Calcio

Dopo Alioski è tornato Sadiku: «Ma l'osteria insieme a Gianni dovremo aprirla sul Ceneri»

Prime parole da giocatore del Bellinzona per l'attaccante albanese: «Se i tifosi del Lugano l'hanno presa male? In realtà mi hanno scritto in molti»
Armando Sadiku e Gianni Alioski - oltre a Dragan Mihajlovic, oggi pure granata - ai tempi del Lugano. © CdT/Archivio
Massimo Solari
05.08.2025 20:00

«Scusa, ora scappo. Devo visitare un appartamento a Lugano». Da pochi giorni, Armando Sadiku veste la maglia del Bellinzona. Una parte del suo cuore, però, è rimasta in riva al Ceresio, dove continua a sentirsi a casa. Sono trascorsi sei anni dall’addio ai bianconeri e alla Svizzera. L’attaccante albanese ha fatto un giro immenso, ma alla fine ha deciso di ritornare. Ecco le sue prime parole da giocatore granata.

Armando, come è nata e come si è sviluppata la trattativa con l’ACB?
«A fungere da trait d’union, inizialmente, è stato Mihajlovic. Dragan, che conosco dai tempi del Lugano, mi ha messo in contatto con la società. Dopodiché ho discusso con la proprietà, il cui progetto e le cui intenzioni mi sono subito sembrate serie».

Ma era da molto che meditavi di fare ritorno in Svizzera?
«Beh, non ho mai perso di vista il campionato elvetico. E, sì, nella mia testa era chiaro che la chiusura del cerchio, possibilmente, avrebbe dovuto compiersi in Svizzera. Non da ultimo per riavvicinarmi a mia moglie e ai miei due figli, che abitano a Monaco di Baviera. In realtà, mi sarebbe piaciuto disputare ancora una stagione all’estero, in India. Ma, come spiegavo, si sono creati i presupposti per un ritorno anticipato».

I tifosi del Lugano, però, non l’avranno presa bene...
«In verità mi hanno scritto in molti. E, comunque, questo è il calcio. A essersi interessato al sottoscritto è stato il Bellinzona e ora difendo i colori granata. Detto questo, rimarrò per sempre un tifoso del Lugano, club con cui ho vissuto stagioni esaltanti, condite da molti gol. E lo stesso, naturalmente, vale per il Locarno».

Hai 34 anni e sei reduce da due stagioni nel massimo campionato indiano. Senti di possedere ancora il livello e i numeri per la Challenge League?
«Lo spero. Ma ero fermo da aprile e, ora, ho appena sei allenamenti nelle gambe. Insomma, mi servirà un po’ di tempo per provare di nuovo le migliori sensazioni e affinare l’intesa con i compagni. Il campionato, ad ogni modo, lo conosco bene. E bene mi sento pure sul piano fisico. Perciò sono fiducioso. Fare ancora la differenza è possibile».

Rimarrò per sempre un tifoso del Lugano, ma il calcio è fatto così e il Bellinzona mi ha voluto fortemente

Hai assistito alla pesante sconfitta casalinga contro il Neuchâtel Xamax. Il Bellinzona è una squadra in costruzione, con pochissimi punti di riferimento. Quanto scalpiti per poter aiutare il gruppo ad assestarsi?
«In effetti è tutto nuovo. Per me, così come per molti altri giocatori. Non ci conosciamo e necessitiamo di allenamenti e partite per trovare il giusto equilibrio. Nel frattempo speriamo di perdere meno punti possibili nei primi turni della stagione. Per quanto mi riguarda, sono a disposizione. Anzi, sono pronto a fare del mio meglio già da sabato per sostenere un gruppo che, nonostante tutto, ritengo di qualità».

Tra Super e Challenge League - campionato di cui sei per altro stato due volte il capocannoniere - hai realizzato 87 reti. Te la senti di promettere ai tifosi granata che arriverai a quota 100?
«Di sicuro ci proverò. D’altronde segnare è il mio pane. Sono qui per questo. Il club mi ha voluto per questo. E spero che i miei compagni riescano a mettermi nelle migliori condizioni per continuare a fare ciò che ho sempre fatto. Gol».

Alcuni dei tuoi numerosi gol in Svizzera sono nati dalla grande intesa con Gianni Alioski, ai tempi del Lugano. Destino vuole che entrambi abbiate scelto di riabbracciare il Ticino quest’estate, seppur in club differenti. Vi siete sentiti?
«Certo. Ci sentiamo sempre. E mi ha fatto felice sapere che sarebbe tornato a vestire la maglia del Lugano. Gli auguro nuovi successi in bianconero, perché se li merita».

E con l’«Osteria da Gianni e Armando» come la mettiamo?
«Temo che dovremo aprirla sul Monte Ceneri, a metà strada (ride, ndr)».

Prima del Lugano, comunque, c’era stato il Locarno di Davide Morandi, tecnico che ha lanciato definitivamente la tua carriera. Ti ha scritto anche lui dopo la firma al Comunale?
«È stato il primo a farlo. Davide è stato fondamentale in una fase delicata del mio percorso. In fondo a Locarno ero un ragazzo che sognava di diventare un calciatore vero. E lui ha saputo toccare le corde giuste per permettermi di muovere i primi passi nella giusta direzione. Non smetterò mai di ringraziarlo».

Il mio girovagare per il mondo? Questione di momenti e di opportunità, come pure di coraggio

In India hai difeso i colori del Mohun Bagan Super Giant, a Calcutta, e del Goa, a Margao. Che esperienze, di vita e di calcio, sono state?
«Ho avuto la fortuna di giocare per la migliore formazione del Paese, vincendo subito tutto. Dal punto di vista sportivo è stata un’esperienza oltremodo positiva. Anche perché il campionato è organizzato bene e muove decine di migliaia di tifosi a ogni partita. Davvero, l’ambiente allo stadio è spettacolare. Poi non nascondo che il contesto, fuori dal campo, può essere complicato. Non a caso, alla lunga, la lontananza dai miei famigliari e dall’Europa si è fatta sentire».

Ma è vero che il contratto che ti legava al Goa è stato sciolto anticipatamente per quella esultanza sopra le righe - con tanto di gesto degli attributi - in occasione della semifinale dei playoff di aprile?
«A calcare la mano su quell’episodio sono stati soprattutto i media locali. Ma non è per quel motivo che, insieme a un club per cui nutro grande rispetto, abbiamo deciso di rescindere il contratto con un mese d’anticipo. Il mancato accesso alla finale dei playoff ha incrinato l’umore dello spogliatoio, ripercuotendosi pure sulle mie motivazioni. La voglia di riabbracciare l’Europa ha fatto il resto».

Albania, Svizzera, Polonia, Spagna, Turchia, Bolivia, India. Il pallone ti ha fatto fare un giro immenso, spingendoti altresì lontano dalla tua comfort zone. Ci vuole coraggio. Che cosa ti ha spinto a compiere queste peripezie?
«È un po’ il destino dell’attaccante di razza, con il fiuto del gol. Ricoprendo questo ruolo, basta un buon campionato per finire sulla bocca e sui taccuini di tutti. Poi, va da sé, è pure una questione di momenti e di scelte. Scelte anche difficili, per le quali - in effetti - serve una buona dose di coraggio. Infine, e non ho problemi a riconoscerlo, se ho accettato alcune proposte è stato anche per migliorare la mia situazione economica e quella della mia famiglia. Non ho rimpianti».

Bellinzona e il Comunale saranno quindi le ultime tappe del tuo lungo percorso?
«Ho sottoscritto un contratto valido per una stagione, con opzione per un secondo campionato. E se continuerò a sentirmi bene sul piano fisico, cercherò di dare il mio contributo. Quindi sì, non escludo che possa essere l’ultima tappa del mio viaggio. Il campionato svizzero mi ha fatto crescere. E qui mi sento a casa».

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