Amarcord

Quando gennaio, per i club svizzeri, faceva rima con calcio indoor

Tra il 1997 e il 1999 le squadre del massimo campionato svizzero presero parte obbligatoriamente al Credit Suisse Hallenmasters - A plasmare il progetto fu l’attuale CEO bianconero Martin Blaser: «Probabilmente arrivammo con 5-10 anni di ritardo»
Una sfida del CS Hallenmasters andata in scena nel gennaio del 1998 a Zurigo. © Keystone/Michele Limina
Massimo Solari
25.01.2023 06:00

Domenica Sion e Lugano si sono sfidati a cinque gradi sotto lo zero. Winterthur e Servette, invece, non hanno potuto duellare a causa delle pessime condizioni della Schützenwiese. Riprendere il campionato nel cuore dell’inverno, d’altronde, presenta non pochi rischi in Svizzera. Ma non c’è altra scelta. I calendari, è noto, s’infittiscono di stagione in stagione, con le competizioni europee a sgomitare e le nazionali a loro volta decise a scovare nuovi pertugi. Eppure, non è sempre stato così. Anzi. Una trentina di anni fa, club, giocatori e tifosi trascorrevano il mese di gennaio al caldo. Il calcio da sala, già, protagonista di alcune stagioni avvincenti pure alle nostre latitudini. E ciò grazie al fiuto di un giovane specialista di marketing sportivo: Martin Blaser.

«Una stanza magica»

L’attuale CEO dell’FC Lugano riavvolge volentieri il nastro dei ricordi. «Il Credit Suisse Hallen Masters? Per me un tema speciale, parliamo degli albori della mia carriera nel mondo del pallone». Siamo nel 1995, per la precisione. E i tornei indoor, invero, rappresentavano tutto fuorché una novità. «Il modello a cui ci ispirammo fu la Germania, anticipatrice di molti fenomeni commerciali a livello sportivo» sottolinea Blaser. La Federcalcio tedesco istituì gli Indoor Masters nel 1988: una competizione ufficiale che gli addetti ai lavori definirono «il terzo pilastro delle società», accanto a Bundesliga e coppa nazionale. «Allora venne coniato il concetto di “Budenzauber”, una sorta di stanza magica e miracolosa, per la quale ero convinto vi fosse un enorme potenziale anche in Svizzera» rileva Blaser. Per poi spiegarne le ragioni: «Negli anni Ottanta, per esempio, le Vernets di Ginevra ospitavano regolarmente un torneo internazionale, fra gli altri con St. Etienne e Bayern Monaco. E il seguito era notevole: 6.000 persone a partita. Insomma, funzionava. Così come aveva successo la competizione organizzata dal Lucerna a Sursee. L’esempio meno positivo, se vogliamo, era invece quello dell’Hallenstadion, con GC e Zurigo che all’inizio degli anni Novanta proponevano il proprio evento indoor». Nel 1995 ecco però la cesura decisiva. «L’ex allenatore del GC Timo Konietzka, sulle colonne del Blick, firmò una rubrica molto dura verso l’evento zurighese» rammenta Blaser. «Critiche che condividevo al 100%».

A ogni iscritto 50.000 franchi

Quella, appunto, fu la scintilla dalla quale si sprigionò la creatura plasmata insieme al media partner Blick e accolta con favore dalla Lega nazionale A. Sì, perché il Masters sponsorizzato dal Credito Svizzero - come in Germania - divenne una competizione ufficiale. E, di riflesso, obbligatoria per le dodici squadre della LNA. «Il montepremi da 1 milione di franchi, va da sé, favorì l’accordo con l’Associazione guidata da Edmond Isoz». I club intascavano 50.000 franchi solo per l’iscrizione, mentre finalisti e vincitori si battevano per ulteriori incentivi dai 3.000 ai 30.000 franchi. Si disputavano più tornei di qualificazione, tutti contro tutti, in diverse città, mentre la fase conclusiva era sempre programmata a Basilea. Un portiere e quattro giocatori di movimento, due tempi da 12 minuti, giochi di sponda e cambi volanti. Insomma, spettacolo puro. «Peccato che molti calciatori, me compreso, cercavano di evitare il più possibile la competizione» evidenzia Kubilay Türkyilmaz, all’epoca tesserato al GC. «Quelle partite, banalmente, erano pericolose da un punto di vista fisico. Non dimentichiamo che gennaio era il periodo dei carichi pesanti, in vista della ripresa fissata a fine febbraio. I sintetici non esistevano e per tendini e ginocchia i match indoor potevano risultare devastanti. Poi, non lo nego, l’ambiente poteva essere spettacolare». Musica a palla, tifo, bratwurst, birra e allegria.

Troppi costi, insufficienti ricavi

La parabola degli Hallen Masters svizzeri coprì quattro anni. Uno in meno del previsto. «Cominciammo con un torneo di prova, nel 1996 alla Saalsporthalle di Zurigo» riprende Blaser: «Fu un successo. Con la Lega, di conseguenza, firmammo un contratto quadriennale». Di più: la SSR si adoperò per la copertura totale dell’evento, garantendo quindi entrate pure sul piano dei diritti tv. Non tutte le città coinvolte, tuttavia, risposero allo stesso modo. Ancora Blaser: «Prendiamo il 1997: inaugurammo il mini-campionato alla Kreuzbleichehalle di San Gallo, davanti a 4.500 spettatori al giorno. Qualcosa di incredibile. Un’atmosfera pazzesca. Buoni numeri anche a Zurigo, a Lucerna così così, mentre a Neuchâtel fu un disastro. Il tecnico dello Xamax, Gilbert Gress, divenne non a caso uno degli oppositori più accaniti del torneo». La fase finale, dicevamo, andò in scena a Basilea. «E nel complesso registrammo una perdita aziendale di 700.000 franchi» indica Blaser. Sulla scia dell’iniziativa, nacque in effetti la Sportart AG, poi diventata partner di lungo corso del Credit Suisse proprio grazie all’esperienza comune dell’Hallen Masters. Una partnership, questa, che permise ai promotori di coprire il deficit accumulato negli anni. Già, poiché nel 1998, nonostante il trasferimento da Neuchâtel a Losanna, il disavanzo fu di 500.000 franchi. «Solo l’anno successivo, grazie a un paio di migliorie, venne raggiunto il pareggio» ricorda Blaser: «Il CdA, era inevitabile, riconobbe le difficoltà del progetto. Rinnovare i contratti, a fronte anche dei mal di pancia in Lega e tra tecnici e giocatori, non costituiva più uno scenario allettante. I costi d’organizzazione erano troppo alti e i ricavi insufficienti». Di qui la decisione. «Abbiamo incontrato i vertici della Lega e concordato d’interrompere il contratto in anticipo di un anno» afferma Blaser. Per poi concludere: «Quando penso al CS Hallen Masters mi viene in mente un detto: “Troppo piccolo per sopravvivere, ma anche troppo grande per morire”. Probabilmente arrivammo con 5-10 anni di ritardo. In Germania, quando partimmo con il torneo, la pausa invernale era già stata ridotta per l’avvento della Champions League. E a raffreddare il clima ci avevano pensato pure diversi allenatori di primo piano». Già, la magia era finita ancor prima di fare effetto.

Ritorno al futuro: ecco la Kings League di Gerard Piqué

E se qualcuno, ora, ci stesse riprovando? Oltre a essere detestato dall’ex moglie Shakira e aver ispirato il tormentone musicale del momento, Gerard Piqué è un imprenditore. Un po’ folle. Di sicuro visionario. Di recente, attraverso la società Kosmos, l’ex difensore del Barcellona aveva tentato di rinnovare la Coppa Davis. Fallendo. La notizia della rottura con l’ITF è fresca. Un anno fa, invece, a spopolare sul web era stato il Mondiale del palloncino. Il nuovo prodotto del 35.enne catalano si chiama Kings League. E, complici le vendette personali a suon di Casio e Twingo, fa discutere. Parecchio. Ma di cosa si tratta? All’apparenza di un torneo indoor di calcio a 7. La realtà narra però di un nuovo fenomeno social. «Il futuro dello sport e dell’intrattenimento» stando a Piqué, promotore insieme al popolare streamer spagnolo Ibai Llanos. I match si svolgono ogni domenica e sono trasmessi in diretta su Twitch. Il target, va da sé, è la cosiddetta «generazione Z». Prendete i telecronisti: sono influencer. Ogni squadra dispone invece di 12 posti in rosa: 10 fissi e 2 wild card occupabili solo da giocatori professionisti: l’undicesimo calciatore è attivo tutta la stagione, il dodicesimo può cambiare di giornata in giornata. Alle selezioni andate in onda online e seguite da oltre 400 mila persone, si sono presentati in 13 mila. E i 120 che ce l’hanno fatta provengono perlopiù dalle leghe minori catalane. Completano il quadro - spesso come 12. uomo - alcuni «big» del passato: il Chicharito Hernandez, Javier Saviola, Jonathan Soriano per fare qualche nome. Non solo: presidenti e dirigenti sono personalità del web o del pallone. La formazione 1K fa capo a Iker Casillas; i Kunisports al Kun Aguero.

Ah, scordatevi le tradizionali regole del calcio da sala: a regnare sono gli esperimenti. Per dire: l’avvio delle partite avviene in stile pallanuoto, con i giocatori che partono dalla linea di fondo per arrivare sul pallone a centrocampo. Oltre agli shootout in movimento e il VAR a chiamata, vi sono poi diverse carte jolly fra le quali sorteggiarne una per stravolgere l’andamento degli incontri. Gli allenatori possono per esempio privare gli avversari di un giocatore, obbligandoli all’inferiorità per alcuni minuti, ottenere un rigore a favore o ancora raddoppiare il valore di ogni gol segnato in un determinato periodo. Da parte sua il pubblico collegato su Twitch - ma le gare sono trasmesse anche su Tik Tok e Youtube - può interagire e influenzare le scelte delle squadre. Una pazzia? Forse. Gerard Piqué, comunque, fa sul serio. La finale del campionato, in agenda il 26 marzo, si svolgerà nientemeno che allo Spotify Camp Nou di Barcellona. M.S.

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