«È la Svezia sotto pressione, non la Svizzera»

L'ultima volta che la Svizzera si esibì in casa della Svezia, nel marzo del 2002, in amichevole, Murat Yakin era in campo. L'ultima volta che i rossocrociati si giocarono qualcosa d'importante contro gli scandinavi, negli amari ottavi di finale del Mondiale 2018, Remo Freuler c'era, costretto però a mordere il freno in panchina. Nella pancia della Strawberry Arena, mentre all'esterno è già notte fonda e non smette di piovere, entrambi riprendono le misure della selezione delle Tre Corone, domani avversaria dei rossocrociati nel terzo turno delle qualificazioni alla prossima Coppa del Mondo.
Vincere ancora, dopo le due prime curve del girone affrontate in modo spumeggiante, significherebbe mettere una seria ipoteca sul biglietto per il torneo americano. Di fronte, però, gli elvetici si troveranno una formazione ferita, e soprattutto obbligata a trovare il successo alla luce del misero punto colto nelle sfide con Slovenia e Kosovo, squadre al contrario surclassate dalla Svizzera.
Il ct rossocrociato, va da sé, non si fida. Dopo tutto, dovrà vedersela con un attacco da 270 milioni di euro, considerate le spese folli dell'estate per Gyökers, Isak ed Elanga. «Parliamo di profili importanti, che fanno la differenza ad alto livello. Anche la mia squadra, però, dispone di giocatori di spessore, che non penseranno troppo a chi hanno di fronte, quanto al piano partita sul quale abbiamo lavorato in questi giorni. Chi è il favorito? Giochiamo in trasferta, in uno stadio pieno di svedesi. Non saprei dire chi parte avvantaggiato. Di sicuro ci troviamo in una situazione favorevole, mentre il nostro avversario sarà chiamato a gestire la pressione, nonché il forte desiderio di rifarsi dopo l'avvio negativo. Per quanto ci riguarda non intendiamo fare calcoli. No, non riflettiamo su cosa accadrebbe in caso di due ulteriori vittorie. Le cose, in un gruppo del genere, possono andare molto veloce».
Freuler, suggerivamo, non dimentica il precedente con gli svedesi: «Beh, fummo eliminati dal Mondiale. Non lo definirei un bel ricordo». A maggior ragione sul piano personale. «Non giocai quella partita, così come non disputai un minuto in Russia. E non è esattamente ciò che un giocatore si augura in un contesto così prestigioso. Ecco perché quell'esperienza mi ha permesso di crescere tantissimo, come calciatore e come uomo. Ho capito che dovevo fare di più. E oggi sono fiero di poter guidare la Nazionale contro la Svezia, in qualità di titolare e leader».