L'intervista

«Ho dato il massimo per il club, ma me ne vado senza rancore»

È finita dove tutto era iniziato: a Villa Sassa, dove era stato presentato un anno e mezzo fa, Chris McSorley ha rilasciato la sua ultima intervista al CdT
Flavio Viglezio
12.10.2022 18:00

È finita dove tutto era iniziato: a Villa Sassa, dove era stato presentato un anno e mezzo fa, Chris McSorley ha rilasciato la sua ultima intervista al CdT. È un addio senza polemiche, quello del coach canadese, che con eleganza si toglie comunque qualche sassolino dalle scarpe.

La prima domanda è la più scontata, ma forse anche la più difficile: come sta Chris McSorley?
«Sto bene, davvero, anche se il club mi aveva ingaggiato per riportare a Lugano la cultura del titolo e non ci sono riuscito. Una cultura che si basa su abitudini condivise da tutti i top club: bloccare i tiri, andare sulla porta avversaria, fare pressione, essere un avversario difficile da affrontare. Ma la squadra deve venire sempre prima del singolo individuo».

Una frase che sembra un attacco frontale ad alcuni giocatori...
«Le ragioni che hanno portato al mio allontanamento, al momento, sono irrilevanti. Sono molto grato alla dirigenza bianconera per l’opportunità che mi ha concesso. La passata stagione ai miei occhi è stata soddisfacente, avevamo dovuto affrontare parecchie vicissitudini: tanti infortuni, il coronavirus, una preparazione non ottimale a causa della Champions e delle qualificazioni olimpiche in agosto. Eppure abbiamo eliminato il Ginevra nei pre-playoff e non abbiamo sfigurato sul piano del gioco con lo Zugo. Quest’anno non siamo partiti bene e quando i risultati non arrivano, a pagare è l’allenatore. Il club mi ha però sempre rispettato e io voglio andarmene mantenendo delle buone relazioni. So che all’inizio della partita con il Davos la Curva Nord non ha cantato per cinque minuti e questo gesto mi ha toccato. Ci tengo a ringraziarla, così come ringrazio per il supporto il Golden Wings Club bianconero».

Non c’è animosità, nelle dichiarazioni di McSorley?
«No, perché dovrebbe essercene? La mia famiglia e io avremo Lugano nel cuore per sempre. Siamo stati accolti benissimo, tutti. Sono arrivato con una stretta di mano e me ne voglio andare con una stretta di mano. E faccio sinceramente i miei migliori auguri di successo a Luca Gianinazzi. Si tratta di una buona scelta: sono convinto che avrà una lunga carriera di allenatore in National League. Ci tengo inoltre a ringraziare di cuore Hnat Domenichelli: è stato sempre corretto con me, dal primo all’ultimo giorno. Il Lugano è fortunato ad avere un direttore sportivo come lui: ve lo dice uno che è in questo business da 30 anni. Sono certo che prima o poi il Lugano troverà la formula magica per tornare a vincere, ma purtroppo non lo farà con me».

L'esonero? È una decisione che rispetto, perché la dirigenza l’ha presa nell’interesse del club e non contro McSorley

Con quale spirito ha accolto la notizia dell’esonero?
«È una decisione che rispetto, perché la dirigenza l’ha presa nell’interesse del club e non contro McSorley. Le cose non stavano andando bene. Ma anche in questi giorni difficili non ho avuto il minimo screzio con il management bianconero: tutto è stato fatto con la massima trasparenza. La dirigenza era stata chiara: voleva una buona partenza in campionato e non siamo stati in grado di garantirla. Quando ho visto gli incredibili alti e bassi tra una partita e l’altra, ho capito che sarebbe stato complicato trovare la giusta costanza di rendimento. Era un compito che spettava a tutta la squadra, ma in questo business è lo staff tecnico a pagare. Noi ci abbiamo provato con tutte le nostre forze, non abbiamo mai lesinato gli sforzi. Mai».

In un’intervista rilasciata al nostro giornale Hnat Domenichelli ha spiegato che i problemi tra il gruppo e McSorley sono iniziati già al termine della passata stagione. E che sono poi esplosi durante i campi di allenamento in Germania e a Lenzerheide...
«Abbiamo fatto di tutto per migliorare il livello della squadra, soprattutto per quel che riguarda la fase offensiva. E abbiamo lavorato molto al video: nell’hockey l’orchestra suona quasi sempre la stessa melodia, a cambiare sono i musicisti. Purtroppo non abbiamo nemmeno avuto la fortuna che volevamo e che, forse, meritavamo pure. Ciò che posso dire è che in agosto abbiamo cercato di fare il meglio anche a livello di comunicazione, con i giocatori. E abbiamo fatto il massimo per metterli nelle migliori condizioni possibili, da un punto di vista tattico. Faccio questo lavoro da tanto tempo e sento puzza di bruciato prima che il problema si ponga: ebbene, non ho mai avuto l’impressione, dopo la scorsa stagione o durante l’estate, che i giocatori non fossero soddisfatti con il nostro sistema. Nessun di loro è venuto a lamentarsi con me e i miei assistenti. Anche perché tanti di loro lo scorso anno avevano vissuto una delle loro migliori stagioni in assoluto, in termini individuali. Alla fine però, come ho detto, contano i risultati e mi assumo la responsabilità di non averli ottenuti».

McSorley non ha perso almeno un po’ di quella passione che lo animava quando era a Ginevra?
«Un allenatore deve sempre sapere evolversi e adattarsi a nuove situazioni se vuole avere successo. In tutti questi anni ho trascorso ore ed ore a studiare il lavoro di altri colleghi per tenermi il più possibile aggiornato. E sono convinto di essere più bravo adesso di quanto non lo fossi 20 anni fa. Il fatto che abbia compiuto 60 anni non conta nulla: la gente non spara al proprio banchiere, al proprio assicuratore o al proprio medico, quando compiono 60 anni. Ho sempre molta fiducia nelle mie capacità e penso di aver fatto delle cose buone anche per il Lugano. Davanti a me ho ancora tanti progetti legati all’hockey: l’entusiasmo che mi spinge a cercare di spingermi sempre oltre il limite non è scemato».

Alle Vernets ho ricoperto diversi ruoli, ma mi sono sempre sentito soprattutto un coach. Il mio approccio a Lugano non è stato diverso di quello avuto a Ginevra

 A Lugano è insomma arrivato lo stesso McSorley di Ginevra? Domenichelli afferma che non lo ha mai visto così abbattuto come dopo la sconfitta con il Kloten.
«Alle Vernets ho ricoperto diversi ruoli, ma mi sono sempre sentito soprattutto un coach. Il mio approccio a Lugano non è stato diverso di quello avuto a Ginevra. A Lugano come allenatore se ottieni dei risultati vai avanti, se non li ottieni è finita. Lo ripeto, in questo momento i dettagli di ciò che è successo non sono importanti. Tanti giocatori mi hanno inviato dei messaggi molto carini dopo il mio esonero: non è quindi vero che tutto il gruppo era contro di me. Per quel che riguarda la partita con il Kloten, ero deluso, molto deluso dalla prestazione della squadra. Soprattutto perché venivamo da un ottimo derby».

Torniamo per un attimo al discorso legato alla comunicazione. Hnat Domenichelli sostiene che al giorno d’oggi non si può obbligare un giocatore a farsi andare bene un tecnico. E che un coach non può più allenare basandosi solo ed esclusivamente su un rapporto di forza. È ciò che è successo a Lugano?
«Posso assicurare che lo staff tecnico ha sempre dato ai giocatori la possibilità di esprimersi, di condividere con noi le proprie idee. D’altra parte nella passata stagione abbiamo giocato un buon hockey, siamo stati superiori al Ginevra Servette nei pre-playoff e abbiamo perso nei quarti di finale contro lo Zugo campione svizzero. Quest’anno volevamo compiere un altro passo in avanti, ma a causa di infortuni e altre circostanze, non ci siamo riusciti».

Capitolo delicato. I tifosi, gli addetti ai lavori e probabilmente anche la dirigenza si attendevano di ammirare il Chris McSorley che a Ginevra, in panchina, faceva fuoco e fiamme. Il club ha imputato allo staff tecnico una certa mancanza di emozioni...
«Lo ripeto: nel mese di agosto di un anno e mezzo fa a Lugano è arrivata la stessa persona che ha lavorato a lungo a Ginevra. Il gioco e le regole, però, sono cambiate. Non è più possibile, per un allenatore, sbattere le porte delle balaustre e lanciare borracce in pista. Purtroppo (ride, NdR). Questa fama di tecnico sopra le righe mi si è incollata addosso per alcuni episodi effettivamente accaduti, ma ritengo di essere sempre stato corretto nei miei rapporti con gli arbitri. Non è da questi comportamenti che si può giudicare la bravura di un coach. Ho portato a Lugano lo stesso impegno di sempre. Forse non si è visto, ma abbiamo spinto e motivato i giocatori in ogni allenamento e in ogni partita». 

È rimasto sorpreso, McSorley, dall’intervista rilasciata da Arcobello al nostro giornale?
«Sì, perché credevo di avere un rapporto aperto e corretto con il nostro capitano. Lui ha però sempre negato di aver pronunciato quelle parole, o perlomeno che il loro senso fosse stato travisato, e allora devo concedergli il beneficio del dubbio».

Non è più possibile, per un allenatore, sbattere le porte delle balaustre e lanciare borracce in pista. Purtroppo...
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