Calcio

Silenzio, parla Granit Xhaka: «L'Arsenal? Con la Svizzera mi sento molto più amato»

Il capitano della Nazionale si è messo a nudo su The Players Tribune, rivolgendosi in prima persona ai tifosi dei Gunners
Massimo Solari
13.04.2022 20:01

Silenzio. Ora parla Granit Xhaka. E quello che dirà, potrebbe non piacere a tutti. Sicuramente non a molti tifosi dell'Arsenal, ai quali il centrocampista rossocrociato ha deciso di rivolgersi. In prima persona, sì, ospite di The Players Tribune. Un racconto intimo. Coinvolto e coinvolgente. Costruito attorno a un rapporto complicatissimo. Sofferto, anche. Per l'appunto con i sostenitori dei Gunners, che al 29.enne raramente perdonano qualcosa. Di sicuro non lo sfogo avuto il 27 ottobre del 2019. Il giorno della partita casalinga contro il Crystal Palace e - soprattutto - della maglietta gettata a terra con rabbia. Poco prima, Mikel Arteta aveva richiamato Xhaka in panchina, insoddisfatto per la rimonta operata dagli ospiti all'ora di gioco. Fischi, insulti e provocazioni erano allora piovuti addosso al centrocampista svizzero. Al capitano. «Uno choc» ha ammesso Granit: «Se ora chiudo gli occhi, posso ancora vedere le facce dei miei detrattori. La loro rabbia». Un segno di dissenso, forte, verso un calciatore non apprezzato? «No, quello era odio. Puro odio» ha sottolineato il diretto interessato. «La mancanza di rispetto nei miei confronti aveva superato il limite».

Il tutto, insomma, è apparso insopportabile a Xhaka. E, ha svelato il giocatore, pure alla sua famiglia. «Le mie valigie erano pronte. I passaporti pure. Per me l'esperienza all'Arsenal era al capolinea. Dopo averne discusso con mia moglie, Leonita, avevamo deciso di lasciare Londra». A spingere Granit lontano dall'Inghilterra era però stato anche il papà Ragip. Presente allo stadio, in occasione del match di troppo. «Una volta a casa, non avrei mai pensato di sentire delle simili parole da parte sua. Mi disse: «È il momento di partire». 

Per il leader della Svizzera, quel giudizio paterno non poteva essere frainteso. A maggior ragione considerata l'intransigenza costruttiva, che Ragip aveva fatto valere in tante altre occasioni. «Nel 2012-13, dopo un inizio disastroso al Borussia Mönchengladbach, finii in panchina. Perciò, a gennaio dissi a mio padre di volermene andare». "Stai zitto". Mi rispose così. Per poi aggiungere: "Non è il modo. È vero, la porta è proprio lì. Ma chiunque è capace di andarsene. Essere forti, lavorare più duramente degli altri? Questo è ciò che è veramente difficile"». Granit Xhaka, ai tempi, non deve aver aggiunto altro: «Credo che essere confinati in panchina in una squadra di calcio non debba apparire così traumatico per una persona che è stata in prigione in Jugoslavia» la sua riflessione, oggi. 

Il mio rapporto con i tifosi dell'Arsenal è come un bicchiere rotto, capite? Puoi rimettere insieme i vetri, ma le crepe saranno per sempre lì

E poi? Poi, nonostante il dolore, la frustrazione, la fascia di capitano finita sul braccio di altri e il parere del proprio mentore, il divorzio con l'Arsenal non si è consumato. Era dicembre. Due mesi dopo il fattaccio. «Quando prendo delle decisioni di questo tipo, difficilmente cambio idea. Ma le parole di Mikel Arteta mi hanno convinto a restare. Mi ha spiegato quanto fossi centrale nei suoi piani. Ho apprezzato il suo calore. Era onesto, diretto. Ho capito che potevo fidarmi. Mi disse di concedergli sei mesi, per provare che mi stavo sbagliando. Se poi avessi voluto comunque partire, beh, non mi avrebbe fermato».

Eccola la pulce nella testa tormentata di Xhaka. «Sono un tipo emozionale» ha ammesso, non a caso lungo il suo racconto. «La mia testa aveva già lasciato l'Arsenal, ma il mio cuore no. Il mio cuore mi diceva: «Non puoi mollare il club in questo modo». Va da sé, il futuro del giocatore non è più stato un tema fra Arteta e Xhaka. «Sei mesi più tardi ero felice. E oggi so di aver fatto la scelta giusta. Assolutamente. Perché sono ancora qui». Okay, e i tifosi? «Non posso pretendere che la mia relazione con loro torni a essere quella di prima. Quel momento, infatti, rimarrà per sempre dentro di me. È come un bicchiere rotto, capite? Puoi rimettere insieme i vetri, ma le crepe saranno per sempre lì».

No, nemmeno ad aprile del 2022 Granit Xhaka può dirsi sereno circa l'argomento. «Mi piacerebbe avere un rapporto migliore con i nostri tifosi. Vorrei che la comprensione reciproca fosse pure più solida. E ve lo sto dicendo, proprio ora. So che in quanto giocatori di calcio siamo privilegiati, ma dovete anche capire che le nostre vite posso anche essere molto, molto difficili». In particolar modo oltremanica, dove l'accanimento verso i protagonisti della Premier League può essere tremendo. «Credo che molti giocatori, qui in Inghilterra, siano terrorizzati dalle critiche. Io posso gestirle; quando non sarà il caso smetterò. Ma devo altresì essere onesto: personalmente trovo più semplice giocare per la Svizzera, perché in nazionale mi sento più amato. Commetto un errore? È tutto okay, succede. Ma qui? Qui ti uccidono. Ed è incredibile».

So che in quanto giocatori di calcio siamo privilegiati, ma dovete anche capire che le nostre vite posso anche essere molto, molto difficili

E nel caso di Xhaka, la lista dei errori non ammessi risulta essere piuttosto lunga. Troppi cartellini, tackle pericolosi,.... «Suvvia ragazzi, non è balletto». Eppure per i tifosi «succede un po' troppo spesso». Granit, al proposito, ha voluto mettere in chiaro un altro paio di cose: «Lasciate che vi ponga una domanda. Perché gli allenatori continuano a farmi giocare? Forse perché sono un "bravo ragazzo"? No, no. È perché mi alleno duramente, lavoro duramente e cerco di aiutare i miei compagni. Perché credo che la tua prestazione dipenda da come ti prepari in settimana». Di qui l'invito, un disperato invito a riflettere. A non puntare il dito così, tanto per farlo. «In ogni caso, lasciatemi dire una cosa anche ai miei haters. Potete dire quello che volete sul sottoscritto, ma non toccate la mia famiglia. D'accordo?».

La questione è delicata, certo. E chiama in causa, pure in questa storia, i cosiddetti leoni da tastiera. «Ed è piuttosto divertente, perché nella vita reale nessuno è mai venuto a dirmi: "Sei una me..a". Mai. Nessuno mi dice queste cose in faccia». E a proposito di facce, quella negativa della medaglia la intravede proprio a questo livello: «È una delle peggiori cose dell'essere famoso. Le persone, nei nostri confronti, non riescono a essere reali. E vorrei davvero che non fosse così. Sono una persona normale, proprio come te. Capisci? Sì, d'accordo, per 90 minuti sono Granit Xhaka, centrocampista dell'Arsenal. Ma il resto della settimana sono solo uno svizzero che vive a Londra con sua moglie e due bambini».

Lasciate che vi ponga una domanda. Perché gli allenatori continuano a farmi giocare? Forse perché sono un "bravo ragazzo"? No, no. È perché mi alleno duramente, lavoro duramente e cerco di aiutare i miei compagni

Due vite, una sola persona. Con tutto quanto ne consegue interiormente. «Naturalmente - ha osservato Xhaka - sono grato di essere un calciatore professionista. Ma fuori dal campo, devo essere di nuovo sincero, non posso dire di avere una vita privata migliore di prima. Prima ero solo Granit. Ero io». E la frustrazione generata dai tifosi del club tanto amato non aveva ancora lasciato il segno. «Capisco che non saremo mai migliori amici, ma spero che sia possibile trattarci con onestà e rispetto. Qualsiasi cosa io faccia in campo, dovete saperlo, è spinto dalle migliori intenzioni. Se sono in ritardo in un tackle, è perché sto combattendo per l'Arsenal. Se perdo la calma, è perché ci tengo. Non so... A volte, forse m'importa troppo». Ieri, oggi. E domani? «Ovviamente - ha concludo Granit Xhaka - non si può mai prevedere il futuro nel calcio. Ma alcune cose le so. Dopo questa stagione, mi restano due anni di contratto. E continuo ad amare questo club. Credo che Mikel stia costruendo un grande team. E, qui, mi piacerebbe conquistare qualcosa di speciale».

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