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Lo sport ha un nuovo padrone: l'Arabia Saudita

Calcio, F1, boxe e competizioni asiatiche: lo Stato del principe ereditario bin Salman sta fagocitando un grande evento dietro l’altro – Il prossimo obiettivo sono le Olimpiadi estive del 2036 – Ma perché?
Massimo Solari
25.08.2022 06:00

Fra tre mesi il Qatar si prenderà la scena. Con i suoi Mondiali, le sue infrastrutture all’avanguardia, le sue contraddizioni. Gli occhi del globo, indignazione o meno, saranno rivolti lì. La potenza di Doha in vetrina. Grazie all’influenza politica, ancor prima che sportiva, sull’Europa. Grazie alla FIFA, già. L’ascendente dei Paesi del Golfo, tuttavia, non si esaurirà con il torneo in agenda dal 20 novembre al 18 dicembre. Un altro gigante della penisola, o meglio il suo gigante, sta infatti fagocitando un grande evento dopo l’altro. Ultimo in ordine di tempo, a Gedda, lo scontro sul ring tra Oleksandr Usyk e Anthony Joshua, Sì, l’Arabia Saudita è oramai uscita allo scoperto. E, appunto, dall’ombra degli altri Stati petroliferi della regione che prima di lei avevano compreso la portata (economica e in termini di marketing) degli investimenti nel settore.

L’offensiva saudita è inequivocabile. Impressionante, anche. Dalle supercoppe italiana e spagnola di calcio al GP di Formula 1, inaugurato nel 2021. E poi la Formula E, la Dakar e - dicevamo - la grande boxe. Per tacere della nuova e controversa superlega LIV nel golf. Ad alzare l’asticella, proprio a margine dell’incontro di sabato valido per il titolo dei pesi massimi WBA, IBF, IBO e WBO, è però stato uno dei bracci destri del principe ereditario Mohammed bin Salman, il ministro dello Sport Abdulaziz bin Turki Al-Faisal. «Senza alcun dubbio - ha dichiarato - i Giochi olimpici costituiscono l’obiettivo finale per l’Arabia Saudita». Segnatevi la data: nel mirino di Riad sono finiti quelli estivi del 2036, i prossimi che il Comitato olimpico internazionale dovrà attribuire.

Doha, una spina nel fianco

«Da quasi sei anni, gli eventi sportivi internazionali sono parte integrante della strategia di sviluppo economico del principe ereditario» rammenta Jean-Baptiste Guégan, docente e giornalista francese, esperto di geopolitica dello sport. La strategia in questione è stata ribattezzata Vision 2030. «E i Giochi del 2036 non sono l’unico, grande obiettivo saudita. Anche la Coppa del mondo di calcio del 2030 lo è. E ciò nonostante la probabile candidatura, forse in coabitazione con l’Egitto, sia destinata a fallire. L’idea è di sfruttare la visibilità dello sport e al contempo di posizionarsi come una nation-building, in grado di rafforzare l’identità nazionale attraverso i poteri dello Stato. Esattamente come è riuscito al Qatar, mossosi ben 25 anni fa». Doha come pungolo, insomma. Ma pure come spina nel fianco. Basti pensare che dal 2017 e per tre anni e mezzo i due Paesi hanno interrotto qualsivoglia relazione diplomatica. Con tanto di frontiere chiuse ed embarghi. Colpa del conflitto nello Yemen e della considerazione diametralmente opposta dell’Iran. «Qui entra dunque in gioco sia il concetto di supremazia regionale, sia l’ego personale di chi è al comando» osserva Guégan. «L’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad Al Thani, e il principe Bin Salman sono entrambi giovani. E nessuno dei due vuole perdere la faccia». Le parti, ad ogni modo, si sono riavvicinate nel corso del 2021. Con tanto di foto in camicia e bermuda, uno di fianco all’altro, postata un annetto fa su Twitter. Incredibile, stando agli osservatori.

Jean-Baptiste Guégan, esperto di geopolitica dello sport
Jean-Baptiste Guégan, esperto di geopolitica dello sport
Il petrolio non basterà per i progetti futuri. Servono fondi stranieri e quindi bisogna aprirsi e dimostrare le proprie capacità d’accoglienza

Una mossa alla volta

«Ricordiamoci che si tratta di un gioco a tre, che comprende gli Emirati Arabi Uniti» spiega da parte sua l’esperto, autore del libro Geopolitique du sport. Une autre explications du monde (ed. Bréal) e prossimo alla pubblicazione di un atlante letterario sul tema. «Sì, i rapporti si sono vieppiù normalizzati. Anche perché i rispettivi leader - pur restando concorrenti - hanno compreso che senza intese tutti rischiano di perdere terreno. Non sorprende quindi che i Giochi asiatici si terranno in Qatar nel 2030 e in Arabia Saudita quattro anni più tardi. C’è stato un accordo che permetterà alla regione di rimanere in primo piano per un quadriennio. Va da sé grazie a fondi illimitati e condizioni non avvicinabili dalle altre candidature. Detto ciò, e mi riferisco alle ambizioni particolari, è evidente come Riad non possa e voglia accettare che i piccoli vicini, 3 milioni di persone, abbiano sfondato e un territorio di oltre 2 milioni di chilometri quadrati e altrettanti abitanti non riesca a farlo». E l’acquisto del Newcastle attraverso il fondo sovrano PIF segue esattamente questa logica, con Qatar ed Emirati Arabi Uniti già in possesso di PSG e Manchester City. Guai a essere da meno.

Lo «sportwashing», ovvio

Se il mondo ti ritiene colpevole dell’efferato omicidio del dissidente saudita Jamal Khashoggi, vi sono però altre ragioni per fare leva sulle emozioni e i soldi veicolati dallo sport. «Lo sportwashing, esatto» rileva Guégan. Per poi precisare: «L’Arabia Saudita deve mostrarsi aperta verso il resto del pianeta. E non solo ai turisti, cosa per altro possibile solo dal 2019. Per reclutare lavoratori qualificati, dall’Occidente per esempio, forse sarebbe utile un regime un po’ più liberale, in grado di garantire qualche diritto in più alle donne. Evitando al contempo di freddare i dissidenti. Di qui la necessità di ripulire l’immagine del Paese. Con lo sport, per l’appunto, scelto quale strumento ideale per dissuadere le masse». In questo senso, però, Guégan parla anche di politica interna. «Un terzo della popolazione saudita ha meno di 18 anni. E, aspetto fondamentale, è completamente occidentalizzata. Si teme dunque che l’eccessivo conservatorismo di chi è al potere finisca, presto o tardi, per far allontanare questi giovani. Bin Salaman lo ha capito. E ai fini degli equilibri interni, offrire a questa fascia di abitanti forti momenti di sport equivale a un gesto di apertura. A una mano tesa».

«Servono tantissimi soldi»

Nella visione saudita, l’organizzazione delle Olimpiadi sublimerebbe un percorso di crescita che nel medio termine conoscerà altre tappe di rilievo. I Giochi mondiali di sport di combattimento nel 2023, poi i Giochi asiatici di arti marziali nel 2025, infine - come anticipato - i Giochi asiatici del 2034. Non bastasse, l’Arabia Saudita è candidata a ospitare la Coppa d’Asia di calcio femminile del 2026 e quella maschile dell’anno seguente. Tutto qui? No, perché si guarda altresì ai Giochi asiatici invernali del 2029. E non è uno scherzo. Il faraonico progetto denominato NEOM - che mira alla costruzione di una città futuristica ed eco-friendly nel nord-ovest dello Stato - accoglierebbe d’altronde un complesso sostenibile dedicato agli sport della neve. «Ma per realizzare una nuova Dubai, affacciata sul Mar Rosso, servono tantissimi soldi, oltre 300 miliardi di dollari per la precisione» sottolinea Guégan. «Ebbene, l’Arabia Saudita non dispone di una simile forza finanziaria. Il petrolio non basta, o meglio non basterà a fronte della rivoluzione energetica. Servono i fondi degli investitori stranieri per assicurare l’avvenire del Paese. E per convincerli, beh, non c’è niente di più efficace che dimostrare le proprie capacità d’accoglienza con i principali eventi sportivi».

E il rispetto dei diritti umani?

Okay, ma con il rispetto dei diritti umani come la mettiamo? Il Qatar, con le sue violazioni perpetrate negli anni, deve fronteggiare quotidianamente - e ci mancherebbe - le accuse di Governi, ONG e star dello sport. «Il tema, se vogliamo, è ancora più spinoso in Arabia Saudita» fa notare Guégan. «Basterebbe citare la pena di morte, applicata da Riad e non in Qatar. Spalancare le porte agli eventi sportivi, comunque, dovrebbe servire proprio a questo. A evolvere e progredire come società. Smussando gli spigoli della mentalità locale». Resta solo da capire la posizione del CIO. Il quale, val la pena ricordarlo, dopo i Giochi invernali di Pechino ha puntato solo su regimi democratici: Parigi 2024, Milano-Cortina 2026, Los Angeles 2028 e Brisbane 2032. «A Losanna, non a caso, si sta lavorando al concetto di “condizionalità”. E cioè - conclude Jean-Baptiste Guégan - al principio che vincolerebbe l’attribuzione dei Giochi al pieno rispetto dei diritti dell’uomo».

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