«Ai sogni parigini ho preferito la visibilità del calcio svizzero»

Viveva a Parigi, in un appartamento in centro città. Oggi, insieme alla sua ragazza e a un cagnolino, abita a Cresciano, frazione di Riviera con meno di 800 abitanti. Hugo Lamy, 20 anni, non si è però pentito di aver accettato l’offerta del Bellinzona (sabato sera impegnato al Comunale contro il Wil). E di essersi lasciato alle spalle, almeno per un po’, il club del cuore. Quello che lo ha formato. Il Paris Saint-Germain.
Hugo, hai guardato l’andata degli ottavi di finale di Champions League tra il «tuo» PSG e la Real Sociedad?
«Ovviamente. È stata una sfida complicata e, dunque, il 2-0 è un ottimo risultato. Dopo la mia partenza non ho mai smesso di seguire il PSG. In fondo parliamo del club che, per sei anni, ha rappresentato la mia casa. Il legame rimane molto forte».
Essere tifoso del club parigino può essere frustrante? In Champions League sembra sempre l’anno buono, e invece...
«Le attese e le esigenze verso il PSG, d’altronde, sono parecchio elevate. In questo momento la società sta conoscendo un particolare sviluppo, complice il ringiovanimento della rosa. Insomma, se da un lato i mezzi finanziari a disposizione sono importanti, dall’altro va altresì considerato un certo periodo di consolidamento. E il Paris Saint-Germain, in tal senso, è una realtà ancora in costruzione, ancora alla ricerca di se stessa se vogliamo. Non sono comunque preoccupato: al momento giusto arriverà anche la Champions».
Circa un anno fa, Hugo Lamy prendeva posto sulla panchina del Parc des Princes e assaporava per la prima volta l’ebbrezza della Ligue 1. Ripensarci, oggi, ti fa ancora effetto?
«Più che altro mi rende fiero. Ho vissuto quel giorno come una piccola ricompensa per i sei anni di duro lavoro quotidiano all’interno del club. Un club prestigioso. Perciò il battesimo in un incontro della prima squadra è stato e rimarrà per sempre un momento indimenticabile».


Eri aggregato al PSG anche in occasione del penultimo turno dello scorso campionato. E in quel match Lionel Messi ha realizzato la sua ultima rete in Europa. Assistervi dev’essere stato un altro, grande privilegio, vero?
«Lo è stato. Anche perché ammiro Messi da quando sono bambino. E ritrovarmi a condividere lo stesso spogliatoio, beh, è stato qualcosa di eccezionale. Di emozionante, anche. Quando affianchi campioni come lui, Mbappé o ancora Marquinhos c’è solo da osservare e imparare. Sono star, vero, ma altresì persone disponibili, aperte al dialogo e pronte ad aiutare gli elementi più giovani».
Quanto è difficile accettare che Kylian Mbappé - lo ha comunicato lui stesso alla società nelle scorse ore - difenderà altri colori a partire dalla prossima stagione?
«Mbappé ha segnato indelebilmente il PSG e le sue ultime stagioni di successo. Per i tifosi del PSG, quindi, una certa sofferenza è inevitabile. La scelta e i bisogni individuali di Kylian vanno però rispettati. Se avverte la necessità di partire, per cogliere altre sfide, è giusto lasciarlo andare. Il calcio rimane uno sport di squadra, capace di esaltare la qualità dei singoli. E il PSG non è solo Mbappé. Sono sicuro che altri, dopo di lui, sapranno sostenere le ambizioni del club».
Ethan Mbappé, il fratello più giovane di Kylian, ha esordito con il PSG lo scorso dicembre. Solo un anno fa condividevate lo stesso spogliatoio, nella U19. È sufficiente affermare che ciascun giocatore ha il suo percorso o in questi mesi qualche rimpianto si è fatto largo?
«No, la realtà è proprio questa. E il caso di Kylian Mbappé, appena citato, lo dimostra. I tifosi non vorrebbero mai rinunciarvi, ma a determinare la sua strada sono altri fattori. Soprattutto personali e, appunto, non controllabili dall’esterno. Il mio caso, con la decisione di accettare la proposta del Bellinzona, non fa eccezione».
In ogni caso non sei l’unico ad aver abbracciato la Svizzera e il suo calcio. Ismaël Gharbi, a sua volta ex PSG, si è appena accasato allo Stade Losanna. Mentre in queste ore ha firmato Tommaso Maressa, prodotto della Juventus Next Gen, contro il quale hai giocato nella UEFA Youth League. All’estero, fra i giovani calciatori, la Super e la Challenge League godono di una buona reputazione?
«È così. La visibilità dei principali campionati svizzeri è davvero importante. Il che li rende perfetti agli occhi di chi - come il sottoscritto - è chiamato a muovere i primi passi nel calcio degli adulti».
Sin qui sei soddisfatto del tuo percorso con i granata? Insomma, senti di aver fatto la scelta giusta?
«Sì, sono molto felice. Scendo in campo con regolarità e mi ritrovo appieno con la filosofia dello staff spagnolo, che come al PSG privilegia il possesso e il gioco palla a terra. Manuel Benavente, Mario Rosas e i loro collaboratori sono inoltre molto esigenti, e sinceramente lo apprezzo. Sanno come tirarmi fuori il meglio e le prestazioni che sto offrendo mi suggeriscono che ci stanno riuscendo. Noto dei progressi e il fatto che la difesa del Bellinzona sia la terza meno perforata della Challenge League mi conforta».


Da Parigi alla piccola Bellinzona. Fuori dal campo, adattarsi a una realtà così piccola e periferica dev’essere stato difficile.
«La barriera principale è stata la lingua. Per il resto non mi posso di certo lamentare. Anzi. Vivo a Cresciano, un luogo magnifico, di cui apprezzo la tranquillità e le piccole cose. Francamente, se penso al caos parigino, sul piano della qualità di vita ho senza dubbio fatto un passo avanti».
Hai provato il brivido del Rabadan?
«Non ho partecipato ad alcuna serata. Ho preferito rimanere concentrato sui nostri impegni e anche se in occasione dell’ultimo match ero squalificato, riposare in vista dell’importante sfida con il Wil mi è sembrata la cosa più saggia. Passeggiando per il centro, comunque, ho potuto percepire la portata dell’evento. Un appuntamento di questo tipo a Parigi non esiste».
Un’ultima curiosità. Sei nato e cresciuto a Lagny-sur-Marne, come Paul Pogba. Da ragazzo lo juventino è stato una fonte d’ispirazione? E ora quanto fa male vederlo ai margini del calcio per un presunto caso di doping?
«Siamo nati nello stesso luogo, in effetti. Ma Pogba non è stato il mio idolo. Calcisticamente mi sono ispirato ad altre figure, come Marquinhos, Carvajal, Dani Alves o Marcelo. Considerati i successi ottenuti, Paul ha rappresentato piuttosto un modello da seguire. E ciò nonostante le ultime, spiacevoli vicissitudini. Il suo caso dimostra come in mondo mediatizzato quale quello del pallone sia sempre più importante proteggersi e affidarsi a persone fidate».