Sport e ambiente

Il Comitato olimpico ha paura: e se restasse senza candidature?

Riscaldamento climatico e spese infrastrutturali fuori controllo mettono a repentaglio futuro e sostenibilità dei Giochi invernali – Allo studio un sistema di rotazione fra un numero ristretto di città ospitanti – Martin Müller: «Il CIO potrebbe sacrificare la sua missione universale»
Le desolanti immagini di Pechino 2022. ©AP/Luca Bruno
Massimo Solari
02.02.2023 13:45

È trascorso un anno dalle Olimpiadi invernali di Pechino. Le prime affidate interamente alla neve artificiale. Anche se di bianco, sui siti di Yanqing e Zhangjiakou, se n’era osservato ben poco. Ricordate? Lingue solitarie avvolte in un manto un po’ verde, un po’ marrognolo. Per molti, il simbolo dell’insostenibilità ambientale dell’evento. Un brutto ricordo e al contempo una contraddizione, già, che il Comitato internazionale olimpico non riesce a scrollarsi di dosso. Anzi. La crisi climatica figura oramai all’ordine del giorno dell’organizzazione a cinque cerchi, chiamata a garantire un futuro ai Giochi. A sopravvivere, insomma. E a proposito di ancore di salvezza, negli scorsi giorni il presidente del CIO Thomas Bach ha confermato come sia allo studio una proposta tanto drastica quanto - forse - inevitabile. Istituire un sistema di rotazione tra un gruppo ristretto di città/comprensori. Tradotto: dopo il 2030 l’attribuzione dell’evento potrebbe interessare poche stazioni, garanti di precisi standard. Nel dettaglio, si parla di criteri vincolanti, sia in termini di temperature minime, sia per quanto riguarda il tasso d’innevamento medio su un determinato periodo. Bach, in effetti, prevede la scomparsa di numerose aree per gli sport invernali, «soprattutto in Europa». E di conseguenza la progressiva concentrazione del turismo legato al settore. Bloccare le proprie piste per oltre un mese, al fine di ospitare Olimpiadi e Paralimpiadi, potrebbe così diventare uno scenario tutto fuorché allettante per le mete elette.

Sempre più reticenti

«Il CIO maschera il tutto con la volontà di facilitare i dossier delle diverse città, ma in realtà ha una grande paura: rimanere orfano di candidature per i Giochi invernali» sottolinea Martin Müller, professore all’Istituto di geografia e sostenibilità dell’Università di Losanna. Le ragioni, sottolinea il ricercatore, sono due: «Il cambiamento climatico, innanzitutto. In effetti, sempre meno regioni possono garantire le condizioni necessarie a una simile manifestazione. A maggior ragione in febbraio, non per forza il mese ideale a livello d’innevamento. C’è poi una questione di taglia: il modello che va per la maggiore include, per ragioni di accessibilità e alloggio, l’esistenza di metropoli nei pressi della competizione. Il che, a sua volta, riduce il numero di papabili». Non solo. A complicare la strategia del CIO, ricorda Müller, «v’è la crescente reticenza delle città verso l’organizzazione dei Giochi». Di qui la reazione della governance olimpica, «decisa a evitare il peggiore degli scenari» ribadisce l’esperto.

A pesare è anche l’eco mediatica, molto negativa, emersa in occasione di Sochi 2014 e Pechino 2022
Martin Müller, geografo e professore all'Università di Losanna

«In gioco la reputazione»

Le discussioni in seno al Comitato olimpico, suggerivamo, sono viepiù alimentate da evidenze scientifiche. In primis circa l’impatto delle emissioni di gas serra. «Ma a pesare è altresì l’eco mediatica, molto negativa, emersa in occasione di Sochi 2014 e Pechino 2022» osserva Müller. Per poi precisare: «Il tutto, va da sé, nuoce pesantemente alla reputazione del CIO. Ed è un grosso problema, perché a Losanna si basa la prosperità proprio sulla credibilità, vitale quando si tratta di mettere sotto contratto sponsor, fissare l’ammontare dei diritti tv e - in ultima battuta - vendere biglietti al pubblico. Il CIO, in questa fase, è pienamente consapevole che aizzare ulteriormente la stampa sulla questione ambientale potrebbe far precipitare le cose». Figuriamoci se, in contemporanea e come si sta riproponendo in Italia con Milano-Cortina, a creare dibattito è pure l’esplosione dei costi. «Un pool ristretto di città ospitanti, dove le infrastrutture sarebbero già presenti e non necessiterebbero di nuovi investimenti, eviterebbe al contrario l’insorgere dell’opinione pubblica».

Costruiti e poi abbandonati

Martin Müller ha indagato in più pubblicazioni l’intimo rapporto tra grandi eventi sportivi e risvolti territoriali. «Gli studi accademici condotti negli ultimi dieci anni posto sotto i riflettori gli enormi costi, sul piano infrastrutturale, sostenuti dalle città ospitanti i Giochi invernali. D’altronde si tratta di opere specializzate, che faticano a trovare una seconda vita dopo l’evento: pensiamo ai trampolini del salto con gli sci o alle piste da bob. Il nostro istituto, all’UNIL, ha realizzato un ampio approfondimento sulla sostenibilità o meno delle differenti edizioni. Ebbene, puntualmente sono emerse spese servite a un utilizzo isolato delle infrastrutture. E, certo, Torino 2006 costituisce l’esempio emblematico nelle Alpi. Con per altro il paradosso di Milano-Cortina, visto che diversi siti piemontesi non verranno comunque sfruttati nel 2026».

Interessi contrastanti

La sfida, tuttavia, non è solo pratica. No, in gioco v’è pure la missione stessa del Comitato olimpico. «Che sino a ieri si voleva universale e quanto più possibile democratica, permettendo a ogni Paese di ambire alla magia dei Giochi» conferma Müller. «In passato, non a caso, la proposta tesa a limitare il numero di candidati è sempre stata affossata a fronte di questo principio unificatore. Anche se poi ilCIO ha scientemente sottaciuto gli altri interessi. Disporre di candidature inedite, infatti, permette di aprirsi a nuovi mercati: mostrandosi appetibili agli occhi di sponsor, televisioni e - in generale - promuovendo il prodotto». Le prospettive cupe, citate poc’anzi, rischiano però di rendere inevitabile una scelta di campo. Per certi versi radicale. «Il riposizionamento del CIO mi sembra adeguato» evidenzia Müller: «In quanto ricercatore non ho dubbi: prima viene limitato il numero delle città e dei Paesi ospitanti, meglio si contiene l’impatto ambientale di questi eventi. Gli interessi politici ed economici, tuttavia, rispondono ad altre dinamiche». E gli esempi recenti non mancano.

«I Mondiali in Qatar, ma pure quelli in Russia, hanno sollevato il tema anche nel calcio» rammenta Müller. «Peccato che la FIFA non sia ancora pronta ad autolimitare il proprio raggio d’azione. A differenza delle Olimpiadi, i Paesi disposti a ospitare una Coppa del Mondo non scarseggiano in questa misura. Oddio: anche il CIO non avrebbe mai preso in considerazione una circoscrizione delle candidature, qualora la domanda non avesse iniziato a vacillare. Ripeto: più un grande evento circola nel pianeta, maggiori sono le chance d’incrementare i ricavi». Reali e potenziali. «Per molti esecutivi, comunali o regionali - rileva il professore universitario - ospitare una grande competizione significa profilare il proprio territorio. Attirando i fondi dei governi federali e allo stesso tempo guadagnando visibilità sul piano turistico».

C’è una sottile ironia: ogni edizione contribuisce all’estinzione delle future
Martin Müller, geografo e professore all'Università di Losanna

«Una questione filosofica»

L’immagine è quella del cane che si morde la coda. «Attualmente - conferma Müller - manca un reale impegno, da parte del CIO e delle altre principali istanze, per abbassare le emissioni di gas serra. Viene sbandierato il concetto della “compensazione climatica”, criticato e inefficace. Il fatto di immaginare una rotazione fra poche regioni, però, suggerisce un aspetto positivo: il CIO sembra basare la sua strategia sulla neve naturale. Per quanto possibile, ovviamente». E come la mettiamo con chi preferisce affidarsi al progresso? Per dire: l’Arabia Saudita ospiterà i Giochi asiatici invernali del 2029. «Per questi Stati - riconosce il nostro interlocutore - fa stato un altro tipo di ragionamento. Votato allo sviluppo delle tecnologie, con la neve dunque prodotta ex novo all’interno». A scontrarsi sono così due visioni. «La riflessione è anche, se non soprattutto, filosofica, e investe l’intera umanità» afferma Müller. Interrogandosi. Interrogando. «Vogliamo affrontare il cambiamento climatico cercando di ridurre il nostro impatto negativo sull’ambiente? O preferiamo sviluppare nuove tecnologie grazie alle quali convivere con il riscaldamento del pianeta? Per un geografo come il sottoscritto, la prima via, anche se poco attrattiva, è di gran lunga preferibile, ancorché meno rischiosa. Ma è innegabile che esista un fronte che guarda alla seconda ipotesi». I Giochi invernali, dunque, si fanno indicatori quasi esistenziali. «E ad ammantare il tutto c’è un sottile strato d’ironia» conclude Müller: «Ogni edizione dei Giochi invernali contribuisce alla propria estinzione, considerate le enormi produzioni di CO2 causate da costruzioni, spostamenti in massa e, sempre di più, il ricorso alla neve artificiale».

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