La novità letteraria

Ma cosa c'entra un cadavere nel lago di Lugano con la tratta di calciatori africani?

Marco Bellinazzo, autorevole penna del giornalismo economico e sportivo, ha dato alle stampe un romanzo che sa di verità: sotto i riflettori un fenomeno spesso sottaciuto e non privo di connessioni con la Svizzera
©EPA/NIC BOTHMA
Massimo Solari
02.10.2025 06:00

Un cadavere viene rinvenuto nel lago di Lugano. E il giornalista Dante Millesi, succube del calcio e delle sue distorsioni, sente di dover indagare a fondo. Più a fondo rispetto quanto farà l’autorità giudiziaria di turno. Dietro a questa morte misteriosa, d’altronde, si nasconde uno dei fenomeni più sottaciuti e però abietti del mondo del pallone: la tratta di aspiranti calciatori provenienti dall'Africa. A tratteggiarne la crudeltà, così come le modalità, è il protagonista dell’ultima fatica di Marco Bellinazzo, penna autorevole del giornalismo economico e sportivo che – per la prima volta – ha deciso di affidarsi alla forma del romanzo. In libreria da pochi giorni ed edito da Fandango, La colpa è di chi muore ha il valore di una testimonianza. Di una denuncia, anche, e ciò al netto della finzione che regge la narrazione.

Fantasia al servizio della realtà

«Quelle che alimentano il romanzo sono storie vere» precisa non a caso l’autore, contattato dal CdT. «Storie nelle quali mi sono imbattuto in questi anni e per le quali ho avvertito il bisogno di dare vita a un racconto». Dai freddi numeri, puntualmente analizzati con competenza e chiarezza, Bellinazzo è dunque passato a un noir attraverso il quale ragionare sul destino di esseri umani. Esseri umani fragili. «La stampa, tendenzialmente, ha affrontato queste vicende in modo superficiale, limitandosi per certi versi a sorridere per quello che riteneva essere solo un piccolo imbroglio. E mi riferisco ai casi di giocatori la cui età effettiva, o persino l’identità reale, viene scoperta a posteriori. In realtà, trattandosi di fattispecie ricorrenti, c’era molto di più da scoprire. Cosa che ho fatto e che, appunto, ho voluto far scoprire al pubblico con il mio libro».

Non per mezzo di un saggio, però, strumento privilegiato solitamente dal giornalista de Il Sole 24 Ore. Perché? «Affidarsi alle fredde cifre, che attraversano veloci le nostre menti, non sarebbe bastato per circoscrivere un fenomeno del genere e, soprattutto, per spiegarne la tragicità; volevo dare un volto e un nome – seppur fittizi – ai soggetti descritti, lasciando dunque un segno. Ricorrere al saggio, non disponendo delle prove e dei documenti necessari per ricostruire ogni passaggio, avrebbe inoltre potuto risultare problematico. Di qui la decisione di affidarmi a un racconto di fantasia, ma – e lo sottolineo – per portare alla luce la verità».

Va da sé, anche lo scrittore è stato chiamato ad adattarsi. «In effetti ho dovuto imparare un linguaggio nuovo» conferma il nostro interlocutore: «La drammaticità delle storie da raccontare, tuttavia, mi ha permesso di superare anche alcuni momenti di sconforto. Ho impiegato 5 anni per finalizzare l’opera e lungo questo percorso i fallimenti, così come il desiderio di mollare il progetto, non sono mancati».

La leva emotiva

A fare la differenza, a consuntivo, è stata la scorza del giornalista, il cui stile risulta tanto fine, quanto coinvolgente, prendendo per mano e accompagnando il lettore sino all’ultima pagina. «Mi sono reso conto che, forse, solo io avrei potuto accendere un riflettore su questo tema, e lo dico con grande modestia» rileva Bellinazzo. Per poi aggiungere: «Alla base della tratta dei giovani africani, infatti, vi sono meccanismi di natura finanziaria e speculativa dei quali mi occupo abitualmente».

Parliamo di autentici processi industriali, ma a fungere da merce sono la vita e i sogni di persone disperate
Marco Bellinazzo, giornalista e scrittore

Il romanzo, suggerivamo, permette invece di raggiungere un pubblico meno specializzato, più vasto e trasversale. «Portandolo a conoscenza di una storia molto crudele e grave. Basti pensare alla stima secondo la quale circa 15.000 ragazzi, ogni anno, vengono attirati in questo vortice perverso. Ciò che accomuna l’ambito in questione a tanti altri ambiti calcistici, poi, è la variabile emotiva. E mi spiego: come il romanzo indaga sull’asse Africa-Europa, si potrebbero benissimo trovare dinamiche analoghe nel sud Italia, in rapporto alle presunte opportunità offerte dal nord, o ancora in qualsiasi banlieue, dove vivono famiglie incapaci di resistere allo scintillio e alla ricchezza delle aree più centrali. Perciò alludo a un meccanismo emotivo comune: si fa leva su un sogno o, peggio ancora, sul bisogno di chi è alla ricerca di una via d’uscita dalla povertà».

Criminali e schiavi

Procuratori, agenzie, accademie apparentemente pulite: sono molteplici gli attori spietati sulla scena. «Eppure, i primi a essere consapevoli che due ragazzi su tre non sfonderanno sono proprio loro» sottolinea Bellinazzo. «Vi sono tuttavia più soluzioni per lucrare. Innanzitutto, i soldi richiesti a questi sognatori e alle rispettive famiglie per intraprendere un viaggio della speranza e, in caso di successo, fonte di ulteriore arricchimento.

Coloro che non riescono a emergere ad alto livello, finendo spesso e volentieri nei campionati minori delle principali realtà calcistiche, o ai margini delle stesse, contraggono invece un debito che in qualche modo va ripagato. Come? Prestandosi magari all’alterazione di risultati e competizioni, e permettendo così a chi li controlla di scommettere e riciclare sui circuiti legali e illegali del betting il proprio denaro e persino quello di altre organizzazioni di stampo criminale: ndrangheta, camorra, cartelli messicani».

I ragazzi che non raggiungono né uno, né l’altro gradino, al contrario, «rischiano di svanire nel nulla, o – per la disperazione figlia del fallimento sportivo – di diventare schiavi della mafia per esempio nigeriana, delinquendo per sopravvivere». Anche di qui il titolo del romanzo: La colpa è di chi muore.

Escamotage e identità fittizie 

E per l’appunto è nel lago di Lugano che viene ripescata la vittima che plasma il racconto di Marco Bellinazzo. Un luogo, quello ticinese, che non risponde solo a logiche di finzione. «La Svizzera, probabilmente, rimane una delle centrali in cui operano i soggetti dediti alla creazione di identità fittizie. E lo provano diverse indagini per le quali ho scovato parecchie connessioni con il fenomeno della tratta di aspiranti calciatori africani. Le organizzazioni che gestiscono questi traffici, se vogliamo, rispondono alla logica azionaria. Il giovane viene considerato alla stregua di un future, e i più promettenti andavano e vanno protetti per rendere redditizio il business, anche attraverso le modalità più impensabili. Senza svelare uno dei passaggi più interessanti del romanzo, l’area attorno al Ceresio – sovente associata al contrabbando – viene sfruttata per introdurre degli individui in Europa e, tramite le citate identità fasulle, rendere gli stessi burocraticamente idonei per il sistema d’accoglienza italiano».

Non bisogna infatti dimenticare che a fare stato, in materia di trasferimenti internazionali, sono le norme FIFA che – salvo casi eccezionali - vietano operazioni con gli under 18. «In realtà scommettere su un U18 è già troppo tardi» indica Bellinazzo: «Ecco perché occorrono degli escamotage. E ad architettarli sono organizzazioni complesse, ben incardinate, non il classico procuratore losco. Parliamo di veri e propri processi industriali. Il problema è che a fungere da merce sono la vita e i sogni di persone disperate».

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