«Il torneo perfetto» e la nascita di un colpo: la SABR

La stagione 2015 di Roger Federer, sino al Masters 1000 di Cincinnati, è di difficile lettura. Certo, i quattro titoli incamerati rappresentano un bottino ragguardevole, perlomeno a livello numerico. Meno, invece, in termini di valore, considerando che i successi sono arrivati a Brisbane, Dubai, Istanbul e Halle, ossia due ATP 250 e due ATP 500. Il torneo in Ohio, però, è considerato uno dei feudi di Re Roger, tanto che a «Cincy» il record di vittorie spetta proprio a lui. Sembra non esserci scenario migliore, allora, per tornare in campo a distanza di un mese dalla delusione patita in finale a Wimbledon, dove per la seconda edizione consecutiva si è arreso a Novak Djokovic.
Testa di serie numero due del tabellone, il rossocrociato beneficia di un «bye» ed esordisce al secondo turno contro lo spagnolo Roberto Bautista Agut – 22 del ranking ATP – già sconfitto seccamente poco tempo prima sull’erba londinese. Ma nemmeno sul cemento – malgrado i punti di forza dell’iberico, decisamente più a suo agio sul veloce rispetto al resto dei connazionali – la storia pare cambiare. Federer è in pieno controllo del confronto: sul punteggio di 2-2 e 30-40 del secondo parziale – dopo essersi aggiudicato la prima frazione per 6-4 – risponde a una seconda (che viaggia a 89 mph, equivalenti a 143 km/h) in modo rivoluzionario. È il momento in cui nasce la cosiddetta SABR. La scena, del tutto inedita, ha dell’incredibile, perché Federer esegue lo «split step» a pochi passi dalla riga del servizio. Successivamente, in una frazione di secondo, colpisce la palla appena dopo il suo rimbalzo con un rovescio coperto dal movimento ridotto e si fionda nei pressi della rete. Il rivale, interdetto, non fa nemmeno in tempo a capire quanto successo, manda a lato il passante di dritto e subisce il break che porterà l’elvetico a chiudere con un comodo doppio 6-4.
Un 34.enne capace di volare
Lì per lì, a dire il vero, non ci si rende del tutto conto di quanto accaduto. Con Federer in campo, d’altra parte, si rimane estasiati con una frequenza spaventosamente superiore alla norma. Quando si assiste a una sua magia, non vi è nemmeno il tempo per capirne il trucco che, eccolo lì, compare un nuovo gioco di prestigio. È solo con l’avanzare del torneo che si realizza davvero quanto sta succedendo. Federer gioca un tennis paradisiaco anche con Kevin Anderson e infligge la peggior sconfitta in carriera al sudafricano. Nell’ultimo game – di un match senza appello, chiusosi con un doppio 6-1 – si rivede anche l’attacco improvviso in risposta. Questa volta, Roger impatta con un dritto in controbalzo che finisce profondo, l’avversario riesce ad alzare la traiettoria e a resistere al primo smash ma non al secondo, che risulta vincente.
Poi, contro Feliciano Lopez, ai quarti di finale Federer non sfodera l’arma segreta, ma si «limita» a spazzare via ogni qualsivoglia velleità dello spagnolo. Finisce 6-3 6-4 e, al momento della stretta di mano finale, Lopez – estasiato dal livello proposto dal basilese – commenta: «Sei più veloce che mai, voli per tutto il campo». Federer sorride compiaciuto e risponde che entrambi avranno ancora diversi buoni anni di carriera davanti a loro. Sarà così.
In semifinale è invece Murray a sperimentare i momenti di pura onnipotenza tennistica firmati «RF». Tocca anche lui, tra l’altro, subire l’aggressione in risposta di Federer. Il britannico, scocciato e sorpreso per il modo in cui ha appena perso il punto, si rivolge con il solito fare imbronciato al proprio box. Non c’è nessuno che possa aiutarlo, perché dall’altra parte della rete c’è un artista che dipinge traiettorie incomparabili. A Federer riesce qualsiasi cosa: stop-volley, smorzate, risposte vincenti, e a un certo punto sfoggia pure un dritto «choppato» strettissimo che lascia Murray sul posto, metri dietro la linea di fondo.
La settima meraviglia
Si arriva, quindi, all’ultimo atto. E dinnanzi al rossocrociato si staglia l’ostacolo indubbiamente più complicato da scavalcare, quel Novak Djokovic capace di dominare l’intera stagione. E l’annata 2015 del serbo tuttora è considerata come una delle migliori mai viste nella storia della disciplina. Per quanto riguarda Nole, quella più redditizia per i risultati ottenuti, anche se il picco più alto – in termini puramente prestazionali – lo ha raggiunto nel 2011. Fatto sta che i due si sono già incontrati quattro volte in stagione: Roger si è imposto nel primo scontro, quello di Dubai, Djokovic in tutti gli altri (Indian Wells, Roma e Wimbledon). Ogni sfida, perlopiù, si è tenuta in finale e l’incontro in Ohio, allora, non fa eccezione.
Al servizio parte il serbo, che subisce subito la pressione smisurata dell’elvetico che, dopo essersi preso il primo «quindici», aggredisce con insuccesso la seconda del rivale. Il segnale, però, è chiaro. Federer gioca in modo incredibilmente offensivo e ripropone il nuovo marchio di fabbrica, che va già a segno nel game di risposta seguente. Djokovic manda il rovescio in rete e Boris Becker, suo coach, rimane impietrito tra gli spalti. Lo «Sneak Attack By Roger» (da qui l’acronimo SABR), però, trova un terreno meno fertile del solito e ottiene esiti alterni a causa delle capacità difensive di Djokovic (e della sua abilità nell’eseguire sia i passanti sia i lob). Il numero uno del mondo, nel corso del primo set, annulla ben quattro break point e riesce a trascinare il parziale al tie-break. Laddove solitamente prevale. Ebbene, succede l’esatto opposto: Federer attua anche una SABR impeccabile e si avvia a chiudere per 7 punti a 1. Il resto del match è un monologo del basilese che innesta il pilota automatico e veleggia verso la conquista del titolo a suon di vincenti e trame di gioco da estasi pura. Finisce 7-6 6-3 per Federer, che si conferma campione in Ohio.
Quell’allenamento con Paire
Il «back to back» firmato da King Roger tra il 2014 e il 2015 rimane, tuttora, l’ultimo registrato a Cincinnati, dove nessuno è più riuscito a riconfermarsi. Lui, lo ha fatto in bello stile: vendicando le precedenti finali perse da Djokovic e impedendo al numero uno del ranking di completare il «Career Golden Masters» (ovvero imporsi almeno una volta in carriera in ognuno dei tornei 1000, cosa che poi il serbo è riuscito a fare addirittura in due occasioni). Al di là del trionfo in sé, ciò che davvero ha impressionato è stato il livello di gioco espresso da Federer. Forse il più alto che abbia mai avuto, nel periodo in cui è stato spalleggiato da Stefan Edberg. Lo stile incredibilmente offensivo che l’allenatore svedese voleva attuare, a Cincinnati si è tradotto nel «torneo perfetto». Lo stesso tennista rossocrociato, infatti, ha definito così quella splendida settimana vissuta in terra americana.
Ma non è un caso che sia arrivata proprio a «Cincy», dove Roger è stato incoronato Re per sette volte. Lui, ha riconosciuto che la superficie dei campi – tra i più veloci dell’intero circuito – ha favorito le sue caratteristiche di gioco. Però, da lì a chiudere il torneo senza aver perso un set, né tantomeno un turno di servizio – impresa realizzata sempre lì nel 2012 – ce ne passa. L’uso della SABR – che ha avuto la sua genesi in un allenamento goliardico con Benoît Paire per smaltire il jet-lag – è stato reso possibile anche dalla facilità che Federer ha avuto in battuta. «Quando non perdi i tuoi turni – ha rivelato il basilese – puoi permetterti di provare tante soluzioni diverse in risposta, puoi sbizzarrirti e rischiare maggiormente».
Riproposta malgrado le critiche
Ma che fine ha fatto, poi, la SABR? Più rischioso e difficile da eseguire – rispetto a un classico «chip and charge» – questo colpo è rimasto nel repertorio di Federer anche successivamente, malgrado le critiche di taluni. Critiche, francamente, del tutto ingiustificate, e rivolte a una presunta mancanza di rispetto nei confronti dell’avversario. Un’insensatezza, considerando che non andava contro alcun articolo del regolamento e che attuare questa strategia richiedeva – oltre a dei riflessi e una coordinazione fuori dal comune – una massiccia dose di rischio. La SABR è stata riproposta al successivo US Open – terminato con una dolorosa sconfitta in finale contro il solito Djokovic – per poi essere ancora ammirata nella prima parte della trionfale stagione 2017, quando Federer conquistò l’Australian Open e il «Sunshine Double». Checché ne dicano i suoi detrattori, è stato un colpo passato alla storia e, al pari dello stesso Federer, irripetibile.