La settimana in gioco

Arriva il nuovo Zelda, mentre Meta non se la passa molto bene

Finalmente nei negozi l'attesissima esclusiva Nintendo Switch «The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom» — Intanto, Phil Spencer di Microsoft parla degli obiettivi del progetto Xbox
Paolo Paglianti
14.05.2023 21:30

La «big news» della settimana è senza dubbio l’arrivo nei negozi di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, l’attesissima esclusiva Nintendo Switch. È una delle saghe più longeve del mondo dei videogiochi, visto che il debutto risale al 1986 sul NES, e anche uno dei franchise di maggior successo, considerando le oltre 140 milioni di copie vendute finora per i giochi della serie Zelda. Tears of the Kingdom è il seguito di Breath of the Wild, classe 2017, ma è anche il primo Zelda programmato e disegnato per Nintendo Switch (il precedente era compatibile anche con Wii U). Il gioco è visivamente assai simile a Breath of the Wild, anche se ci sono delle novità molto sfiziose: per esempio, l’esplorazione è diventata più verticale, visto che ora Link visiterà location letteralmente tra le nuvole; inoltre, potremo unire oggetti diversi per creare armi più potenti e persino dei veicoli, con meccaniche simili a Minecraft anche se su scala assai più ridotta. In attesa della nostra prova, date un’occhiata al trailer di lancio.

Se Zelda è la Killer App di Nintendo, quella di Microsoft per il 2023 è senza dubbio Starfield, il gioco di combattimento e esplorazione sci-fi in sviluppo da anni e in arrivo il prossimo 6 settembre solo su Xbox e PC. Proprio questa settimana, il «big boss» di Xbox Phil Spencer, ha rilasciato un’intervista che sta facendo molto discutere nel mondo del gaming. Oltre ad ammettere la delusione per Redfall (di cui abbiamo parlato la scorsa settimana), Phil ha detto che se anche Starfield fosse un gioco bellissimo, con voti da 11/10, questo non implicherebbe automaticamente la «vittoria» di Xbox nella corsa delle console.

In parecchi hanno letto in questa affermazione un’ammissione di sconfitta: un po’ come se Phil avesse detto «se anche facessimo i giochi migliori del mondo, non vinceremmo mai contro Switch e PS5». In realtà, come potete vedere dal video qua sotto (minuto 38:00), Phil ha detto che sì, l’Xbox è la terza console sul mercato dopo Switch e PS5 a livello di vendite, e che oggi anche pubblicando i giochi migliori non si può ribaltare la situazione, perché i giocatori sono molto legati al loro ecosistema, considerando che giocano sulla loro console attuale ai titoli usciti negli ultimi 10-12 anni. Per questo motivo, Xbox punta sul creare un ecosistema sempre più valido e conveniente, con retro compatibilità a 360 gradi e un abbonamento come Game Pass che permette di giocare tantissimi videogame senza costi aggiuntivi, per attirare un pubblico sempre maggiore.

Avevi creduto davvero che ci saremmo collegati a Facebook con un caschetto di realtà virtuale? Ci permettiamo una ardita parafrasi di Rumore di Niente di Francesco de Gregori per commentare quello che sta capitando a Meta, l’universo virtuale che Mark Zuckerberg ha cercato in tutti i modi di lanciare tramite la sua azienda. Con una impietosa analisi, il New York magazine ha letteralmente massacrato Meta e i mondi in realtà virtuale in generale, prendendo atto del loro fallimento. Partendo dalla fotografia della situazione attuale, in cui Disney e Microsoft hanno praticamente chiuso le loro divisioni di realtà virtuale licenziando quasi tutti i dipendenti che vi lavoravano, l’articolo arriva ad accusare Mark Zuckerberg di essere il «colpevole» della situazione, avendo spinto moltissime aziende a credere in questo progetto. Non che ci fossero dei dubbi: lo stesso Phil Spencer di Xbox, come ricorderete, non aveva risparmiato critiche all’idea di un universo virtuale non pensato per i videogiochi. In generale, pensare che anche una piccola percentuale dei miliardi di account attivi di Facebook si collegasse con un caschetto di realtà virtuale al proprio social preferito non aveva mai convinto molti esperti del settore.

Il britannico The Guardian invece si interroga su quanto l’intelligenza artificiale potrà danneggiare il settore dei videogiochi nel campo del doppiaggio audio. Oggi per doppiare i videogiochi in lingua originale vengono chiamati attori anche molto celebri, che come per i  film di animazione prestano la loro voce ai protagonisti dei videogame. I costi però sono molto alti, perché nei videogiochi (che «durano» generalmente almeno 20 ore) le linee di dialogo sono di almeno un ordine di grandezza superiore rispetto a quelle di un film di un’ora e mezzo. Con le IA, è facile trovare una soluzione alternativa e molto più economica. Come sottolinea il The Guardian, l’azienda australiana Replica è in grado di «creare» il doppiaggio in inglese di un videogioco partendo da dei sample di 120 attori in carne e ossa, generando praticamente qualsiasi dialogo con oltre 1.000 toni di voce diverse. Da un lato, questo permetterà a qualsiasi sviluppatore di introdurre il «parlato» nei proprio titoli a costi molto più bassi di oggi; dall’altro, gli attori e i doppiatori professionisti non sono particolarmente entusiasti della cosa.

Anche le foche adorano i videogiochi. Lo dice la Marina americana in un comunicato stampa molto curioso: gli ufficiali e gli scienziati della US Navy hanno iniziato a utilizzare dei videogame molto semplici nei loro programmi di addestramento delle foche del «Marine Mammal Program». La foca più portata per pulsanti e platform è Spike, che si è dimostrato un eccellente gamer, comprendendo il legame tra i controlli e quello che capita sullo schermo. Gli scienziati che studiano Spike e i suoi amici sono convinti, dopo oltre 750 sessioni di gioco volontario (senza «premi» come cibo extra, per intenderci), che le foche giochino – come gli umani – per puro divertimento. Prima o poi, le foche ci batteranno ai videogame?

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