Il «caso» Lewis Hamilton

Una gara noiosissima, quella di Monte Carlo. E una gara da leggere tra le righe, da trattare con la lente d’ingrandimento, quella sulla pista di Montmelò, a due passi da Barcellona. Nel Principato si è disputata una corsa a parte, atipica, variamente giudicabile. Sul tracciato catalano si è invece tenuta una prova molto indicativa dal punto di vista tecnico, perché chi va forte in Spagna va forte per il resto dell’anno, come si usa dire. E, una volta di più, a stupire è stata la McLaren, con Piastri che ha preceduto Norris. La Ferrari ha conquistato il terzo gradino del podio con un coraggioso Leclerc, la Red Bull ha tentato la carta delle tre soste a sorpresa, vanificata dall’ingresso della Safety Car nel finale, che è costata la terza piazza a Verstappen. Il quale, poi, come a volte gli capita, si è complicato la vita da solo con una inutile collisione con Russell costatagli 10 secondi di penalizzazione e l’arretramento dal quarto al decimo posto.
Dicevamo della gara da leggere tra le righe, perché se è vero che Piastri e Norris hanno allungato, decidendo il loro ritmo senza l’assillo di qualcuno che li spaventasse da dietro, altrettanto c’è stata la Ferrari che a metà GP si trovava a soli 9-10 secondi dal leader, grazie a un Leclerc scatenato che ha fatto registrare una sequela di giri sul passo delle McLaren. Ferrari risorta? No, il fuoco si è poi spento e Charles ha avuto a che fare con la macchina che scivolava troppo, per cui ha giocato in difesa. Ciò nonostante, la Ferrari - a causa dei guai di Verstappen e di una Mercedes inesistente - ora è seconda nel mondiale costruttori. Qualcosa di buono. Anche se con un grosso guaio che preoccupa. Perché le modeste prestazioni offerte sinora hanno trasformato Hamilton in un «caso».
Il sette volte campione del mondo non c’è, rimedia puntuali batoste da Leclerc sul piano velocistico, non riesce a trovare quello che si dice il «feeling» con la SF25, ovvero non ce la fa a portarla al limite, di conseguenza non rischia più di tanto. La Ferrari di oggi, di quest’anno, è quindi solo Leclerc, capace di spingersi sempre oltre i limiti, mostrando però una visione di corsa che prima non aveva. Hamilton, per Charles, è stato lo stimolo necessario per il salto di qualità. Leclerc è quindi diventato - di fatto - la prima guida del team mentre Hamilton non è riuscito ad assumere il ruolo di «polo di riferimento», come era stato annunciato forse un po’ ottimisticamente e frettolosamente al momento dell’ingaggio.
Le parole di Hamilton a fine gara sono quelle di un campione sfiduciato, depresso: «È stata una giornata difficile, tremenda. Probabilmente è stata colpa mia». Fa tenerezza ascoltare quella che pare una resa. Ma di sicuro è un «caso» in più che la Ferrari non si aspettava di certo, perché nessuno immaginava che quello che era stato definito «l’ingaggio del secolo» prendesse questa triste piega. Le responsabilità stanno da ambo le parti. Hamilton era certo di avere una macchina competitiva e non l’ha avuta. La Ferrari era certa che Lewis dopo alcune gare di ambientamento sarebbe stato veloce quanto Leclerc e non è successo. Il matrimonio per ora non funziona, è intriso di dubbi e incomprensioni reciproche che potrebbero riflettersi sul 2026, anche se nelle 15 gare che restano tutto potrebbe cambiare. Però la Ferrari ha un solo modo per reagire: allestire una macchina che sia competitiva almeno nella seconda parte del campionato, dandosi una scossa di ottimismo con riflessi sul futuro. Altrimenti anche il 2025 sarà una stagione da buttar via. La Ferrari non può continuare con le promesse di un domani migliore, deve cominciare a vincere, a convincere, a ridistribuire entusiasmi. Se ci riuscirà, ritroverà all’istate il campione più grandi di tutti i tempi, cominciando - anche se tardivamente - una nuova stagione. Altrimenti…