L'addio al Lugano, la Bundesliga e il no alla Svizzera: ora parla Albian Hajdari

Da luglio a ottobre il suo nome è stato sulla bocca di tutti. Sia in qualità di uomo mercato del Football Club Lugano, per cui l’Hoffenheim ha infine sborsato una cifra attorno ai 5 milioni di franchi, sia perché conteso da Svizzera e Kosovo, con quest’ultima nazionale che - non senza polemiche - ha prevalso. Dopo essere stato oggetto di tanto chiacchiericcio, a parlare al Corriere del Ticino - ora - è lui: Albian Hajdari.
Albian, hai impiegato solo tre settimane per diventare un giocatore titolare dell’Hoffenheim. Per diventare un giocatore già all’altezza della Bundesliga. Te lo aspettavi?
«Non è stato sicuramente facile. Anche perché i giorni che hanno preceduto e seguito il mio trasferimento sono stati un po’ folli. Dopo l’infortunio di un paio di difensori, l’Hoffenheim aveva bisogno di un giocatore con determinate caratteristiche, in grado di integrarsi subito. Ed è così che si è arrivati al sottoscritto. Contro l’Eintracht Francoforte - in occasione del mio esordio a fine agosto - ho però avvertito di essere in ritardo a livello di ritmo e condizione. La pausa delle nazionali d’inizio settembre, come pianificato, mi ha quindi permesso di recuperare terreno e ritrovare le migliori sensazioni. Quelle che stanno accompagnando me e la mia nuova squadra da alcune settimane».
L’Hoffenheim, in effetti, sta disputando un campionato positivo, a ridosso dei migliori club tedeschi. Dopo quelli di vertice vissuti a Lugano, quali differenze hai notato con la Super League?
«Beh, l’intensità della Bundesliga e la qualità dei suoi giocatori sono semplicemente di un altro livello. D’altronde parliamo di una delle cinque migliori leghe al mondo. In Svizzera, oltretutto, Basilea, Young Boys e di recente pure il Lugano hanno dimostrato di poter emergere puntualmente sulla concorrenza, a medio-lungo termine. In Germania, tolto il Bayern Monaco, ogni avversario può spuntarla sull’altro. Il che rende il torneo molto interessante e divertente».
A proposito di esperienze in Svizzera e in Germania. Sbagliamo o Amoura rimane imprendibile?
«Altroché. Anzi, negli anni è diventato ancor più veloce ed esplosivo rispetto agli anni in bianconero. È stato bello incontrarlo e sfidare il suo Wolfsburg domenica scorsa. Certo, peccato che - nonostante il nostro successo - sia riuscito a firmare una doppietta. Ma questo è il calcio».
Il tuo ruolo, subito importante in uno dei tornei più competitivi al mondo, così come quello di Amoura, suggeriscono la bontà del lavoro svolto a Lugano, vero?
«È così. Ma altrettanto importanti sono i piani del club che investe su di te. Amoura, per esempio, ha sfruttato al meglio la tappa intermedia in Belgio, senza la quale non sarebbe probabilmente diventato un attaccante così decisivo in Bundesliga. Per quanto mi riguarda ho compiuto direttamente il salto, e però alcune buone partite non possono e non devono bastare per dipingermi come un protagonista del massimo campionato tedesco. A contare sarà la costanza di rendimento».
Quanto è stato importante, da un punto di vista personale, sapere che l’Hoffenheim ha acquistato il tuo cartellino al notevole valore fissato dal club bianconero e non a un prezzo discount?
«A regolare il mercato e, di riflesso, le trattative fra club è come sempre il principio della domanda e dell’offerta. Poi è vero che nel mio caso erano stati anche fissati dei paletti chiari fra me e il club, che non mi ha mai fatto mancare la sua fiducia. La somma versata dall’Hoffenheim per acquistarmi è senz’altro ingente e, sì, mi ha reso orgoglioso. Credo però che debba rendere orgoglioso pure il Lugano, una piattaforma che funziona e che ha dimostrato di poter valorizzare elementi come Hajdari, Amoura e - ne sono sicuro - presto altri».
A Cornaredo eri una delle pedine più preziose dello scacchiere di Mattia Croci-Torti. Ti ha sorpreso la scelta della società di non sostituirti?
«Difficile da dire. Non dimentichiamo che il mercato era agli sgoccioli e reagire, in circostanze simili, non è mai evidente. Detto questo, ritengo che il Lugano e il Crus dispongano di buone alternative in retrovia. E ciò al netto delle difficoltà incontrate a inizio stagione».
Ecco, a proposito. Prima che si concretizzasse la cessione all’Hoffenheim, hai vissuto un’estate strana e per certi versi complicata. Inizialmente sei stato messo da parte dal Crus, poi sei sceso in campo nei preliminari europei contro lo Celje, dopodiché sei rimasto un paio di match in panchina. Aiutaci a capire.
«Tutto è stato concordato con la società. Dall’inizio. Anche se gestire quelle settimane non è stato affatto semplice. Da un lato c’erano diversi interessamenti, dall’altro la Super League che scattava con largo anticipo rispetto ai principali campionati. A un certo punto, tuttavia, si è anche trattato di non speculare sulla mia condizione fisica, permettendomi di mantenere il ritmo e, al contempo, di venire integrato al 100%, portandomi almeno in panchina o concedendomi qualche spezzone di partita. Capisco come non sia stato evidente pianificare una squadra con Hajdari, senza di fatto poterlo veramente sfruttare. Però ribadisco: i patti e la comunicazione con staff e club sono sempre stati chiari».
Ma c’è stato un momento in cui hai avuto paura che, di nuovo, un trasferimento all’estero sarebbe sfumato?
«No, questa volta ero sicuro che la mia cessione non avrebbe trovato ostacoli insormontabili. Insomma, non era più una questione di se, ma unicamente del momento giusto».
L’approdo in Bundesliga, naturalmente, non è stato l’unico highlight delle ultime settimane. Hai anche scelto di vestire la maglia del Kosovo, rinunciando alla Svizzera che ti aveva già dato fiducia. Quanto è stata brava la Federcalcio presieduta da Agim Ademi e quanto, al contrario, ha fallito l’ASF nella sua opera di convincimento?
«La Federazione kosovara stava esercitando la sua influenza da oramai un anno e mezzo, periodo lungo il quale ho anche esordito con la Svizzera. E, sì, gestire il tutto non è stato facile. Sono e mi sento kosovaro, e però il mio percorso di calciatore mi ha spinto a voler sperimentare - da dentro - anche la nazionale maggiore del Paese che mi ha formato. Volevo capire come mi sentissi nel contesto rossocrociato. Dopodiché ho avuto numerosi colloqui sia con Murat Yakin, sia con il ct del Kosovo Franco Foda. E la somma delle sensazioni provate durante queste discussioni con quelle più intime, hanno portato me e il mio entourage a optare per il Kosovo».
Ed è per certi versi incredibile che ora tu possa ambire concretamente al Mondiale 2026 giocando al fianco di Kreshnik Hajrizi e Amir Saipi...
«Lo è. Il piccolo Kosovo che può scrivere la storia, qualificandosi per la prima volta a un grande torneo. L’opportunità è lì, da cogliere, anche se occorrerà un passo falso della Svizzera contro la Svezia. Ne siamo consapevoli, così come sappiamo di dover cogliere più punti possibili a Lubiana e a Pristina con i rossocrociati. Vivere questa avventura con giocatori ed ex compagni come Kresh e Amir rende naturalmente tutto più speciale. Anche per loro, che militano ancora in un campionato di secondo livello come la Super League, la posta in palio è enorme».
Saipi è tornato a difendere i pali del Lugano dopo aver dovuto digerire l’arrivo e il sorpasso di David von Ballmoos. Ne avete discusso?
«Per un portiere gestire dinamiche del genere è ancora più difficile. Amir ha iniziato la stagione da numero uno e di colpo si è ritrovato in panchina. Sì, abbiamo avuto modo di parlarne durante l’ultima sosta delle nazionali e per come conosco il suo carattere credo che quanto avvenuto a Cornaredo possa renderlo ancora più forte. Da frangenti come quelli che ha vissuto si può solo imparare, reagendo e mostrando - con i propri valori e le proprie qualità - di poter tornare a essere il portiere titolare del Lugano. Sono convinto che possa farcela e, di certo, è quanto mi auguro per lui».


