Il commento

Quanta fretta nel giudicare una riforma coraggiosa e accattivante

La rivoluzione della Super League ha convinto la maggioranza dei club - Eppure c'è chi grida allo scandalo
Massimo Solari
21.05.2022 06:00

Il campionato svizzero è riconosciuto nel mondo per la sua inscalfibile tradizione? Oppure, osservando la questione da un’altra prospettiva, per via del suo livello sopra la media? I tifosi e gli addetti ai lavori romantici e conservatori (tra l’altro è poi così nutrita questa schiera?) si mettano il cuore in pace. La risposta è negativa. Per entrambi gli interrogativi. Ecco perché l’avanguardistica riforma della Super League, approvata nelle scorse ore, non merita di essere deplorata anzitempo. È vero, la portata del cambiamento - che è enorme, nessuno lo nega - può spaventare. Ma la reazione non deve sorprendere. Dopotutto, viviamo in un Paese che tende a guardare con sospetto ogni elemento non «indigeno». Come i playoff, esatto, sino a ieri legati ad altre culture o ad altri sport. La maggioranza dei club di Swiss Football League, però, ha semplicemente osato più di altri. Sì, perché in Europa non siamo i primi a voler ravvivare la parte finale della stagione. Quella, per intenderci, che dall’ultima revisione del formato nel 2003 si è tradotta puntualmente in campionati decisi in anticipo. Parecchio anticipo. E ciò a detrimento dello spettacolo e, di riflesso, della vendibilità del prodotto.

«Ma in questo modo il principio del merito e della giustizia sportiva vanno a farsi benedire» hanno denunciato i contrari. Preoccupazioni lecite, ci mancherebbe. Dopate dalla storia dei tornei agli sgoccioli, con un campione sorprendente (ma non inedito) e una Challenge League mai così incerta. Già immaginiamo gli striscioni all’alba della prossima stagione, magari con le curve disertate per un paio di partite: «La Super League sacrificata sull’altare del profitto». Hai detto poco. Se la maggioranza delle società coinvolte - 16 voti su 20 - ha infine optato per questo passo rivoluzionario, è perché i conti oramai non tornavano più. O, quantomeno, non erano più ritenuti soddisfacenti per una realtà secondaria nel panorama europeo, costretta a smarcarsi dalla forte concorrenza di altre discipline. Non per compiacenza, no, ma per permettere all’ecosistema del calcio svizzero di evolvere. Migliorare, anche. Sia sul piano della competitività - che il nuovo modello si prefigge di consolidare -, sia in termini di attrattività commerciale. Se il primo obiettivo resta avvolto da una lieve cortina di nebbia, appare invece difficile credere che il secondo non sia stato ponderato attentamente dai primattori sulla scena. Il tifoso è sovrano, d’accordo, ma non ne esiste mica una sola tipologia. E anche se fosse, non ci viene in mente una categoria più volubile. Capace di esaltarsi e deprimersi nel giro di poche settimane. Ebbene - guarda un po’ - la nuova Super League e in particolare la formula scelta per decretare vincitori e vinti vogliono esattamente che il sentimento positivo prevalga su quello negativo. Per altro, evitando di propinare allo spettatore e al telespettatore, la stessa partita per ben quattro volte. L’evento, banalmente, tira di più.

Al netto delle buone intenzioni, comunque, bisogna riconoscere alla proposta del comitato di SFL, prima, e all’adesione dell’assemblea generale, dopo, una dose non indifferente di temerarietà. A maggior ragione in un contesto sportivo che avrebbe potuto scoraggiare qualsivoglia ambizione di rinnovamento. Della particolarità della stagione in corso abbiamo accennato. Ma non bisogna nemmeno scordare quanto avvenuto poco più di un anno fa con la sedicente Superlega. E cioè il progetto messo a tacere dopo i primi vagiti proprio perché noncurante dei presunti usi e costumi delle competizioni internazionali. Già. Peccato che il massimo campionato elvetico non sia né la Champions League, né un totem inscalfibile. Provare a ingranare la marcia, insomma, non è per forza una cattiva idea. Di più: il rischio di farsi male cadendo - lo ribadiamo - è per certi versi relativo. Il fatto che i grossi club del Paese si siano spaccati - YB e Zurigo da un lato, Basilea e per esempio il San Gallo con i suoi fedelissimi sostenitori dall’altro - la dice lunga sulla «pericolosità» della riforma. Che poi questa, per quanto epocale, sia orfana di una visione per la Challenge League e accompagnata da un’improvvisa retromarcia sul numero massimo di giocatori non formati localmente in contingente, beh, costituisce un innegabile malus. Le rivoluzioni, però, vanno preparate minuziosamente. E il laborioso percorso che ha portato all’accettazione del futuro modello del massimo campionato svizzero, in fondo, lo dimostra bene. Il ruolo della lega cadetta - pensando soprattutto alla valorizzazione dei giovani talenti di casa - deve solo figurare al prossimo punto dell’agenda.

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