diamo tempo al tempo.
«Sono abbastanza serena con quel che ho fatto, ci sono dei pezzi dentro al disco che mi piacciono veramente ed è un po’ la prima volta che mi succede, che proprio mi viene voglia di ascoltare dei pezzi che ho fatto io» racconta la diretta interessata. Quindi, alcune chicche sulla sua infanzia in Ticino. «Il primo approccio al rap è stato alle elementari, perché c’era un mio compagno di classe che si vestiva mega largo, faceva breakdance, tutte queste robe.E lui ascoltava Fabri Fibra. La radio svizzera non passava il rap. Lui mi ha fatto sentire Tranne te su YouTube; era l’unica canzone rap che conoscevamo. E lì ho pensato che le BMX, i graffiti erano proprio la mia vibe, ero attratta da quella cultura. Poi ho scoperto Gemitaiz. E mi sono scaricata Quello che vi consiglio vol. 2 da YouTube. È solo grazie a YouTube che ho iniziato a rappare».
La musica, in ogni caso, ha sempre fatto parte della vita di Ele A. Sì, perché Eleonora, detto del rap, ha studiato musica classica e violoncello. «Suonare uno strumento – dice sempre a Rolling Stone – mi ha dato tanto a livello di disciplina e sacrifici: è come uno sport, alla fine capisci che senza sacrifici non ottieni niente. E l’ho visto osservando i miei lavorare, vedendo tutte le persone intorno a me che magari hanno continuato a fare musica e che si sbattono per sperare di sopravviverci». Quanto ad Aranno, il paesino in cui è cresciuta, Ele A ironicamente afferma: «Abitavo in un paese di 300 persone di cui 210 erano anziani. A questa mia amica con cui ho fatto le scuole, anche se lei non rappava, piaceva sentirmi fare freestyle. Allora uscivamo assieme e magari io rappavo tutto il tempo». Una crew vera e propria, in ogni caso, non l'ha mai avuta: «Grazie a un ragazzo conosciuto al liceo e a una sua canzone che aveva fatto uscire ho conosciuto altra gente in giro, ma non ho mai avuto una crew o delle persone di riferimento. Sono sempre stata sola, anche perché essendo una ragazza era diverso. I cosiddetti bro non li avevo mica».
Il Covid, spiega, l'ha aiutata a uscire dal Ticino, cantone che ha saputo farsi un nome nel rap grazie ad artisti come Maxi B, Michel e Mattak: «In un posto piccolo come quello da cui vengo c’è una mentalità molto chiusa. Poi, essendo tutti anziani, nemmeno mi capivano. Quindi non osavo far nulla. Avrei voluto, ma non avevo il coraggio di pensare di poter fare musica, di rappare. Con il Covid non c’era confronto con la gente, con la scuola, il paesino. E così ho iniziato a registrare. Il primo pezzo era un coronavirus freestyle pubblicato su Instagram, dove ho conosciuto il mio manager». Proprio Mattak, ripostando un suo video, le ha fatto capire che ce l'avrebbe fatta.
Rolling Stone, quindi, chiede a Ele A se il fatto di essere donna sia complicato, nel rap e nella scena rap. Anna, una sua collega, teoricamente con il suo successo avrebbe dovuto aprire le porte ad altre. Ma così non è stato. «Anna è arrivata e ora c’è gente che fa quello stile» spiega l'artista ticinese. «Magari poi non sono tipe, ma ha avuto un’influenza. Non sono dell’idea che solo perché tu sei una ragazza allora tutte le ragazze devono mettersi assieme e fare una scena. Ognuno fa la sua roba, e il rispetto c’è sempre. Grazie ad Anna una cosa è cambiata molto: anche un uomo ora può ascoltare una donna che rappa, che non è una cosa scontata. Non è mai stato così prima d’ora. Confido nel fatto che nasceranno nuove rapper».