Perché l'involuzione della Svizzera deve preoccupare

«Siamo stati troppo sicuri di noi stessi». Chissà se Murat Yakin, nell’analizzare il flop di San Gallo, alludesse anche alla propria persona. Ai propri, inequivocabili errori. Non ne siamo certi. E, dopo tutto, il principale problema in casa Svizzera è esattamente questo. Un commissario tecnico a cui le redini della squadra stanno scappando di mano, complice - sì - la predisposizione a sottovalutare la pericolosità di tante, troppe scelte. La mini-finestra internazionale appena archiviata, al proposito, ha sintetizzato alla perfezione la precarietà rossocrociata. Un castello fragilissimo, a partire dalle sue fondamenta: allenatore e federazione. Il giorno dopo l’indecoroso pareggio contro la Bielorussia, non a caso, imperversano imbarazzo e interrogativi. Già, perché con il terzo pareggio negli ultimi quattro incontri la Nazionale è riuscita nell’impresa di mettere in discussione la qualificazione a Euro 2024. E ciò nel quadro di un girone - il meno complicato del lotto - che gli elvetici avrebbero dovuto blindare da tempo.
La coerenza perduta
A preoccupare, sopra ogni cosa, è la traiettoria. Inutile girarci attorno: la Svizzera è in clamorosa perdita di velocità. È in declino, anche, quando all’Europeo in Germania mancano solo otto mesi. Attenzione, dunque. Si sta infatti assistendo a una dinamica opposta rispetto a quelle abbracciate dai predecessori di Yakin. I percorsi di Ottmar Hitzfeld e (soprattutto) Vladimir Petkovic erano stati segnati da una crescita. Non lineare, ma progressiva. Attitudine, impostazione tattica e principi di gioco, in passato, avevano conosciuto un’evoluzione coerente. La compagine attuale, invece, all’incoerenza sta dando del tu. Ripiegata su stessa. Sfilacciata. Tremendamente confusa. E così, chiedersi e chiedere se Yakin sia ancora l’uomo giusto per la Nazionale svizzera non è più ritenuto un reato. Né fra i tifosi, tramite l’hashtag #yakinout, né fra gli addetti ai lavori ed ex di turno, commentando l’ennesimo passo falso negli studi di RSI, SRF e RTS.
Messo di fronte al quesito, il responsabile delle squadre nazionali Pierluigi Tami sorride, quasi si trattasse di ragionamenti campati per aria. «Cerchiamo di essere seri» dice. Eppure, poco più tardi, è il primo a suggerire la portata del problema: «Prendere tre gol dalla Bielorussia, per di più in contropiede, ti fa pensare». Sì, è tempo di pensare molto bene alla direzione intrapresa da questa selezione e - se si ritiene oltraggioso svoltare - individuare quanto prima decisi correttivi. A tutti i livelli.
Quante scelte insensate
Dicevamo del concentrato di mancanze e sbagli ingurgitato negli scorsi giorni. Perché, a fronte del rinvio del match con Israele, concedere due giorni di libero? Uno non era abbastanza? Ah, okay, non c’erano i margini per organizzare un hotel... Più che la logistica, ad ogni modo, a disorientare è la presunta logica con cui è stata schierata la formazione del kybunpark. Nell’ordine: 1) Rodriguez quale terzino sinistro di spinta, ruolo che da tempo non gli si addice più a differenza della posizione - interpretata con affidabilità a Torino - di braccetto in una retroguardia a tre; 2) Steffen, sempre a sinistra, chiamato a scardinare la difesa piazzata dei bielorussi, lui che anche con il Lugano (in Super League) non fa la differenza saltando l’uomo sull’esterno, ma svariando a ridosso della punta o se proprio dispensando giocate e traversoni a rientrare dalla destra: alla Shaqiri per intenderci; 3) Itten, tanto sul pezzo nel campionato svizzero, quanto ingolfato al vertice dell’attacco rossocrociato, laddove sarebbero serviti brio ed estro.
Gli ultimi due punti, va da sé, suggeriscono l’insensatezza delle esclusioni di Ndoye e Amdouni, grimaldelli necessari - per momento di forma o banalmente caratteristiche - per far crollare il debole avversario. Peccato che Yakin, invece che seguirla, la corrente preferisca risalirla. Spesso facendosi male o prestando il fianco a doverose e inevitabili critiche.
Rapporti e fiducia incrinati
Non solo le scelte individuali del ct, comunque, fanno puntualmente acqua. O meglio: la sensazione è che - giusto o sbagliato che sia - il messaggio non venga più digerito volentieri. Diversi elementi di primo piano, ottimi nei rispettivi club, stanno deludendo. Affermare che stiano giocando contro il tecnico sarebbe scorretto. Il linguaggio del corpo di Manuel Akanji, tuttavia, non promette nulla di buono. Da alcune partite, oltretutto, con la difesa rossocrociata diventata da vanto a punto debole. Il linguaggio verbale di Granit Xhaka, quello, ha invece fatto emergere a più riprese l’asincronia fra chi studia le operazioni e chi le deve mettere in pratica in campo. E che l’insoddisfazione sia reciproca - ricuciture di facciata a parte - è abbastanza evidente. D’accordo, lo scollamento non sarà forse totale. Il sussulto che ha portato i rossocrociati dal 1-3 al 3-3, in tal caso, non si spiegherebbe. Con le sue mosse avventate, il naufragio del Lusail Stadium agli ottavi di finale del Mondiale in Qatar ha però lasciato il segno. Incrinando la credibilità di un commissario tecnico che, all’inizio del suo mandato, aveva raccolto applausi per l’intelligenza e l’intraprendenza mostrate in panchina. La fiducia in molti giovani in rampa di lancio, nel frattempo, è venuta meno. Mentre Murat Yakin, soprattutto Murat Yakin, ha iniziato a sentirsi troppo sicuro di se stesso.