Il commento

Nel segno di Granit Xhaka, di nuovo

Scomodo, provocatorio e a tratti inadeguato: ma la Svizzera - in vista della nuova campagna europea - non può prescindere dalla mentalità vincente del suo capitano
Massimo Solari
17.03.2023 06:00

A partire da martedì, sui canali della SSR, andrà in onda «The pressure game», la docu-serie dedicata alla selezione rossocrociata. Chi ha già avuto modo di guardare i sei episodi plasmati dal regista Simon Helbling non ha dubbi: progetto e prodotto finale sono molto interessanti. D’altronde, si apre un pertugio in una delle realtà più coinvolgenti e finanche polarizzanti del Paese: la sua Nazionale per eccellenza. Una squadra che, a scadenze regolari, sentiamo un po’ nostra. E ciò, tuttavia, senza conoscerne veramente l’anima. Il breve trailer che in questi giorni sta apparecchiando la prima visione dell’opera, al proposito, si apre con una frase di Granit Xhaka. «Non ho mai parlato di questo tema prima d’ora» confessa il centrocampista. Uno spot perfetto, ovvio, per incuriosire il pubblico. Ma anche una scelta emblematica, con la quale stabilire una connessione subitanea tra rappresentante e rappresentato. Tra il capitano e la Svizzera. Chiamatela identificazione. O, se preferite, immedesimazione. Una cosa è certa: se quelle parole fossero state pronunciate da un compagno, poco importa quale, presa ed effetto sullo spettatore-tifoso sarebbero stati differenti. Meno potenti.

Xhaka, invece, rimane il condottiero rossocrociato. La parte per il tutto, volendo forzare e - magari - infastidire i suoi detrattori. Nel diramare le prime convocazioni post Qatar 2022 e lanciare la campagna verso Euro 2024, lo ha dichiarato forte e chiaro pure il ct Murat Yakin. «Xhaka è il capitano della Svizzera. Il mio capitano. E continueremo a sostenerlo in questo ruolo». Dopo la tremenda eliminazione agli ottavi di finale degli ultimi Mondiali, c’è chi aveva auspicato una scelta diversa. Una svolta, insomma, nell’attribuire la «C». Nell’elevare, dunque, una figura al di sopra delle parti. Ma, davvero, un simile cambiamento avrebbe giovato all’ambiente? Ai risultati e alle aspirazioni elvetiche? In assenza di controprove, ci permettiamo di dubitarlo. Nonostante difetti, spigoli e comportamenti puntualmente opinabili, sportivamente parlando Xhaka rimane il modello da seguire: grande club, qualità tecniche e caratteriali sopra la media, ambizioni immense. Ci viene in mente Lara Gut-Behrami. Sì, un vincente alla guida di un gruppo che - lo si è capito una volta di più a Doha - non è abituato a vincere.

Il cammino che porta al prossimo, grande torneo - l’ultimo, con questo leader? - assomiglia così a un terreno fertile. Attendiamo fiduciosi che maturi, possibilmente senza troppe erbacce. E con il delicato match di Novi Sad, Serbia, quale prima cartina di tornasole. Riecco pressione e aspettative, verso il collettivo e verso i singoli. Verso Granit Xhaka.

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