Il fenomeno

Scommesse sportive: emozioni pericolose

Sospettato di essersi fatto ammonire per favorire le puntate di amici e familiari, Lucas Paquetà dovrebbe infine venire assolto - Ma perché, tra gli atleti di alto livello, il gioco d’azzardo rimane una forte tentazione? L’esperto Nicolas Bonvin: «La ricerca di sensazioni forti non è mai abbastanza, così si cerca un modo per ricrearle»
Francesco Raimondi
30.07.2025 06:00

Il rischio era alto, altissimo. Si parlava, addirittura, della squalifica a vita. Invece, il trequartista brasiliano del West Ham Lucas Paquetà - secondo un’indiscrezione riportata dal Times - verrà assolto dall’accusa di aver rimediato appositamente delle ammonizioni in campo al fine di favorire amici e parenti nelle scommesse.

Per quanto terminata con un epilogo migliore del previsto, la storia dell’ex Milan spinge a interrogarsi ancora una volta su una piaga che investe il mondo dello sport: le scommesse e la ludopatia. Questo, tra l’altro, a due anni dall’esplosione dei casi dei calciatori Sandro Tonali e Nicolò Fagioli e a uno da quello del cestista dei Raptors Jontay Porter. Nel caso di quest’ultimo - colpevole di aver scommesso su partite (anche sue) e di aver rivelato informazioni riservate agli scommettitori - la squalifica è stata addirittura quella a vita. A destare il maggiore scalpore, tuttavia, fu principalmente il caso dei due centrocampisti azzurri, entrambi finiti in un pericoloso vortice di gioco d’azzardo illegale.

Quando si vuole sempre di più

Quando è uno sportivo di alto livello a venire coinvolto in certi mondi, lo sgomento è massimo. Forse perché si fatica a capacitarsi di come un atleta che gode di ricchi contratti, spesso multimilionari, possa sentire la necessità di scommettere sul proprio sport e, a volte, persino sulla propria squadra. Ma il discorso non è così semplice. Se lo fosse, fatti simili non accadrebbero. «Gli sportivi entrano in questo mondo perché credono di conoscere il loro sport», spiega al Corriere del Ticino Nicolas Bonvin, psicologo e specialista nei problemi di dipendenza. Per poi proseguire: «Ed effettivamente è così, ma la realtà è diversa. I soggetti in questione sono già abituati a un ormone chiamato “dopamina”, che stimola le emozioni forti e che di per sé non è negativo, ma che incoraggia il desiderio di giocare e rigiocare. La sensazione del pubblico che ti acclama è appagante, e uno sportivo nutre il desiderio di riprodurre queste emozioni. E, in questo senso, le scommesse possono aiutare a ricrearle».

Spesso, quando pensiamo a un calciatore, a un cestista, a un tennista o a qualsiasi altro atleta che abbia fatto dello sport la sua vita e la sua fonte di guadagno, pensiamo a una persona che, come si suol dire, «ce l’ha fatta», e che non ha bisogno di nient’altro. Eppure, non sempre è così. Certo, la ricchezza materiale a queste persone non manca. Ma non per questo sono immuni dall’errore e dalla fragilità. Non scompaiono, però, gli interrogativi. Uno sportivo, come detto, non avrebbe bisogno di scommettere per sostentarsi. «Gli sportivi non avrebbero il diritto di giocare: esiste un conflitto di interessi. Il problema è che entrano nella dinamica per cui avvertono l’esigenza di vivere sempre più emozioni. Non è mai abbastanza, e questa è la caratteristica di una persona dipendente. Oppure vogliono ancora più soldi: anche quelli non bastano mai» osserva Bonvin.

Un esempio per i giovani

Ma se è vero che nella vita cadere è inevitabile, è altrettanto vero che ognuno ha poi il dovere di rialzarsi, cercando di trasformare una brutta esperienza in un insegnamento per sé e/o per gli altri.

Lo sa bene Sandro Tonali. Il centrocampista italiano, infatti, nel suo percorso di riabilitazione ha anche preso parte a incontri con operai di fabbrica con problemi di ludopatia e giovani, che è sempre bene sensibilizzare. In merito, il nazionale azzurro, aveva dichiarato ai microfoni di «Cronache di spogliatoio» come la ludopatia fosse un problema diffuso in una fabbrica inglese gestita da un suo amico italiano e in cui lui aveva portato la sua testimonianza. «Addirittura - racconta - circa l’80% dei lavoratori aveva problemi col gioco d’azzardo». Inoltre, il nazionale italiano ed ex Milan ha anche raccontato di come si fosse accorto che un ragazzino di 15 anni, incontrato in una scuola di Bari, conoscesse molto bene il gioco d’azzardo perché, nonostante lui negasse, «parlava con dei termini che conosci solo se giochi». Lo stesso status, seppur con modalità differenti, lo possiamo attribuire anche all’altro calciatore coinvolto, Nicolò Fagioli. Celebre, infatti, è diventato il documentario su di lui «Fragile - la storia di Nicolò Fagioli»; quarantadue minuti di vera e propria testimonianza in cui il centrocampista, ora alla Fiorentina, ha raccontato il percorso da lui intrapreso per superare la dipendenza dal gioco d’azzardo. Interrogato sulla possibilità che sportivi come Tonali e Fagioli diventino dei modelli, Bonvin dice: «Parlano con il loro cuore, hanno la voglia di trasmettere ai giovani ciò che hanno imparato dalla vita con dolore. Sono molto credibili. Dall’altro lato, chi sta vivendo una situazione del genere vorrebbe essere come loro. Ci vogliono modelli. E uno sportivo è un idolo per i giovani, e quindi può essere un ottimo esempio».

Uscirne? Si può fare

Rialzarsi, dicevamo, è possibile. Ma come? «Il primo aiuto arriva dalla psicoeducazione: si spiega come funziona il cervello umano, il gioco e le illusioni che esso ci crea», indica Bonvin. Poi, ci sono i gruppi di auto aiuto come i giocatori anonimi che, tuttavia, hanno un limite. «Spesso, fra coloro che prendono parte a questi gruppi, c’è chi si vanta delle scommesse; sia che esse vengano vinte, sia che esse vengano perse. Ma se usati correttamente, possono promuovere un cambiamento sano. Occorre, tuttavia, rinunciare all’idea dei soldi facili e trovare piacere nel lavoro».

Certo, non è facile, ma gli strumenti ci sono, e in Ticino esiste anche il «Gruppo Azzardo Ticino». Inizialmente nato da volontari e successivamente espansosi grazie all’aiuto del Cantone, da due anni il gruppo è stato inglobato in «Ingrado», dove è stato possibile aggiungere anche la psicoterapia alle attività che già prima offriva.

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