Calcio

L'ora del giudizio per la Svizzera: ecco come si sono difesi Yakin e Tami

Il ct rossocrociato e il direttore delle squadre nazionali hanno stilato un primo bilancio del Mondiale, tornando ovviamente sulla disfatta negli ottavi - Modulo, emozioni, malattie: a tutto - senza riuscirci sempre - si è cercato di dare una risposta
© KEYSTONE / LAURENT GILLIERON
Massimo Solari
07.12.2022 16:05

Un'uscita di scena umiliante. Tanti, tantissimi interrogativi. Per la Svizzera è arrivata l'ora del giudizio. Per i suoi protagonisti, quello delle risposte. Con la lezione impartitaci dal Portogallo ancora vivida nella mente, il commissario tecnico Murat Yakin, il direttore delle squadre nazionali Pierluigi Tami e il presidente dell'ASF Dominique Blanc hanno incontrato la stampa. La disfatta del Lusail Stadium, d'altronde, meritava dei chiarimenti. Delle spiegazioni di fronte a ciò che, a molti, è parso inspiegabile. Versioni discordanti tra giocatori e staff tecnico, problemi di modulo e salute, zero emozioni. Tutto, va da sé, è stato messo sul tavolo alla vigilia del ritorno a casa. Un esercizio di trasparenza doveroso. E oggettivo? Lasciamo a voi giudicare.

«Quando perdi così, beh, significa che non sei stato all'altezza» ha ribadito l'allenatore rossocrociato. «Un passaggio del turno va meritato, noi non l'abbiamo fatto: le energie sono venute completamente meno, l'avversario ha corso dieci chilometri in più: dobbiamo anche rispettare il risultato». Okay, ma il sistema? Quanto, la sconfitta, è stata viziata dalla strategia tattica? «Guardate i primi due gol del Portogallo e ditemi che cosa hanno a che vedere con il sistema» ha replicato Yakin: «Ribadisco: la questione è stata discussa con i leader del gruppo, giocare a tre non era una novità. Al contrario - e ovviamente tenuto conto della defezione non prevista di Widmer - volevamo mettere i diversi interpreti nelle migliori condizioni. Contro la Serbia, una selezione offensiva come il Portogallo, avevamo rischiato molto. Di qui la decisione di rafforzare il centro della retroguardia. Il piano ero chiaro. Ci sembrava il migliore in questa precisa situazione. Non quello meno rischioso, questo no, lo ammetto. Semplicemente non ha funzionato». Il ct elvetico ha quindi aggiunto: «Non sono il responsabile unico quando si vince e non lo sono quando la Svizzera perde». Ecco, appunto. La clamorosa controprestazione dei giocatori. Tami l'ha inquadrata così: «Non è stata una questione nervosa. Quantomeno, non condivido l'opinione secondo la quale - come nel 2018, e io non c'ero - il match con la Serbia ha prosciugato alcuni leader. Per dire: Xhaka e Shaqiri sono gli elementi che hanno corso di più insieme a Edimilson. Di sicuro, l'incontro decisivo della fase a gironi ci ha fatto spendere tantissimo. Lo dicono le statistiche: contro i serbi abbiamo toccato il picco. Il rammarico, al proposito, è semmai un altro: con un gol in più avremmo affrontato la Corea del Sud, stanca quanto noi per aver colto la qualificazione alla terza giornata. Il Portogallo, al contrario, aveva potuto far riposare buona parte dei suoi uomini migliori». Raffreddamenti e febbre, va da sé, non hanno aiutato: «Ma non è stato un focolaio di coronavirus» ha tagliato corto il direttore delle squadre nazionali: «Dall'arrivo a Doha abbiamo cercato di prestare attenzione a questo aspetto. Ora valuteremo se era possibile fare di più». Nel torneo, questo è indiscutibile, le aspettative erano altre. Ancora Tami: «Avevamo posto l'asticella in alto, è vero. E sono convinto che sia stata la decisione corretta. La delusione, anche per questa ragione, è grande. Negli occhi della squadra e dello staff tecnico avevo visto delle ambizioni autentiche. Buttare tutto a mare, focalizzandosi unicamente sull'ultima partita, sarebbe tuttavia sbagliato».

Eppure le ultime ore - proprio a fronte della disfatta con i lusitani - sono state pesanti. Caotiche, anche. Con i giocatori che si smentiscono a vicenda e soprattutto mettono in discussione le scelte - apparentemente concordate - dell'allenatore. Guardando al futuro, dunque, viene da chiedersi quale sia e quale sarà la credibilità di Murat Yakin nello spogliatoio. In merito Tami non ha però dubbi: «Murat è con noi da un anno e tre mesi. E ravviso che in passato la Federazione ha sempre cercato di dare continuità ai suoi progetti. Non solo: in questo periodo da ct, Yakin ha conquistato la qualificazione diretta ai Mondiali - tutto fuorché scontata - e ha salvato il posto nella Lega A di Nations League. La risposta agli interrogativi sul suo status agli occhi della squadra credo risieda proprio nel cammino in quest'ultima competizione. Dopo una pessima partenza, i giocatori hanno reagito da squadra vera. E non mi aspetto nulla di differente ora, in vista della campagna verso Euro 2024». Nelle parole e nelle reazioni di diversi protagonisti, insistiamo, si potevano leggere un'amarezza e un fastidio per nulla benauguranti. «Il vostro lavoro è quello di criticare; io invece ho il compito di ricostruire e motivare questo gruppo» ha sottolineato Yakin. «Nessuno, a oggi, ha inoltre espresso la volontà di lasciare definitivamente» ha proseguito Tami. Al passo d'addio, per esempio, vi sarebbe Haris Seferovic. Sulla dimensione della Nazionale svizzera, il dirigente ticinese ha invece tenuto a ricordare: «Siamo la quindicesima nazione del ranking FIFA. E il Mondiale in Qatar l'ha confermato. Facciamo parte delle migliori sedici selezioni, ma fra le prime otto di spazio non ce n'è».

Già, e di spazio sull'aereo per Doha non ne hanno trovato pure Kevin Mbabu e Jordan Lotomba. Terzini di ruolo, non fenomeni. Ieri, comunque, avrebbero potuto fare al caso della Svizzera. Stando a quanto emerso durante l'incontro, tra i due giocatori e Murat Yakin i ponti erano stati tagliati già da tempo. In giugno, dopo la sconfitta contro la Spagna in Nations League e alla vigilia del match con il Portogallo, il ct aveva infatti punito i diretti interessati per essersi attardati nella lobby dell'hotel rossocrociato. Sì, oltre l'orario consentito. «Ma la sanzione disciplinare nei loro confronti è stata una tantum» ha precisato Yakin, non riconducendo dunque la mancata convocazione a quell'episodio controverso: «Mbabu, per esempio, non aveva disputato una partita. E ciò a differenza di Edimilson Fernandes e Renato Steffen, profili che mi hanno convinto anche per la loro duttilità». Alla prova dei fatti, comunque, a fallire sono stati sia i singoli, sia il collettivo. «Sbagliare è umano» ha concluso Yakin: «In questo anno ho osservato uno sviluppo positivo. Ieri abbiamo sbagliato tutti. Ed è normale sentirsi a terra. Lo sarà per un breve periodo. A marzo, quindi, avremo la possibilità di lavorare a un nuovo obiettivo. E personalmente mi rallegro di poterlo fare con questa squadra».

In questo articolo:
Correlati
Senza parole, senza vergogna, nella notte più buia
La Svizzera crolla sotto i colpi del Portogallo e saluta il Qatar nel peggiore dei modi – Ai nostri avversari non serve nemmeno Cristiano Ronaldo per umiliare una squadra allo sbando sia a livello tattico, sia sul piano delle emozioni – Murat Yakin: «Il sistema non c’entra, non era serata»