In Serie A il verde non va di moda, il Milan però fa eccezione

Se c’è un colore di tendenza, in questi anni roventi, beh è senz’altro il verde. Simbolo cromatico della lotta al cambiamento climatico. Già, l’ecologia. Al massimo campionato italiano, restando in superficie, la questione interessa poco. Anzi. È stata addirittura ritenuta fastidiosa. Basti pensare che la stagione appena nata è stata accompagnata da un divieto. Curioso e al contempo piuttosto invasivo. Sì, perché la Lega Serie A ha vietato ai club «l’utilizzo di divise da gioco di colore verde per i calciatori di movimento». Una riga di regolamento, molteplici risvolti. E pure qualche eccezione.
Salvo il Sassuolo
Il provvedimento, come lascia intendere il paragrafo citato, non interessa i portieri. Ai quali il verde, in tutte le sue sfumature, è stato regolarmente e continuerà a essere abbinato. Altro punto importante. Il divieto colpisce le seconde e terze maglie. E quindi non va intaccare quelle società che - per colori sociali - dipingono la prima maglia di verde. Un esempio? Il Sassuolo. Che, appunto, è tornato in campo con la classica divisa casalinga senza infrangere alcuna norma. Diverso è invece il discorso del Milan. Proprio lunedì, i rossoneri hanno presentato al pubblico la terza maglia. Una maglia verde. Ma come? Nella fattispecie a «salvare» i campioni d’Italia è stata il tono militare del kit. O meglio «olive-green», volendo parafrasare il comunicato della società milanese. Un pantone di verde, in ogni caso, sul quale la Lega Serie A non ha avuto nulla da ridire, concedendo la necessaria autorizzazione al club.
Immagini distorte in tv e al VAR
Okay, ma quali potevano essere le controindicazioni? E, soprattutto, perché - già un anno fa - chi governa il calcio italiano ha deciso di mettere mano al regolamento sulle divise, indicando alle società come vestirsi «correttamente»? Le ragioni, in sostanza, sono tre. Innanzitutto si è voluto evitare il contrasto con il terreno di gioco; il verde su verde, infatti, non favorisce né la visione dello spettatore davanti alla televisione né quella del tifoso allo stadio. Allo stesso modo, la sovrapposizione del colore rischia di creare un effetto distorsivo con quegli spazi pubblicitari virtuali aggiunti digitalmente alle immagini trasmesse in tv, come pure con i cartelloni pubblicitari a bordo campo. L’aver scongiurato questa iperbole cromatica, dovrebbe infine agevolare il compito degli arbitri, in particolare quelli chiamati ad analizzare le immagini al VAR: maglie che si tirano, calzettoni che vengono sfiorati. Ci siamo capiti.
Il caso Grasshopper
La valutazione estetica fatta in casa Milan, dicevamo, non è stata ritenuta problematica. Altri club, invece, hanno dovuto fare i conti con la nuova regola. In passato Lazio, Fiorentina, come pure il Cagliari, avevano sfoggiato terze divise proprio declinate al verde. E in Svizzera? Quali sono le direttive in materia? Di riferimenti al colore della speranza, la Swiss Football League non ne fa. Tre stagioni fa, per dire, anche il Lugano aveva scommesso su una terza divisa militare. Sollevando persino le critiche delle Teste Matte. Pensando poi al San Gallo e al sua DNA, è lecito credere che pure alle nostre latitudini stemma e colori sociali prevalgano su qualsivoglia sensibilità televisiva. Come per il caso del Sassuolo, insomma.
La scorsa estate, per contro, aveva creato qualche grattacapo la scelta del Grasshopper. In questo caso riferita alla maglia casalinga. La SFL, più precisamente, aveva mal digerito la contrapposizione tra fronte e retro della divisa. Le regole UEFA, al proposito, sono chiare. E grossomodo recitano così: «I colori utilizzati sul davanti, per creare una maglia a strisce o a quadri, devono essere entrambi chiaramente visibili sul retro della tenuta da gioco, se lo stesso motivo (ad esempio, le strisce) non viene utilizzato sul retro della maglia». Ebbene, la divisa delle cavallette presentava il fronte suddiviso a metà - di bianco e di blu - e il retro completamente blu. Rendendo altresì complicato distinguere quale fosse il colore principale. Di qui l’intervento della Lega, che aveva imposto al GC di disputare le prime partite casalinghe con la maglia da trasferta.
Fuori tempo massimo
Patti chiari e amicizia lunga, quindi. Già, il club zurighese aveva accettato la tirata d’orecchie della SFL. Ma allo stesso tempo non aveva mancato di far notare un paradosso. Prima dell’inizio della stagione, in effetti, era stata fornita tutta la documentazione richiesta. In tempo utile, sì, dal momento che il regolamento prevede che le società svelino i propri modelli al più tardi a due mesi dall’avvio del campionato. Non solo: il GC - e così si spiega il cortocircuito - aveva addirittura ricevuto il via libera della Lega. Solo a posteriori, la SFL era dunque corsa ai ripari, facendo notare che l’assegnazione originale delle maglie, determinata sulla base di modelli di design, non era ottimale. La valutazione dei kit fisici, all’opposto, aveva reso evidente la necessità di alcuni correttivi e, di riflesso, portato all’altolà. Di base, sancisce l’articolo 4 del regolamento considerato, la Swiss Football League è tenuta ad approvare le divise in accordo con la direzione degli arbitri d’élite e le televisioni che trasmettono in diretta i match del massimo campionato svizzero. E ciò entro un mese dal calcio d’inizio.