Calcio

Silvan Widmer, l'eroe mancato in Qatar: «Svizzera senza spirito negli ottavi»

Nostra intervista al capitano del Mainz e difensore della Nazionale a un mese dalla fine dei Mondiali: «Le esclusioni del 2016 e 2018 hanno fatto più male del forfait obbligato contro il Portogallo»
Silvan Widmer, 29 anni, ha dovuto saltare la sfida decisiva contro il Portogallo poiché malato. © AP/Petr David Josek
Massimo Solari
20.01.2023 06:00

A un mese dalla fine dei Mondiali, ultimo fra i maggiori campionati europei, nel weekend torna in campo la Bundesliga. E con essa Silvan Widmer, capitano del Mainz, oltre che sfortunato protagonista dell’avventura svizzera in Qatar. Lo abbiamo intervistato per provare a metterci definitivamente alle spalle i tremendi ottavi di finale persi contro il Portogallo.

Silvan, diversi tuoi compagni di Nazionale hanno ritrovato la competizione da alcune settimane. Addirittura, chi gioca in Premier League ha riabbracciato il campionato a fine dicembre. Tu, dopo aver salutato Doha, hai invece dovuto attendere quasi un mese e mezzo. Quanto è stato duro e lungo questo periodo?

«In realtà, non è stato così difficile. Anzi. Sono una persona che riesce a staccare molto bene, a non pensare al calcio, insomma, quando trascorro le giornate con la mia famiglia. Le due settimane di riposo tra la fine della Coppa del Mondo e la ripresa degli allenamenti con il Mainz mi hanno così permesso di riflettere, di prendere le distanze dal Qatar. Di stare bene, anche, senza avvertire la necessità di riempire immediatamente la mente con il pallone».

Nessuna notte insonne, dunque?

«No, assolutamente. Ovvio, i giorni che seguono la fine dei grandi tornei sono sempre difficili da gestire. L’ultima partita, d’altronde, fa rima con sconfitta per tutte le nazionali tranne una: quella che si laurea campione».

Alla vigilia del match ero kappaò: scendere in campo contro il Portogallo era impossibile

Torniamo a inizio dicembre. E ai giorni che hanno separato la terza sfida della fase a gironi con la Serbia e gli ottavi di finale al Lusail Stadium. Cosa è successo?

«Ho affrontato la Serbia in grande forma. E bene mi sono sentito anche nelle 24 ore successive. Per intenderci, ho svolto senza problemi gli esercizi di scarico e le terapie previste. Pure il giorno seguente, almeno inizialmente, tutto sembrava okay. Verso sera, quindi, sono emerse tosse e mal di gola. Comunque nulla di eccessivo. Alla vigilia degli ottavi, al contrario, mi sono svegliato in cattive condizioni. Ho provato a svolgere l’allenamento di rifinitura, ma senza avere riscontri positivi. Banalamente, ero kappaò. Ho discusso con i dottori e sono rimasto in camera per il resto della giornata, prima di essere colpito anche da una forte febbre. Scendere in campo contro il Portogallo, va da sé, era impossibile. Sono stato male per altri 3-4 giorni».

Nel 2016 e nel 2018, a un passo dall’Europeo in Francia e dal Mondiale russo, avevi dovuto lasciare il gruppo poiché escluso dalla lista definitiva dei convocati. Sono stati più duri quei momenti o il forfait per la sfida contro il Portogallo?

«A livello personale, sono state più sofferte le esclusioni del 2016 e del 2018. In entrambe le occasioni, rimasi molto deluso dalle decisioni del ct. Malattie e infortuni, invece, sono cose che purtroppo capitano. Naturalmente mi è dispiaciuto terribilmente lasciare la squadra in un frangente così importante, ma - appunto - si tratta di situazioni che vanno accettate. Non solo. Al netto degli ottavi non giocati, il Mondiale in Qatar ha costituito una bella esperienza sul piano personale. E non voglio oscurare tutto questo solo per il forfait finale».

Con quali sentimenti avevi vissuto il terribile 6-1 subito dai tuoi compagni? Sei riuscito - magari con qualche settimana di distanza - a darti una spiegazione a fronte di una simile controprestazione?

«Non ero sul campo quindi per me è difficile dare una spiegazione. Comunque il Portogallo ha fatto una partita eccezionale. A me è sembrato di vedere la mia squadra partire con lo spirito giusto. Con il passare dei minuti, però, l’avversario ha acquistato fiducia e non ha permesso alla Svizzera di tornare in partita».

Dopo la Serbia non volevamo accontentarci: perciò non capisco il crollo mentale

Ma perché, a tuo avviso, è successo? In fondo, solo qualche giorno prima, l’ardore era emerso in modo prepotente contro la Serbia.

«Nella terza e decisiva partita della fase a gironi abbiamo dato tutto, su questo non c’è dubbio. Sì, con i serbi abbiamo disputato una grande gara, riuscendo - in questo caso - a ribaltare il risultato. Posso però assicurarvi che dopo la sfida non ci siamo montati la testa; non abbiamo trascorso la notte facendo festa in hotel. No, non volevamo accontentarci. Perciò non riesco a spiegarmi la mancanza di spirito e di forza mentale rivelatesi fatali negli ottavi di finale».

Si è discusso molto del modulo scelto da Murat Yakin, con il sorprendente passaggio dalla difesa a quattro al 3-5-2. Ma è vero che, se fossi stato disponibile, avreste comunque giocato in questo modo, con te nel ruolo di quinto?

«Se ricordo bene, in occasione della rifinitura della vigilia era stato schierato a destra, nella classica difesa a quattro. E, onestamente, mi aspettavo che il modulo sarebbe stato confermato. Si è trattato di una decisione legittima del mister e per la quale - in seguito - si è oltretutto assunto la responsabilità. Non dimentichiamo tuttavia una cosa: per tanti anni la Svizzera - e quindi lo stesso gruppo sceso in campo al Lusail Stadium - ha giocato con una difesa a tre. Ed è sempre andata bene. Ecco perché, a mio avviso, la controprestazione con il Portogallo non va ricondotta principalmente al modulo».

Con Edimilson Fernandes, tuo compagno al Mainz e sostituto negli ottavi di Qatar 2022, avete avuto modo di parlarne in queste settimane?

«Si, ne abbiamo discusso. Edi era pronto. Aveva già giocato due scampoli di partita nella fase a gironi e la voglia di fare bene era tanta. Purtroppo tutta la squadra non ha reso come nelle partite precedenti».

A Euro 2020 Silvan Widmer era emerso alla distanza. Al Mondiale in Qatar, per contro, è semplicemente stato il miglior rossocrociato della spedizione. Lo ha riconosciuto la stampa di tutto il Paese. Che effetto fa?

«Non la penso allo stesso modo. Di sicuro sono orgoglioso di far parte di questo gruppo. Credo inoltre di poter affermare che, da due anni e mezzo, non solo vi faccio parte, ma ne sono anche un protagonista. Gioco con continuità e fornisco regolarmente il mio contributo. Il merito, in tal senso, va però accordato anche ai miei compagni. Oramai ci conosciamo bene e, insieme e con piacere, lottiamo per raggiungere gli stessi obiettivi con la maglia della Nazionale svizzera. Per me, questo è molto importante. Quando sei calciatore, sapere di poter scendere in campo godendo della fiducia di chi ti affianca, libera la testa e favorisce le buone prestazioni».

In ogni caso, Silvan Widmer non si è confermato ad alti livelli per caso...

«Ho vissuto stagioni difficili, sia a livello di club, sia in Nazionale. Ma ho sempre cercato di superare gli ostacoli trovati sul mio cammino. Ora, in effetti, sto vivendo un momento speciale calcisticamente parlando. Sono capitano al Mainz e posso giocare con continuità nella Svizzera, e quindi mi godo il momento. Consapevole di aver dovuto lavorare molto e duro per raggiungere un simile traguardo».

L’amarezza di Doha ci darà la forza per aprire un’altra pagina e riprovare a scrivere la storia

Protagonista in Nazionale e, per questa ragione, anche fra i protagonisti della docu-serie «The pressure game», attesa per la primavera sui canali SSR?

«Diciamo che la Svizzera presenta diversi caratteri molto interessanti e che hanno avuto modo di esprimersi e spiegarsi nel documentario in questione. Sarà una figata, sì, sono curioso e convinto che lo spettatore scoprirà molti aspetti sconosciuti del nostro ambiente. Anche se non è sempre stato piacevole convivere con una telecamera accesa a pochi passi di distanza».

L’amara uscita di scena a Doha è una ferita ancora aperta. All’orizzonte, però, si stagliano già le qualificazioni a Euro 2024. Dopo la disfatta contro i lusitani e alcune dichiarazioni discordanti tra giocatori, staff tecnico e dirigenti, come credi che reagirà la Svizzera?

«Volevamo scrivere la storia ai Mondiali e cercheremo di farlo anche ai prossimi, grandi appuntamenti. In Qatar puntavamo almeno ai quarti di finale e l’obiettivo è stato fallito. Non è un dramma, ma dopo gli ottavi con il Portogallo eravamo molto delusi di noi stessi. Per come ho osservato il gruppo, e conoscendo i giocatori che lo compongono, questa amarezza ci darà la forza per aprire un’altra pagina. In Svizzera, d’altronde, si è coscienti del livello raggiunto dalla Nazionale in questi anni. Così come del livello di molti suoi elementi. Giochiamo bene, non temiamo alcun avversario e, dunque, abbiamo il dovere di qualificarci agli Europei, per poi affrontare il torneo con rinnovate ambizioni. Appunto, con l’intenzione di scrivere la storia».

Il torneo si disputerà in Germania. È un fattore che motiva particolarmente chi, come te, gioca in Bundesliga?

«Non al momento. Anche perché, prima, è necessario qualificarsi. Se sarà il caso, ad ogni modo, non escludo che conoscere gli stadi e le città – e se siamo fortunati giocheremo a Francoforte davanti a tanti amici – rappresenterà uno stimolo ulteriore per il sottoscritto».

Quali sono invece gli obiettivi del Mainz, ora come ora, nel ventre molle della classifica?

«Il Mainz deve innanzitutto rimanere con i piedi per terra. Tradotto: dobbiamo raccogliere in fretta i punti necessari per non retrocedere. Prima del mio approdo, il club aveva vissuto diverse annate turbolente. Con salvezze in extremis e parecchi cambi d’allenatore. Non scordiamoci il passato, dunque, remando insieme verso il primo obiettivo stagionale e – una volta raggiunto – guardando semmai un po’ più in alto».

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