Decolla il Mondiale rossocrociato e ogni cuore palpita a modo suo
L’aereo per Doha è decollato alle 14.45 ed è atterrato alle 20.46 ora elvetica. Come da programma. In stiva decine e decine di borsoni carichi di materiale. Nei bagagli della Nazionale svizzera, con un pizzico di immaginazione, era però possibile intravedere anche i sogni. Tra sorrisi, abbracci e speranze, il Mondiale rossocrociato ha infine preso il volo.
Il primo giocatore a fare capolino nella hall del Radisson Blu, quartier generale elvetico per qualche ora, è stato Edimilson Fernandes. Buffo. All’inizio dell’estate, la convocazione del 26.enne sarebbe probabilmente stata l’ultima sulla quale scommettere. «Ricordo bene il mio ritorno a Magonza, dopo il prestito allo Young Boys: la società voleva disfarsi di me e io volevo andarmene». Tutto molto chiaro, già. Le cose, però, sono andate molto diversamente. Da settembre il vallesano è un titolare inamovibile del club di Bundesliga. Per di più in difesa, lui che in Svizzera – sponda Sion - si era fatto conoscere da trequartista. «Da allora sto solo arretrando» afferma ridendo. «E, sì, vestire la maglia numero 2 ai Mondiali sarà quantomeno bizzarro».
Eppure, se è partito alla volta del Qatar, Edi lo deve proprio al nuovo ruolo assunto in Germania. «Qualche anno fa non l’avrei mai detto, ma ora giocare in retrovia mi piace un sacco». Va da sé, Murat Yakin se n’è accorto. «In ottobre è venuto a osservarmi, in occasione della sfida contro il Lipsia» ricorda Fernandes: «In quel momento ho capito di avere una chance. Ho fatto del mio meglio nelle settimane successive, sino alla telefonata del ct. Una sorpresa. Una bellissima sorpresa». Edimilson sarà uno dei due soli romandi presenti nella spedizione rossocrociata. «Ma non lo definirei un problema. L’ambiente è buono. Ci conosciamo praticamente tutti». Oddio, non proprio.
I più giovani
Fabian Rieder, per dire, ha firmato un piccolo, grande exploit. Prima convocazione in Nazionale. E subito il colpo grosso: Qatar 2022. «No, non avevo pianificato nulla per le prossime settimane» assicura il talentuoso centrocampista dell’YB. «Non l’ho fatto poiché, sino all’ultimo, ho sperato nella chiamata di Murat Yakin». Una settimana fa, il telefono ha quindi squillato. «Quella con l’allenatore è stata una breve conversazione. Cinque o sei minuti, durante i quali – lo ammetto – ho più che altro balbettato. Sono felice e mi sento altresì fortunato». Rieder non sarà tuttavia il più giovane nazionale in Medio Oriente. Quando Ardon Jashari venne al mondo, il 30 luglio del 2002, si era da poco conclusa l’ultima Coppa del Mondo nel continente asiatico. E il Brasile – secondo avversario della Svizzera nella fase a gironi – aveva trionfato per la quinta volta. «I miei primi ricordi legati a questa competizione? Risalgono al 2006, anche se parliamo di qualche flash; allora ero molto piccolo» ci racconta il gioiellino del Lucerna con voce profonda. «Con l’edizione in Sudafrica, nel 2010, ho per contro iniziato a seguire ogni match. Svizzera-Spagna, certo… E ora, in squadra, ci sono pure io. Un’emozione indescrivibile. Sono consapevole del privilegio che mi è stato accordato. Solo qualche mese fa, determinati giocatori e compagni potevo osservarli solo in televisione». Granit Xhaka, per esempio. Del quale Ardon Jashari si mormora possa essere l’erede naturale. Sì, presente e futuro seduti sullo stesso Airbus della Swiss. «Da questa esperienza condivisa posso solo imparare» conferma uno dei profili più interessanti della Super League. «Farò tesoro di ogni momento insieme. Già in occasione della mia prima convocazione in rossocrociato, a inizio ottobre, ho preso Granit come punto di riferimento. Per il suo carisma e la sua leadership fuori e dentro il rettangolo verde».


I leader indiscussi
Il campo, sabato, il giocatore dell’Arsenal lo ha però abbandonato dopo appena 15 minuti di gioco. Panico. Tra i tifosi e, per un attimo, pure in seno allo staff tecnico. «Ma state tranquilli, sto bene» si affretta a precisare il faro della Svizzera. «Devo solo recuperare le energie. Colpa di un virus influenzale che ha colpito me e i miei cari a Londra». Parzialmente debilitato nel fisico, il capitano è parso al contrario molto sicuro e concentrato davanti a taccuini e microfoni. «La squadra deve porsi grandi obiettivi» il messaggio ribadito a ridosso del decollo. Ad attendere gli elvetici, tuttavia, sarà un sentiero impervio. Ostacoli (come il Brasile), incognite (se pensiamo al Camerun) e altresì un trappolone chiamato Serbia. «Il match con i serbi? È speciale, ma è l’ultimo del girone» taglia corto Xhaka: «La partita più importante sarà senza dubbio la prima». Curioso, perché identiche parole – poco prima – erano state utilizzate dall’altro trascinatore del gruppo: Manuel Akanji. Il centrale del Manchester City si è detto pronto a giostrare anche da terzino destro. Come per altro già fatto in Premier League. «Naturalmente solo se dovesse essere necessario» aggiunge. Beh, in una rosa con un solo giocatore di ruolo – Silvan Widmer – non ci sentiamo comunque di escluderlo a priori.
Il portiere ammaccato
Di sostituti, Yann Sommer ne avrà addirittura tre. Maledetto infortunio alla caviglia sinistra. Il numero uno del Borussia Mönchengladbach e della Nazionale è stato tra i primi giocatori a raggiungere l’aeroporto di Zurigo, il cuscino del cuore in bella vista e qualche buon libro in valigia. Curiosità, il suo arrivo – illuminato da flash e sguardi preoccupati – ha coinciso con quello di Philipp Köhn. Va da sé, passato totalmente inosservato. E pensare che l’estremo difensore del Salisburgo – a oggi – è il profilo più in forma a disposizione di Murat Yakin e di Patrick Foletti. «Ma il problema alla caviglia è quasi alle spalle» rassicura Sommer. «Si è rivelato un po’ più serio del previsto e anche per questa ragione, nel weekend, abbiamo preferito non rischiare, evitando di anticipare il ritorno in campo in campionato. Sul piano dei movimenti, ad ogni modo, non avverto fastidi e non devo sottostare a particolari limitazioni. Mi sento bene e non ho mai avuto paura di perdere i Mondiali. Davvero, affronto l’avventura in Qatar senza cattivi pensieri». L’auspicio di Yakin, al proposito di ottimismo, è di poter schierare e testare il portiere contro il Ghana. «Vorrei giocare, ovvio. La mia presenza al debutto con il Camerun, però, non dipende dall’amichevole di giovedì».


L’uomo di fiducia
In mezzo, dopo tutto, vi è una settimana intera di allenamenti. E Sommer, classe 1988, li affronterà da veterano. «È lui il più vecchio, non il sottoscritto» chiarisce divertito Fabian Frei. Che a 33 anni, in ogni caso, vivrà il primo Mondiale di una carriera che sembrava oramai al tramonto. L’avvento di Murat Yakin sulla panchina della Nazionale ha invece fermato le lancette del tempo. «Da un lato, la convocazione è stata una sorpresa» riconosce il mediano del Basilea. «Dall’altro ho sempre fatto parte del gruppo negli ultimi impegni internazionali. Insomma, le sensazioni erano positive. Anche se non sono riuscito a scacciare il nervosismo quando sullo schermo del cellulare è apparso il nome del ct».
Frei, invero, non è al primo grande torneo. Agli Europei del 2016, sotto Vladimir Petkovic, fu della partita e disputò una quindicina di minuti al debutto contro l’Albania. «Nel frattempo ho accumulato tanta esperienza. Un bagaglio che spero di poter mettere a disposizione dei compagni. Sì, il ruolo di fratello maggiore non mi dispiace. Quando ci sarà bisogno e se vi saranno domande, io sarò lì per rispondere». Yakin, da parte sua, non ha mai avuto paura ad aggrapparsi all’intelligenza tattica e agli equilibri garantiti dal suo ex giocatore. «Sicuramente conoscere Muri da tanto tempo è un vantaggio» indica Frei: «Per lui ho giocato in tutti ruoli: centrocampo, difesa e persino attacco». Eccola la flessibilità tanto cara al coach. Che, a quasi due ore di distanza dall’arrivo di Edimilson Fernandes, abbraccia e sorride anche a Denis Zakaria. Ci sono tutti. Il viaggio mondiale può iniziare.