L'intervista

«Criticare il Mondiale è legittimo, ma chi ama il calcio si divertirà»

Ex portiere della Nazionale e oggi attivo in seno alla FIFA, Pascal Zuberbühler ricorda la sua Coppa del Mondo 2006 e difende la bontà di quella imminente in Qatar
Massimo Solari
08.11.2022 06:00

Mancano meno di due settimane ai Mondiali in Qatar. L’avvicinamento al torneo, più che di calcio e passione, si è però nutrito di aspre polemiche. Ne abbiamo discusso con l’ex portiere della nazionale Pascal Zuberbühler, oggi attivo al Dipartimento di sviluppo tecnico della FIFA.

Quante partite al giorno riuscirà a seguire a Doha?
«È un Mondiale speciale, racchiuso in una sola città. Io farò parte di uno dei due gruppi FIFA, formati da sei persone e chiamati ad analizzare tutte le gare del torneo. In una prima fase, assisteremo a due incontri giornalieri. Il mattino seguente, si procederà quindi a una valutazione condivisa. Per il dipartimento tecnico, considerato questo ritmo, sarà una sfida notevole ed eccitante».

La maggior parte dei giocatori passerà dalle temperature autunnali del Vecchio continente ai 30 gradi di Doha. A suo avviso, con quali conseguenze?
«Il fatto che si giochi nel cuore della stagione costituirà un vantaggio. Chi scende in campo è al top della forma. E rispetto ai tradizionali Mondiali estivi, pure sul piano mentale non arriverà scarico all’appuntamento. Mi aspetto dunque delle partite più intense sul piano atletico e di alto livello a livello tecnico e tattico. Il clima? Non parliamo di 40 gradi negli stadi. No, di 25, massimo 30 gradi: e, vi assicuro, non esistono condizioni migliori per giocare a calcio. A maggior ragione considerata l’atmosfera e la bellezza degli impianti».

Pascal Zuberbühler insieme al ct della Nazionale Murat Yakin. ©Keystone/Buholzer
Pascal Zuberbühler insieme al ct della Nazionale Murat Yakin. ©Keystone/Buholzer

A proposito di Svizzera e mondo arabo: che ricordi ha dell’esordio in rossocrociato, nel 1994, contro gli Emirati Arabi Uniti?
«Indimenticabile. Ma bisognerebbe chiedere a Murat Yakin se la pensa allo stesso modo... (ride, ndr). Si giocava al Tourbillon di Sion e Roy Hodgson fece debuttare entrambi. Io entrai in campo a mezz’ora dal termine; dieci minuti dopo Muri venne espulso. Incredibile».

Qual è il suo rapporto con il ct rossocrociato?
«Murat è un amico. E sono fiero di poterlo affermare a distanza di così tanti anni. Insieme abbiamo assaporato lo spogliatoio di GC, Basilea e della Nazionale; l’intesa è sempre stata buona. Se vogliamo, tutti e due eravamo dei maschi alpha. La testa dura, ma la stessa voglia di conquistare titoli. Il rispetto reciproco, inoltre, non è mai venuto meno. Lungo la carriera di un calciatore le amicizie sono rare e semmai si sviluppano fuori dal campo. Con Muri è stato diverso. Potremmo scrivere un libro sulle avventure condivise».

Lei attese addirittura 12 anni per vivere da protagonista un grande torneo, in Germania. È un po’ come se Sommer riuscisse a giocare il suo primo Mondiale nel 2026. Cosa è cambiato?
«Il mio percorso in rossocrociato non è stato facile. I ct, in quegli anni, cambiavano spesso. E da Hodgson a Trossero, tutti avevano il proprio numero uno. A non mutare mai era il mio ruolo di riserva. Avrei potuto mollare, chiedere di essere lasciato in pace. Ma la mia mentalità non lo concepiva. In carriera ho dovuto combattere tanto. Siamo onesti: non ero un talento. E, dunque, per imporsi serviva una forza di volontà smisurata. In Nazionale ho sempre spinto per diventare il numero uno, senza arrendermi. A 34 anni, dunque, ecco la grande chance a un Mondiale, sotto la gestione Kuhn. La soddisfazione fu enorme, come pure la pressione. A livello di club avevo incontrato diverse difficoltà e pure il rapporto con i giornalisti non era idilliaco. Era però giunto il mio momento. Non potevo sbagliare nulla. Farlo, con ogni probabilità, avrebbe chiuso anzitempo la mia carriera».

I miei occhi non sono bendati. È un torneo particolare e però ricco di novità. Invito solo i tifosi ad allargare la visuale

Non incassò reti in quattro partite. Non una. Cedendo solo ai rigori negli ottavi stregati contro l’Ucraina. Teme che il suo record di imbattibilità, prima o poi, cada?
«Da un lato questo primato mi rende fiero. È ovvio. Dall’altro, tuttavia, non mi ha portato nulla. E mi capita spesso di ricordarlo al presidente Infantino. Perché di trofei o congratulazioni ufficiali per questo record non ne ho mica ricevuti. Zero. E dirò un’altra cosa. Quando nel 2006 tornai in Svizzera, seguii quarti, semifinali e finale. Senza darmi pace. Continuavo a interrogarmi: “Zubi, non hai fatto mezzo errore e però sei casa. Ma come è possibile?”. Ripensandoci, ancora e ancora, sono quindi giunto a una conclusione. Non avrei mai dovuto parare il primo rigore a Shevchenko: all’ultimo decisi di tuffarmi a destra e non a sinistra, come prevedevo di fare avendo studiato alla perfezione i rigoristi avversari. Ebbene, probabilmente bloccando il tiro di Sheva ho messo troppa pressione ai miei compagni (ride, ndr)».

Il rigore parato a Shevchenko, negli ottavi di finale dei Mondiali del 2006. ©EPA/Scheidemann
Il rigore parato a Shevchenko, negli ottavi di finale dei Mondiali del 2006. ©EPA/Scheidemann

Torniamo ai Mondiali in Qatar. Complici i campionati in corso, l’euforia per il torneo appare sopita. A complicare il tutto vi sono inoltre le molteplici polemiche sul Paese organizzatore e la stessa FIFA. È preoccupato?
«È un torneo particolare. Ne sono consapevole, non ho gli occhi bendati. Si tratta anche di una sfida enorme per i diversi attori coinvolti: squadre, giocatori, tifosi. Non era mai successo di vivere un Mondiale in un unico luogo, con otto stadi nello spazio di 75 chilometri. Una novità assoluta. E, personalmente, ciò che è nuovo mi ha sempre stimolato. Non lo dico perché lavoro alla FIFA, ma sono certo che chi vivrà e seguirà questa Coppa del Mondo si divertirà. Di più: sono curioso di scoprire quale selezione saprà adattarsi meglio al contesto speciale. Chi, insomma, diventerà il nuovo campione del mondo? La maggior parte degli addetti ai lavori non scommetterebbe un franco sul Qatar. Io la penso diversamente. Sì, i padroni di casa potrebbero essere la sorpresa del torneo».

Insistiamo. A oggi, più che dei candidati al titolo, si discute degli errori della FIFA e delle violazioni commesse dall’Emirato.
«È l’hype del momento. Vero. E mi dispiace. Trovo infatti che, sinora, si sia voluto accentuare solo gli aspetti negativi del torneo. Se vogliamo, indossando i paraocchi. Lo accetto, è legittimo, ma per quanto mi concerne sono focalizzato sul 20 novembre. Da questa data, ne sono sicuro, emergeranno prepotentemente i lati positivi del Mondiale. Riuscire a offrire partite grandiose, in un ambiente elettrizzante, è il nostro obiettivo. Non solo: sono convinto che, una volta iniziato il torneo, l’euforia verrà da sé. Qui e nel resto del globo. Invito semplicemente i tifosi ad allargare un po’ la propria visuale».

Ma chi boicotta i Mondiali, lasciando spenta la tv o rinunciando ai maxischermi, non ama il calcio? Non è un vero tifoso?
«Quale sarebbe la reazione di queste persone qualora la Svizzera giungesse in semifinale? Mantenere la tv spenta? Bene, allora - per il sottoscritto - non parliamo di veri tifosi. Punto due: la questione degli stadi e del trattamento riservato agli operai. Chi continua a puntare il dito contro la FIFA non ha la minima idea dello sforzo compiuto in questi anni per migliorare la situazione dei lavoratori migranti. Davvero, ci siamo impegnati a risolvere i problemi emersi dopo l’assegnazione del torneo. Non a tutti gli operai - ne sono cosciente - è stato riservato il miglior trattamento. Ma il sostegno nei loro confronti, lo ribadisco, è stato viepiù importante e concreto proprio grazie al Mondiale. Se penso ai sostenitori che hanno deciso di non recarsi in Qatar per protesta, però, sorrido anche. Molti di loro sono già stati in questi luoghi in vacanza. E dove hanno dormito sereni? In hotel costruiti proprio da coloro che oggi ritengono di dover difendere in prima persona».

Sono giunto a una conclusione: ai Mondiali del 2006, negli ottavi contro l'Ucraina, non avrei mai dovuto parare il rigore di Shevchenko. Misi troppa pressione sui miei compagni

Per Jürgen Klopp ci si sta svegliando con colpevole ritardo. Non solo: il tecnico del Liverpool non ritiene corretto che debbano essere i giocatori a schierarsi sui temi controversi di Qatar 2022. Immagino sia d’accordo...
«È così. Anche se credo che vi saranno singole prese di posizioni. Fossi un ct, comunque, vorrei che i miei uomini si concentrassero unicamente sul campo. E proprio ai calciatori mi rivolgo: vi attende la competizione più prestigiosa al mondo, la più bella forse che vivrete lungo una carriera, e se c’è un luogo dove mettersi in mostra è il rettangolo verde. Non in zona interviste, esprimendosi su questioni politiche. Accadrà, perché le domande saranno poste. La risposta migliore, tuttavia, rimane quella fornita con la palla fra i piedi. Per la propria nazione, in una vetrina eccezionale».

Pure Zinedine Zidane ha voluto mettere il pallone al centro del dibattito. Eppure, restando ai grandi giocatori del passato, c’è chi critica apertamente l’organizzazione, come Philipp Lahm. Comprende anche quest’ultima posizione?
«È molto facile leggere i rapporti di una o l’altra organizzazione e appoggiarne la tesi. Eppure, da quanto so, Lahm non è stato a Doha di recente per valutare in prima persona come si è sviluppato il Paese grazie alla Coppa del Mondo. Grazie al calcio. E non lo sostiene la FIFA. No, a dirlo sono sindacati riconosciuti internazionalmente. Insomma, non essendo uno specialista, su determinati dossier io prediligerei la via della prudenza. Limitandomi all’aspetto sportivo, sul quale, al contrario, dispongo delle competenze. Poi ognuno è libero di esprimere la propria opinione, ci mancherebbe».

In fondo la gestione Infantino ha ereditato un’attribuzione problematica. E da diversi anni si è impegnata per implementare delle riforme in Qatar. Eppure c’è qualcosa che stona, quando ad esempio il presidente parla dei Mondiali «più belli di sempre» o invita le federazioni a concentrarsi sul calcio, conoscendo i molteplici dossier scottanti che accompagnano il Qatar. Non sarebbe meglio un atteggiamento meno arrogante?
«Mi permetto di menzionare i Mondiali 2018. E, tengo a precisarlo, mi fa sentire male parlare oggi della Russia. Anche allora si discusse molto prima dell’inizio del torneo. Ma dopo due giorni la soddisfazione era enorme. Ora, su Infantino si possono affermare molte cose. In fondo ciascuno di noi ha il diritto di esternare il proprio giudizio. È umano. Sì, anche ritenere che Gianni sia arrogante. Tuttavia, se si conoscesse meglio l’abnegazione del presidente della FIFA a favore del calcio, tanti pregiudizi ed etichette verrebbero a cadere. Parliamo di uno stacanovista che - spendendosi come pochi altri - cerca di svolgere nel migliore dei modi il proprio ruolo. E il modo in cui ha scelto di promuovere il Mondiale, con parole e azioni, è il suo modo. Sì, anche nella misura in cui comporta di soggiornare per buona parte dell’anno in Qatar, pur continuando a vivere in Svizzera. Infantino crede profondamente in questo Mondiale e vuole mostrarne la bontà e la bellezza alla gente».

Il presidente della FIFA Gianni Infantino - affiancato dalla segretaria generale Fatma Samoura - aveva invitato i 31 Paesi qualificati ai Mondiali «a concentrarsi sul calcio». Evitando, invece, «di impartire lezioni di morale al resto del mondo». Una lettera, quella inviata negli scorsi giorni, che non è piaciuta a dieci federazioni. ASF compresa. In una risposta comune, le associazioni hanno affermato - una volta di più - di voler difendere i diritti umani, sostenendo i lavoratori migranti impiegati in Qatar e continuando a mettere pressione sulla FIFA affinché rispetti le promesse fatte a margine del torneo. «Abbracciare la diversità e la tolleranza significa sostenere i diritti umani. Che sono universali e si applicano ovunque».
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