Calcio

La Svizzera dall'alto di Xhaka: «Dubbi? Mai, non su Granit»

Domenica, contro la Bielorussia, il capitano disputerà la 118. partita in Nazionale, eguagliando il primato di presenze di Heinz Hermann - Ottmar Hitzfeld, con l’esordio in prima squadra, e Dany Ryser, con il Mondiale U17, lo hanno forgiato - Entrambi, al CdT, riconoscono la sua grandezza
Granit Xhaka, 31 anni, si appresta a riscrivere la storia del calcio svizzero. ©Keystone/Jean-Christophe Bott
Massimo Solari
13.10.2023 21:45

«Nessun problema, mister, sono qui per questo». Ottmar Hitzfeld ha ancora impressa nella mente la risposta di Xhaka. Una risposta che, a 12 anni di distanza, il grande allenatore tedesco definisce «profetica». Era il 3 giugno del 2011. Vigilia di Inghilterra-Svizzera a Wembley. Non una partita come le altre. Non uno stadio banale. Per questa ragione il commissario tecnico rossocrociato si era permesso, quasi con fare paterno, di sottoporre il quesito al 18.enne Xhaka. «Gli chiesi se fosse pronto a giocare davanti a più di 80.000 spettatori» rammenta Hitzfled per il Corriere del Ticino. Era pronto, eccome. A debuttare con la selezione maggiore. E, col senno di poi, a scrivere il primo capitolo di una storia incredibile. Una storia da record. La storia del calcio svizzero.

Da un monumento all'altro

Domenica, a San Gallo, Xhaka disputerà la 118. partita con la maglia rossocrociata. E così, in occasione del match contro la Bielorussia valido per le qualificazioni a Euro 2024, il primato di Heinz Hermann verrà eguagliato. Da un monumento all’altro. Sì, perché fra un mese - quando gli elvetici torneranno a esibirsi - il capitano guarderà tutti dall’alto. Applausi. «Ho sempre saputo che Xhaka, se risparmiato da gravi infortuni, sarebbe stato in grado non solo di raggiungere ma altresì di distanziare nettamente Hermann» sottolinea Hitzfeld. «La fame di successo di Granit è intatta. Lo si percepisce continuamente: nelle interviste e soprattutto in campo. Partita dopo partita. Non importa dove, non importa quando, non importa contro chi. Xhaka, in tal senso, è un calciatore eccezionale per la costanza con cui riesce a fornire prestazioni di livello assoluto. Non mi sorprende che si sia affermato nei campionati più impegnativi e che tutti i ct della Nazionale abbiano fatto totale affidamento su di lui».

«Pochi centrocampisti al mondo come lui»

Sotto l’ala di «Gottmar», il centrocampista del Leverkusen ha percorso il primo quarto del viaggio. Trenta gare e un Mondiale - quello del 2014 in Brasile - per certi versi epico. «Quando lo feci debuttare, Xhaka militava nel Basilea. E però non era sempre titolare. Nell’appoggiare in Nazionale un giocatore ancora acerbo, in termini di competizione con il club, mi stavo dunque assumendo un rischio considerevole. Detto ciò, ero consapevole del suo talento, della sua ambizione. Della sua forza di volontà, anche. Sì, non avevo dubbi: su Granit Xhaka si poteva scommettere». Hitzfeld non si sbagliava. Non si è sbagliato. E da allora la Svizzera non ha smesso di progredire. Di coltivare nuove ambizioni. Come il suo condottiero in campo. E grazie a lui. «Xhaka - rileva in merito Hitzfeld - è uno che vuole sempre vincere, anche in allenamento. Non solo: Granit esige sempre il massimo da sé stesso e dai compagni. Per la selezione rossocrociata era ed è il capo, il suo cervello, il leader assoluto». Hitzfeld riconosce insomma la grandezza dell’uomo e del calciatore. «Come allenatore, ero grato di poter disporre di una figura del genere in spogliatoio e sul rettangolo verde. E ho percepito la medesima riconoscenza negli occhi dei compagni. Per loro Xhaka c’è sempre stato».

«La fame di successo di Granit è intatta. Lo si percepisce continuamente: nelle interviste e soprattutto in campo
Ottmar Hitzfeld, ct della Nazionale svizzera dal 2008 al 2014

L’ex GC, Borussia Dortmund e Bayern ha allenato tanti campioni. Ma Xhaka, spiega, è una gemma rara. «Solo pochi, pochissimi centrocampisti hanno il suo feeling con il gioco. Ha un’intelligenza calcistica incredibile. Sia quando la squadra ha il possesso, sia se si tratta di recuperare la sfera. Per non parlare della qualità dei suoi suggerimenti. A Xhaka basta un solo passaggio per mettere in difficoltà l’avversario». E non è un caso, aggiungiamo noi, che l’assist per il 3-3 di Mario Gavranovic contro la Francia - negli ottavi di Euro 2020 - rappresenti la giocata più iconica delle 117 sfide disputate sin qui.

«Con l’U17 infranse un muro»

Prima di debuttare a Wembley e, poi, spingere la Svizzera sino agli agognati quarti di finale di un grande torneo, Xhaka ha attraversato una sliding door forse ancor più cruciale: il Mondiale Under 17 del 2009. Porsi limiti, dopo aver conquistato il trofeo in Nigeria, non è infatti più stato ammissibile. Già. Ed è per questa ragione che a ridosso di ogni torneo la valigia di Xhaka è pensata per arrivare sino in fondo. «La sua generazione ha infranto un muro» conferma Dany Ryser, allenatore di quella folle e giovane Svizzera. «Ottmar Hitzfeld, un giorno, me lo disse apertamente: “Questi giocatori, Xhaka in primis, hanno portato una mentalità diversa nella selezione maggiore”. Il titolo del 2009, naturalmente, ha contribuito a forgiare questa convinzione».

A forgiare il potenziale di Xhaka, invece, ci ha pensato proprio Ryser. «Granit - spiega - ha avuto uno sviluppo tardivo. Ricordo che a livello di U15 non figurava spesso fra i titolari. Fisicamente era minuto. Il suo talento straordinario, tuttavia, non si discuteva. Perciò non ho mai rinunciato a portarlo con me, a favorirne la crescita. Aveva solo bisogno del giusto tempo per imporsi». Cosa che è avvenuta in modo clamoroso con la U17. «Oramai avevamo compreso di avere a che fare con un serio candidato per la Nazionale A» indica Ryser. «Xhaka non era solo un giocatore di classe. A impressionare era la sua personalità, la sua attitudine. Ha sempre cercato di migliorarsi. E, soprattutto, ha sempre voluto vincere. La sua carriera, quindi, si spiega con la combinazione di più fattori. Così come il fatto di essere diventato molto presto un esempio per i compagni».

Una squadra necessita di elementi disposti ad assumersi la responsabilità. A prendere decisioni importanti sul campo. Ecco: questo era Xhaka. Anche a 15-16 anni
Dany Ryser, allenatore della Svizzera U17 campione del mondo nel 2009

Un giocatore divisivo?

Se Hitzfeld cucì addosso a Xhaka il ruolo di trequartista, Ryser inizialmente fece evolvere il giocatore all’ala. «Il progressivo sviluppo di Granit è andato di pari passo con la sua posizione in campo. Come dicevo, da ragazzo Xhaka non disponeva del fisico e della potenza necessari per emergere in mediana. Sull’esterno, al contrario, le sue qualità hanno trovato terreno fertile. Che fosse destinato a illuminare l’asse centrale, comunque, era chiaro anche allora». Col tempo, e a causa di gesti e parole sbagliate, Xhaka è però stato anche un giocatore divisivo agli occhi della gente. Ryser la pensa diversamente: «Anche sotto la mia guida Granit non ha mai temuto di dire quello che pensava. Sì, aveva un’opinione chiara, dovuta alla sua forte personalità. E, a mio avviso, questo è un valore aggiunto. Una squadra necessita di leader, di elementi disposti ad assumersi la responsabilità. A prendere decisioni importanti sul campo. Ecco: questo era Xhaka. Anche a 15-16 anni. Ed è un peccato che l’opinione pubblica non l’abbia sempre compreso. Quando vestiva e veste la maglia rossocrociata Xhaka ha sempre fatto di tutto per raggiungere il successo». Una volta raggiunta e superata quota 118 partite in Nazionale, sarà ancora così.

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