Il personaggio

«Io volevo fare il giardiniere, ma non era scritto nelle stelle»

Venticinque podi in F1, sei vittorie alla 24 Ore di Le Mans, il trionfo alla Parigi-Dakar del 1983: a tu per tu con Jacky Ickx, il più grande pilota belga — «Rimpianti? Nessuno, tutto quello che mi è capitato è successo per una ragione, ma provo tanta tristezza per i compagni persi»
Maddalena Buila
31.08.2022 06:00

È nato il 1. gennaio 1945. All’attivo nel mondo dei motori ha 32 stagioni, condite da 555 eventi. In F1 ha conquistato 25 podi, chiudendo due volte il mondiale al secondo posto. Alla 24 Ore di Le Mans ha ottenuto sei vittorie. Ha chiuso la carriera con i rally, vincendo la Parigi-Dakar nel 1983. Il più grande pilota belga racconta il suo rapporto coi motori, mutato negli anni.

«Corriere del Ticino... questo nome mi ricorda qualcosa, non è per caso la regione d’origine di Clay Regazzoni?», ha esordito così Jacky Ickx, ricordando con un sorriso il compagno di scuderia Ferrari. «Uno dei tanti, troppi, che non ci sono più - continua l’ex pilota belga cambiando espressione -, ma parlare del passato non mi piace, contano solo il presente e il futuro. Non fraintendermi, sono felice di quello che ho fatto negli anni, soprattutto nel mondo dei motori, ma non mi piace parlarne. Oggi vedo le cose diversamente rispetto ad allora. Certamente ho ancora contatti con la realtà delle due e delle quattro ruote, ma ritengo alcuni capitoli della mia vita ormai chiusi». Jacky Ickx non ama parlare di quanto ha fatto in carriera, seppur sia stato qualcosa di strepitoso. 78 le gare disputate in moto, 477 gli eventi automobilistici a cui ha partecipato. Ha esordito in F2 nel 1967, vincendo il mondiale lo stesso anno. Dal 1966 al 1979 ha gareggiato in F1, diventando vice campione mondiale per due anni di fila con la Brabham e la Ferrari. Nell’immenso palmarès del belga, spiccano poi le sei vittorie alla 24 Ore di Le Mans.

La F1? Come un iceberg: il pilota è la punta, ma dietro di lui c'è un gruppo di persone incredibili
Jacky Ickx

«Sono un sopravvissuto»

Una carriera ricca di successi, in moltissime categorie, aspetto che gli è valso lo status di più grande pilota polivalente di tutti i tempi. «Ho fatto parte di un mondo che non esiste più, o meglio, esiste sotto altre forme - spiega Jacky Ickx -. Per me è fantastico essere vivo, mi reputo un sopravvissuto. Considerato il pericolo che si correva allora rispetto a oggi, avrei potuto morire ogni volta che scendevo in pista. Un destino purtroppo capitato a tanti miei amici, una parte della mia famiglia. Io mi sento un privilegiato a essere ancora vivo, devo ringraziare il mio bravissimo angelo custode, la fortuna e la mia bravura. Anche se quest’affermazione mi piace poco. Con gli anni ho maturato l’idea che la F1 è come un iceberg. Il pilota è la punta, ma se riesce a raggiungere determinati risultati è perché dietro di lui c’è un gruppo di persone incredibili. Per non dimenticare il fattore tempismo. Se un campione si laurea tale, è perché le stelle si sono allineate in suo favore. Era nel momento giusto al posto giusto».

Una storia fuori dal comune

La storia d’amore tra Jacky Ickx e il mondo dei motori è particolare, partendo dal fatto che non è iniziata come solitamente accade. Nei prologhi della vita dei piloti, è comune leggere «tutto è ho iniziato coi go kart» oppure «era ciò che volevo diventare sin da piccolo». Niente di tutto questo sta scritto invece nel libro del 77.enne belga. «Per tornare agli inizi dobbiamo girare allora giusto qualche pagina (ride, ndr). Ero un adolescente e la scuola non mi piaceva per niente e non ero bravo. Stavo sempre seduto in fondo all’aula, vicino alla finestra e volevo diventare giardiniere. Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello di fare il pilota. Il momento peggiore era consegnare le pagelle ai genitori. Dati i miei scarsi risultati, presero la decisione di regalarmi una moto per incentivarmi a fare meglio. Avevo 16 anni. Ho iniziato subito a gareggiare e mi innamorai della sensazione di ambire al successo. Lentamente sono entrato nel mondo dei motori, per cui prima non avevo mai avuto interesse. Le stelle hanno voluto così. L’ostacolo più grande a questo punto? Ancora i genitori. Per tutti i piloti è così: lo step più difficile per iniziare a correre è ricevere la loro approvazione. Da una parte i genitori vorrebbero lasciare che i figli seguano le loro passioni, dall’altra sono restii a lanciarli tra le braccia di uno sport così pericoloso».

Nessun rimpianto: tutto quello che mi è capitato è successo per una ragione. Provo però davvero tanta tristezza per i compagni persi, ma anche questo fa parte della vita
Jacky Ickx

Il mondo delle quattro ruote

Ottenuto il consenso di mamma e papà, Jacky ha iniziato le sue prime corse. Dopo un periodo in sella alle moto, è poi arrivato il passaggio alle automobili. «Come sia avvenuto non so - ammette con un sorriso il pilota belga -. D’altronde nella mia vita è spesso capitato che le cose andassero diversamente da come me le immaginavo. Mai avrei pensato di correre, men che meno di ottenere ottimi risultati. Il passaggio di categoria è avvenuto molto naturalmente: mi sono interessato all’ambiente, ero bravo e sempre più persone hanno iniziato a contattarmi, facendomi alzare di livello». Una carriera stratosferica quella del belga, lo abbiamo detto, macchiata forse da qualche rimpianto? «Direi di no. Tutto quello che mi è capitato è successo per una ragione. Provo però davvero tanta tristezza per i compagni persi, ma anche questo fa parte della vita». Un sentimento provato anche per i già citati genitori che, pur permettendogli di inseguire i suoi sogni, hanno vissuto gli anni delle competizioni con apprensione e ansia. «Di questo mi dispiace moltissimo - commenta amaramente il 77.enne di Bruxelles -. Da giovane non me ne sono mai reso conto, solo più tardi ho capito di quanto fossero costantemente preoccupati per me. Credo che i miei genitori abbiano vissuto un’infinità di weekend col fiato sospeso, avendo paura di ricevere la terribilità notizia che il loro figlio fosse morto. E io non ero certo d’aiuto. Spesso non mi facevo sentire perché avevo altri pensieri e priorità. Certo, erano contenti dei miei successi, ma caspita, devono aver sofferto davvero molto».

L’Africa e le consapevolezze

Il Jacky Ickx di oggi è un uomo che non ama guardarsi alle spalle ed è molto attento e sensibile su determinate tematiche. Non è però da sempre stato così. «Quando si è giovani si pensa solo alla vittoria e non si ha paura di niente, d’altronde, se fosse il contrario, non dovresti nemmeno gareggiare. Io ho poi però cominciato a vedere le cose da un’altra prospettiva durante il mio ultimo periodo di gare, quando facevo rally. Grazie alla Parigi-Dakar ho conosciuto me stesso. Ho visto l’Africa, un luogo a me totalmente sconosciuto. Ho avuto modo di incontrare persone totalmente diverse da me, senza niente, eppure sempre pronte a regalare un sorriso. Mi sono stati aperti gli occhi, ho capito quanto nella vita certi aspetti contino poco. Voglio essere onesto, credo fermamente che l’ultimo terzo della mia vita sia la parte più interessante della mia esistenza, per lo meno intellettualmente parlando. Ho maturato la consapevolezza di essere stufo di parlare solo di me stesso: il mondo va a rotoli, dobbiamo essere preoccupati, non perderci in chiacchiere futili su argomenti poco rilevanti».

Provo rispetto e stima per Hamilton, non solo come pilota, ma come persona
Jacky Ickx

L’ammirazione per Hamilton

Dall’Africa è appena tornato anche un altro grande campione, Lewis Hamilton. Il britannico ha infatti deciso di passare la pausa estiva nel suo continente d’origine, alla scoperta delle sue radici. «Provo rispetto e stima nei suoi confronti - continua Jacky Ickx -. Non solo come pilota, ma come persona. Trovo che sia uno degli unici, se non l’unico, protagonista del paddock che ha avuto il coraggio di esprimere le sue idee pubblicamente. Prima per supportare il movimento “Black lives matter”, poi per raccontare del suo viaggio introspettivo in Africa. Ha circa 30 milioni di followers su Instagram, devi avere tanto coraggio per dire certe cose sapendo che hai una tale visibilità. Non è da tutti, soprattutto considerato che la F1 è cambiata moltissimo, acquistando incredibile notorietà anche grazie alla serie TV su Netflix che ha trasformato i piloti in star del cinema».

La parte nascosta dell’iceberg

Da 34 anni a questa parte, Jacky Ickx è un ambasciatore e gira per il mondo. «Diciamo che faccio del mio meglio per tirare in là ancora qualche anno (un’altra risata, ndr). Sono però contento di quello che ho fatto nella mia vita, anche se... mi devo correggere, un rimpianto ce l’ho. Da giovane avrei voluto ringraziare maggiormente tutti coloro che mi hanno permesso di raggiungere i risultati che ho raggiunto: ingegneri, meccanici, manager... la parte nascosta dell’iceberg insomma. Nessuno si accorge del lavoro che svolgono con dedizione e passione. Ovunque voi siate, vi sono grato per ciò che avete fatto per me».

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