Xhaka: «Con l'Italia abbiamo vinto ancora prima di scendere in campo»

Dopo le dichiarazioni di Pierluigi Tami, era atteso Granit Xhaka davanti ai microfoni della stampa. Ci ha messo un po’, però, ad arrivare il capitano dei rossocrociati, ma i pochi minuti di ritardo avevano una buona causa, era impegnato a firmare autografi ai diversi bambini presenti che volevano un ricordo dal centrocampista elvetico. A ormai praticamente 24 ore di distanza dall’ottavo di finale, le fatiche si fanno ancora sentire. «È normale percepire una certa stanchezza dopo un match del genere, ma per fortuna adesso abbiamo diversi giorni a nostra disposizione per riposarci e presentarci al meglio in vista della sfida di sabato». A proposito delle sue condizioni, poi, il centrocampista del Bayer Leverkusen ha smorzato subito ogni dubbio sul suo stato fisico. Le preoccupazioni, quando si è accasciato nel primo tempo di ieri sera, erano parecchie. «Ho sentito tirare leggermente all’adduttore sinistro dopo 15’, ma abbiamo dei medici estremamente validi che mi hanno aiutato in ogni modo possibile. Da quel momento in poi non ho praticamente sentito più nulla di anomalo fortunatamente».
Il dolore che non era sparito
L’autore del magnifico gol del raddoppio contro gli azzurri, Ruben Vargas, ha raccontato che prima di andare alla conclusione ha sentito lo stesso Xhaka invocarlo a tirare. «Sì, appena prima che calciasse gli ho urlato di provarci, avevo una sorta di feeling che potesse essere il momento buono. Quando siamo rientrati in campo dopo la pausa di metà partita sentivo che lui poteva trovare la via della rete. Aveva già avuto diverse possibilità nelle quali poteva, e forse doveva, provarci. Ruben, però, è un giocatore particolarmente altruista e quindi spesso tende a servire la sfera ai compagni piuttosto che ergersi a protagonista». Il senso di orgoglio che Xhaka prova per il suo gruppo è assai innegabile. «Sono estremamente fiero di quanto abbiamo mostrato, sono fiero di ogni membro della squadra, incluso lo staff, quello che abbiamo raggiunto è un traguardo più che speciale. Non tanto per il risultato in sé, bensì per la performance inscenata e per il gioco espresso. Abbiamo giocato ad un ottimo livello e abbiamo avuto il giusto approccio mentale contro un avversario di prestigio. Sentivamo la sconfitta di tre anni fa, quando l’Italia ci batté per 3-0, il dolore c’era ancora. Abbiamo dimostrato un grande spirito di squadra e quindi ciò che abbiamo centrato è un obiettivo più che meritato. È vero, nella fase ad eliminazione diretta l’unica cosa che conta è il passaggio del turno, ma ogni vittoria dà fiducia. Imporsi in una partita così, poi, ne dà perfino di più, siamo stati impeccabile in termini di disciplina, con e senza palla».
L'apice della carriera
Le aspettative – da parte di tutta l’opinione pubblica – sulla Svizzera sono decisamente aumentate. I rossocrociati non sono più visti come dei semplici outsider, ma taluni ci indicano ormai come possibili vincitori. «Non posso dirvi con garanzia che vinceremo il torneo, ma posso promettere che faremo di tutto per farcela. Ogni giocatore ha il desiderio di vincere dei trofei e di fare il meglio per il suo Paese». Ogni tanto, tra una risposta e l’altra, Xhaka dà anche un’occhiata al suo telefono, per monitorare la partita tra Slovacchia e Inghilterra. «Ho guardato i primi 12’ del match prima di arrivare in conferenza stampa dinnanzi a voi, mi sembra un match molto intenso. Noi non abbiamo finito il nostro lavoro, ora ci aspetta un’importante fase di recupero e di analisi». Il capitano, reduce da una stagione straordinaria in Germania, è da molti considerato al massimo delle sue potenzialità. Un Xhaka di queste dimensioni, di base non lo si è mai visto. «Non mi piace paragonarmi ad altri momenti della mia carriera, anche in passato così male comunque non ero. È chiaro che ora sono un po’ più vecchio e ho maturato una certa esperienza, questo è già il mio sesto grande torneo con la Nazionale. Fisicamente mi sento molto bene, sto davvero al top e mi dico che non sono ancora arrivato al massimo delle mie possibilità, posso ancora migliorare. Il mio desiderio resta sempre lo stesso, voglio solo aiutare la squadra dentro e fuori dal campo, so quanto è importante la mia influenza sul gruppo».
La comunicazione
Quanto, per questa Svizzera, è stata importante la sua esperienza con il Leverkusen? «Non si può fare troppi paragoni tra la Nazionale e squadre di club. Va detto che un cambiamento rispetto a come giocavamo sei mesi or sono c’è stato. Noi giocatori, ma anche lo staff, sapevamo che quanto proposto alle qualificazioni non era abbastanza. Sapevamo di poter performare meglio e quello che ha fatto la differenza è il dialogo costante che abbiamo tra di noi. Ci supportiamo e ci ascoltiamo a vicenda». Famoso, ormai, è l’incontro che ha avuto a Düsseldorf con Yakin durante il corso della stagione. «L80% di ciò che abbiamo discusso non riguardava strettamente il calcio o questioni tattiche, abbiamo parlato tanto anche di aspetti considerati secondari e legati all’organizzazione interna del gruppo. Non penso che le nostre buone prestazioni dipendano dall’aver cambiato il sistema di gioco, sono l’attitudine e la coesione del gruppo a essere diverse. Comunichiamo tanto e siamo molto aperti nei nostri dialoghi, abbiamo imparato dagli errori commessi in passato. Abbiamo la dimostrazione: se lavoriamo bene assieme possiamo avere successo, non è un caso poi giocare così bene».
La mentalità vincente
Dal punto di vista della testa, la mentalità vincente che ha portato dal Leverkusen sta aiutando e non poco. «Io odio perdere. Mi arrabbio tremendamente anche in allenamento e quando finiamo le sessioni alcuni mi provocano e mi fa doppiamente male. Io e Ankanji abbiamo giocato un’ottima stagione, ma così anche i tre di Bologna e altri ancora. Siamo più affamati che mai, vogliamo vincere a tutti i costi, non ho mai visto l’Italia così in difficoltà sul campo come contro di noi, abbiamo vinto ancor prima di scendere in campo, come fecero lor con noi 3 anni fa». La Svizzera, tra l’altro, è una delle squadre con la media d’età più alta di tutto l’Europeo. «È importante avere un buon mix tra giocatori di esperienza e giovani. Più diventiamo maturi e più diventiamo forti, possiamo trasmettere ai nostri giovani quello che noi abbiamo sperimentato a livello di mentalità. Noi «vecchi» siamo ancora affamati e loro devono esserlo per forza, altrimenti ci sarebbe qualcosa di sbagliato. Comunque, come confermano anche i dati, siamo noi con l’età più avanzata a correre più di tutti». L’esperienza, anche a livello personale, è un fattore decisivo per Xhaka. «In passato avrei potuto dare di più in quanto capitano, penso che ora svolgo al meglio questo ruolo come avrei già dovuto fare. Adesso siamo molto sinceri tra di noi e questo forse ci era un po’mancato prima. Siamo cresciuti e abbiamo tanti giocatori di livello internazionale, abbiamo diverse opzioni e tutti hanno e conoscono il proprio ruolo. Quando si ha una squadra così forte è normale che tutti vogliano giocare, ma i posti sono limitati, ognuno deve spingere al massimo in ogni allenamento per mettere in difficoltà l’allenatore nelle sue scelte. I giovani che sono impazienti di giovare devono rimanere positivi. Rieder, in questo senso, è l’ esempio perfetto, ha giocato benissimo sia ieri sia con la Germania quando ha avuto le sue chance».