Calcio

«Il 2004 e la mia chance sprecata, Lugano non imitarmi»

Carlos Da Silva ha perso l'unica finale di Coppa Svizzera disputata in carriera, nel 2004 con la maglia del GC e contro lo sfavorito Wil - Il suo racconto di quel giorno
Carlos Da Silva, a sinistra, seduto al fianco di Eduardo dopo la finale persa nel 2014. ©Keystone/EDDY RISCH
Massimo Solari
09.05.2022 21:30

Carlos Da Silva ha già assaporato una finale di Coppa Svizzera. Quando gli successe, nel 2004, aveva appena 20 anni. E perdere sul più bello, con il Grasshopper e da chiaro favorito contro il Wil, fu tutto fuorché indolore. «Ora però il cerchio si potrebbe chiudere, se lavori bene una seconda opportunità si presenta sempre».

Diciotto anni fa, agli inizi di aprile, Carlos Da Silva era un giovane 20.enne che non stava più nella pelle?

«Contavo i minuti che mi separavano alla finale di Coppa, sì. La mia prima e ultima finale della carriera. All’epoca, per l’appunto, ero giovanissimo. E mettere subito le mani su un trofeo, va da sé, avrebbe potuto farmi decollare. Ricordate le parole di quell’istituzione di Christian Gross? “Il curriculum di un calciatore si pesa con i titoli conquistati”. Purtroppo il mio, nonostante un bel percorso nel calcio svizzero, è rimasto vuoto».

Il GC in effetti venne sconfitto 3-2 dal Wil. Cosa ricorda di quella finale? È riuscito a dimenticare?

«Ricordo tutto molto bene. Proprio perché quella gara, per il sottoscritto, ha rappresentato una delle poche chance di vincere qualcosa. No, l’amarezza non si è ancora dissolta. Quando incontro i compagni di allora, puntualmente quella brutta sconfitta ritorna a galla. Eravamo favoriti e alla mezz’ora pure in vantaggio per 2-1. Se c’è però una cosa che ho imparato quel giorno, è che i favoriti - in Coppa - non esistono. E anche in vista della finale del Lugano con il San Gallo, lo ritengo un insegnamento prezioso. Nel 2004, comunque, l’espulsione di Tararache a ridosso della pausa complicò il tutto. Peccato, davvero, perché all’appuntamento il GC arrivava in totale euforia, dopo aver vinto il derby con lo Zurigo al penultimo atto. Una partita pazza. All’80’ eravamo ancora sotto per 5-2. Poi la rimonta, davvero clamorosa, e il successo 6-5 ai supplementari».

Rammenta dunque chi sostituì alla pausa?

«Ovviamente. Come in semifinale, diedi il cambio a Stephan Lichtsteiner. Ai tempi abitavamo assieme e posso assicurarvi che - a differenza del campo - era un coinquilino molto tranquillo (ride, ndr.). Scherzi a parte, siamo ancora in buoni contatti. Ho molta stima di Stephan e della sua carriera: senza essere un talento puro, ha dimostrato che con il lavoro quotidiano e la giusta determinazione si può fare la differenza. Diventando uno dei più grandi della storia della Nazionale».

Altro dato per certi versi incredibile. In campo, con lei, c’era anche Reto Ziegler. Ne avete discusso in questi giorni?

«Abbiamo avuto modo di ripercorrere quel cammino con il GC, sì. Brevemente, in ogni caso. La cosa più importante che ci siamo detti, piuttosto, è che a fronte di quella sconfitta, ora vogliamo assolutamente dare un altro senso alla finale con i colori del Lugano».

Nel 2004, contro il Wil, c'era anche Reto Ziegler: entrambi vogliamo dare tutto un altro senso alla finale con il Lugano

Quello non era il grande GC degli anni Novanta, ma era comunque una signora squadra. Qualche nome? Nunez, Gane, Eduardo, Petric, Cabanas... Ci perdoni l’insistenza, dunque. Ma come è stato possibile perdere dal Wil, che di lì a poco sarebbe stato retrocesso in B?

«È stata un’esperienza pesante, non lo nascondo. A maggior ragione considerando che, il weekend successivo, siamo tornati a sfidarci in campionato, a Wil. Ebbene, vincemmo quella gara per 5-1. Terribile».

Ne parlava poco fa: lei ha chiuso la carriera senza alcun successo. Cosa significa per un giocatore?

«Alla fine, a dirla tutta, sono pochi i giocatori che riescono a vincere qualcosa. E le variabili che lo determinano, possono essere molteplici. Dalla squadra in cui giochi, agli infortuni. Di qui lo stato d’animo di diversi giocatori del Lugano, che - oggi - sono consapevoli della grande opportunità che si presenta loro con questa finale. Forse l’ultima. Forse, come nel mio caso, la sola. E, vi assicuro, voltarsi indietro e non avere rimpianti è la soluzione da preferire».

Lei inizia la carriera da giocatore professionista e vive subito una finale di Coppa Svizzera; abbraccia quella da dirigente in un club di Super League e la storia si ripete. Destino?

«Il bello del calcio e della vita, riallacciandomi alla precedente domanda, è che se lavori bene una seconda opportunità si presenta sempre. E ora, certo, l’auspicio è che il cerchio possa in qualche modo chiudersi. Detto questo, sono esperienze completamente diverse. Da giocatore, una finale te la senti addosso, hai il potere di modificarne la storia. Da dirigente o manager, rimani comunque uno spettatore. Il 15 maggio, comunque, non sarà la finale di Carlos Da Silva. No, ne va del prestigio dell’FC Lugano e di un cantone che potrebbe conquistare di nuovo un trofeo, a quasi 30 anni di distanza dall’ultimo. E poi naturalmente c’è la squadra, con i suoi protagonisti, alcuni a Cornaredo da molti anni, altri da meno, ma comunque tutti desiderosi di farcela. Sì, ci crediamo e personalmente sono fiducioso».

Lugano-San Gallo, cosa dobbiamo attenderci?

«Non ci sono favoriti. A mio avviso vincerà la squadra più disperata sportivamente. Quella disposta a soffrire a oltranza e in grado di gestire le emozioni (e la pressione) che inevitabilmente segneranno la partita del Wankdorf. Noi, nel 2004, non ne fummo capaci».

Per lei, in qualità di coordinatore sportivo, c’è comunque tanto in palio. Partiamo dal confronto tra le rose: si sente sotto pressione, a fronte dell’oggettivo divario con i sangallesi?

«No, assolutamente. Gli obiettivi, quando abbiamo fatto mercato, erano chiari: salvare il Lugano e portarlo il più lontano possibile in Coppa. Ci siamo riusciti, per altro in condizioni ben diverse da quelle del San Gallo. Non dimentichiamo che il club biancoverde ha dovuto correre ai ripari durante la pausa natalizia, rivoluzionando un gruppo che si trovava in zona retrocessione. Noi, dopo il girone d’andata, non avevamo al contrario esigenze di questo tipo. Non solo: il nostro mercato - puntuale - è misurabile sul lungo termine, quello del San Gallo - che ha agito bene, nessuno lo nega - esaurirà buona parte dei suoi effetti a giugno».

In caso di vittoria, il Lugano verrebbe proiettato in Europa, alle qualificazioni della Conference League. Come cambierebbe il suo margine di manovra in questo caso?

«Siamo coscienti della portata di un simile traguardo. E sul nostro tavolo vi sono opzioni che contemplano anche questa competizione e i suoi diversi stadi. Naturalmente valuteremo il tutto dopo il 15 maggio». 

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