Scenari alternativi

Uomo e clima: adattarsi è sempre indispensabile

Abbiamo ipotizzato un universo parallelo in cui il cambiamento climatico porta ad un raffreddamento. Cosa succederebbe?
Martina Ravioli
05.04.2022 11:00

Il cambiamento climatico è in atto. I dati misurati in tutto il mondo lo testimoniano inequivocabilmente. La disputa si gioca, casomai, sulle cause che stanno portando al riscaldamento dell’atmosfera, ma anche qui il fronte scientifico è abbastanza compatto nell’indicare l’attività antropica come il principale motore alla base dei cambiamenti climatici e della loro estrema velocità. Di clima e strategie è doveroso parlare, ma per una volta vogliamo sottrarci alle accese discussioni che tale argomento suscita e concentrarci su di un ragionamento che è solamente un guizzo di curiosità, un divertissement a cavallo tra scienza e filosofia, e pertanto da prendere in quanto tale. Quotidianamente, la comunità scientifica si interroga su possibili soluzioni e i governi si arrabattano per cercare di conciliare le indicazioni della scienza con le necessità economiche e le realistiche fattibilità di operazioni volte a contrastare il riscaldamento globale. Ma, ci siamo chiesti, cosa succederebbe in una realtà parallela – e, lo ribadiamo, assolutamente non vera né realisticamente ipotizzabile nel prossimo futuro – se invece che ad un riscaldamento, assistessimo ad un raffreddamento? Quali le strategie per riuscire a contenere entro i -2°C le temperature medie? Ne abbiamo parlato con diversi esperti ed è emersa una verità incontestabile: la società deve, in ogni caso, essere pronta ad adattare i propri comportamenti, i propri processi, le proprie infrastrutture. E, a seconda della causa che innesca il cambiamento, anche cercare di contrastarlo.

Ripercussioni sul clima

Nella nostra realtà parallela stiamo assistendo ad un raffreddamento. Ma prima ancora di capire cosa fare, bisognerebbe capire come siamo arrivati a questo punto. «Un raffreddamento potrebbe essere provocato dalla presenza di particelle (i cosiddetti aerosol) nell’alta atmosfera. Alcuni tipi di aerosol sono in grado di assorbire o riflettere parte della radiazione solare incidente e quindi diminuire la quantità di energia che, penetrando nell’atmosfera, raggiunge il suolo. Non bisogna però dimenticare che il raffreddamento generato dagli aerosol è tendenzialmente di breve durata. Infatti, a causa della loro dimensione, questi hanno un peso tale da scendere spontaneamente verso il basso per finire poi depositati sul terreno entro uno o più anni oppure uno o più decenni. All’origine di pulviscolo nell’atmosfera potrebbero esserci, anche se beninteso nessuno se lo augura, l’impatto di un meteorite di grandi dimensioni o lo sviluppo di estesi e duraturi incendi su vasta scala. Entrambi sarebbero in grado di immettere nell’atmosfera ingenti quantità di polveri che bloccherebbero l’arrivo della radiazione solare» spiega Marco Gaia, Responsabile del Centro regionale sud dell’Ufficio federale di meteorologia e climatologia MeteoSvizzera, che prosegue: «Nel corso della vita della Terra fasi di riscaldamento e di raffreddamento si sono alternate. Alcune sono collegate al movimento orbitale della Terra, la cui distanza dal Sole oscilla nel corso dei millenni, e hanno provocato le glaciazioni che si sono estese per alcune decine di migliaia di anni. Un altro motivo per un raffreddamento sono state le eruzioni vulcaniche, in grado di emettere grandi quantità di aerosol nell’alta atmosfera. Ad esempio, nel 1815 con l’eruzione del vulcano Tambora (Indonesia) che provocò in Europa quello che passò alla storia come ‘l’anno senza estate’. Fu un raffreddamento di breve durata e, una volta che gli aerosol si furono depositati al suolo, l’effetto raffreddante sparì. Un raffreddamento duraturo anche solo di alcuni gradi, ci allontana dalla ’norma climatica’. La nostra società è una società ‘a norma’ nel senso che numerose infrastrutture sono costruite in funzione delle tipiche condizioni meteorologiche che ci si aspetta. Pensiamo, ad esempio, agli impianti di riscaldamento, che sono dimensionati in ragione delle temperature usualmente attese nelle varie stagioni. Inevitabilmente saremo chiamati come società ad intervenire per adattarci al nuovo clima, adattando le nostre infrastrutture, le nostre colture, i nostri processi di produzione idroelettrica.» E se noi, nella nostra Sonnenstube, siamo confrontati con inverni più miti ed estati sempre più calde, come se la passano i nostri omologhi della realtà parallela? «Una diminuzione delle temperature sull’intera Terra, si manifesterebbe con l’aumento dei periodi con temperature inferiori a quelle attuali. Per quel che riguarda la Svizzera andrebbero ad aumentare il numero di giorni di gelo, diminuirebbe la quota media dell’isoterma di zero gradi, le nevicate fino a basse quote ritornerebbero a essere più frequenti. Riguardo le precipitazioni la situazione è più complessa, tendenzialmente gli estremi delle precipitazioni dovrebbero diminuire perché sarebbe presente un po’ meno vapore acqueo nell’atmosfera. Anche i periodi di siccità estiva in alcune parti del mondo potrebbero diminuire poiché l’evaporazione sarebbe inferiore. Su scala globale un raffreddamento della temperatura media porterebbe a una diminuzione del livello del mare, sia perché vi sarebbe una contrazione termica delle masse d’acqua oceaniche, sia perché più ghiaccio si andrebbe a formare sulle zone di terraferma. Anche i ghiacciai alpini ritornerebbero a crescere, aumentando di volume» ipotizza Gaia che spiega che le strategie per contrastare il raffreddamento dipenderebbero dalle sue cause: «se l’origine dovesse essere antropica e dovuta ad attività umane, allora le politiche dovrebbero mirare a contrastare tali attività sostituendole con altre che non abbiano il medesimo impatto. È la medesima logica delle azioni di mitigazione che si cerca, con fatica, di mettere in campo per contrastare il riscaldamento climatico. Se l’origine fosse naturale, allora il margine di manovra per azioni di mitigazione sarebbe decisamente ridotto e non ci rimarrebbe altra strada che tentare di adattarci. Azioni di contrasto, come quella di aumentare le emissioni di gas ad effetto serra, sarebbero un passo falso nel caso il raffreddamento fosse provocato dagli aerosol che tendono, per l’appunto, a depositarsi a Terra. Rimarrebbero in atmosfera, per un tempo decisamente superiore (fino a 200 – 400 anni) i gas ad effetto serra, andando a rafforzare il riscaldamento globale a lungo termine».

Un'eruzione vulcanica con grandi quantità di aerosol immessi nell’alta atmosfera, potrebbe portare ad un temporaneo raffreddamento.
Un'eruzione vulcanica con grandi quantità di aerosol immessi nell’alta atmosfera, potrebbe portare ad un temporaneo raffreddamento.

Tecniche di costruzione

Oggi viviamo tra condizionatori d’estate e riscaldamento d’inverno, ma come se la passano gli umani dell’universo parallelo, confrontati con il freddo? «Condizioni esterne più rigide possono comportare uno sfruttamento più importante di quelle tecnologie che risultano essere meno dipendenti dalla temperatura esterna. Questa tendenza può essere osservata al nord delle Alpi dove le temperature più rigide portano a prediligere, in maniera più importante rispetto al sud delle Alpi, lo sfruttamento di fonti energetiche quali la legna, le acque superficiali/sotterranee e la geotermia attraverso l’utilizzo di pompe di calore. Da un punto di vista prettamente economico queste fonti potrebbero quindi diventare più appetibili garantendo al contempo il raggiungimento di adeguate temperature di mandata del sistema di distribuzione» illustra Luca Pampuri, responsabile del settore consulenza di TicinoEnergia. Oggi si discute molto sull’impatto, in termini di consumo energetico, dei climatizzatori, ma, ricorda Pampuri, «al momento la parte del leone la fa il riscaldamento. Queste dinamiche stanno cambiando a seguito del cambiamento climatico in atto, con un’attenzione sempre maggiore al periodo estivo. In un’ottica di riduzione delle temperature è però evidente che la quota parte legata al riscaldamento degli stabili risulterebbe ulteriormente incrementata a discapito della quota parte legata al raffrescamento. Avremmo verosimilmente un incremento ulteriore del fabbisogno energetico globale. Il parco immobiliare esistente, inoltre, già adesso si trova per buona parte in precarie conduzioni per quanto riguarda l’isolamento durante il periodo invernale. Risulterebbe quindi ancora più urgente intervenire per garantire il comfort all’interno delle abitazioni. Ad esempio, lo standard Minergie ha sempre avuto la capacità di adattarsi nel tempo e non dubito quindi che possa sfruttare tutto il suo potenziale anche in condizioni diverse da quelle attuali». Altri temi di stretta attualità sono l’approvvigionamento tramite fonti energetiche rinnovabili e la mobilità sostenibile. «La promozione di fonti energetiche rinnovabili e locali è, indipendentemente dalla situazione, fondamentale sia in ottica climatica che economica. Anche la mobilità vuole favorire una riduzione degli impatti a livello ambientale, sociale ed economico. Si tratta quindi di favorire una modalità intermodale che permetta non solamente di ridurre l’inquinamento atmosferico, ma anche i tempi di spostamento contenendo al contempo lo sfruttamento del territorio. Dal mio punto di vista questo tipo di risultato non può che essere prioritario indipendentemente dalla situazione climatica» conclude Pampuri.

Il parco immobiliare esistente si trova per buona parte in precarie conduzioni per quanto riguarda l’isolamento durante il periodo invernale. ©CdT/Gabriele Putzu
Il parco immobiliare esistente si trova per buona parte in precarie conduzioni per quanto riguarda l’isolamento durante il periodo invernale. ©CdT/Gabriele Putzu

Agricoltura e territorio

Violente grandinate, periodi di siccità, bombe d’acqua. Sono questi i fenomeni estremi con cui si confronta oggigiorno la filiera agroalimentare. Sarebbe così anche nel caso di un raffreddamento? «È una domanda complessa che necessiterebbe una risposta altrettanto complessa con un’analisi di ciò che è cambiato a livello varietale nell’agricoltura ticinese. Di principio, una diminuzione della temperatura media raccorcerebbe il ciclo vegetativo. L’aumento delle temperature è stato evidente sulla vite con un anticipo della maturazione del nostro Merlot di almeno una decina di giorni e l’interesse crescente dei viticoltori a provare varietà più tardive, che quindi sfruttano per la maturazione delle uve un ciclo vegetativo più lungo, come alternativa futura al Merlot. Un raffreddamento impedirebbe, invece, l’impianto di questi vitigni tardivi e un ritorno a un ciclo vegetativo più corto e nelle zone meno vocate (valli o vigneti in altitudine) a dei vitigni più precoci del Merlot. Per quanto riguarda la produzione orticola ticinese, questa è quasi tutta sotto protezione (serra e tunnel). Non cambierebbe quindi molto. Le colture orticole sono per la maggioranza annuali e quindi la reazione del produttore a dei cambiamenti climatici è rapida. Logicamente, un calo delle temperature porterebbe ad un aumento dei costi per il riscaldamento delle strutture produttive. Per le colture orticole di pieno campo significherebbe un loro minor sfruttamento visto il raccorciamento del periodo vegetativo» spiega Mauro Jermini, capo gruppo ricerca e responsabile Agoscope Cadenazzo, che approfondisce: «l’ecosistema nel suo complesso si adatterebbe favorendo organismi più resistenti al freddo. L’agricoltura si adatterebbe abbastanza rapidamente alle nuove condizioni rivolgendosi alle esperienze del passato, quando già coabitava con questi problemi, oppure importando strategie e scelte fatte in paesi toccati prima di noi da questo problema. Oggi la ricerca, in particolare nella selezione varietale, è in grado di proporre in uno spazio temporale relativamente corto varietà più tolleranti ai cambiamenti. Il problema si porrebbe maggiormente per le specie vegetali selvatiche sensibili al freddo, per le quali una speciale protezione è impensabile e avremmo quel cambiamento nelle popolazioni frutto di ogni modifica ambientale e che costituisce un elemento di selezione naturale».

Gran parte della produzione orticola ticinese è già sotto copertura. ©CdT
Gran parte della produzione orticola ticinese è già sotto copertura. ©CdT

La necessità di imparare ad adattarsi è alla base anche della riflessione di Pierluigi Calanca, Project Leader di Agroscope Zurigo per il Gruppo di ricerca Clima e agricoltura. «Oggi l’approvvigionamento alimentare in Svizzera è garantito per il 60% dalla produzione locale e per il 40% dall’importazione. Nel caso di un raffreddamento prolungato e su vasta scala, anche i prodotti importati potrebbero avere un costo maggiore dovuto alle eventuali difficoltà di reperimento. Tutto questo con un forte impatto economico e sociale» spiega Calanca che prosegue «come già sottolineato da Jermini, con -2°C, la finestra utile per la coltivazione si accorcerebbe di 20-30 giorni. Questo porterebbe ad un abbassamento altitudinale delle zone termiche adatte alla coltivazione di circa 300 m, cioè una specie vegetale che oggi può venir coltivata a 800 m, la si potrebbe coltivare solo fin verso i 500 m. Si avrebbe perciò una perdita di superficie utile che andrebbe compensata facendo ricorso a varietà più resistenti al freddo, con l’installazione di serre e coperture e con l’ottimizzazione di tutta la catena agroalimentare. Ad una diminuzione di produzione si potrebbe far fronte combattendo, ancora più di oggi, lo spreco di prodotti alimentari». Una sfida notevole insomma… «L’adattamento non sarebbe a costo zero e servirebbero – come d’altronde sono indispensabili oggi – investimenti e scelte mirate. La temperatura non sarebbe l’unico problema. Bisognerebbe anche capire come muterebbero le precipitazioni, le correnti e via dicendo e quali potrebbero essere le conseguenze di questi cambiamenti aggiuntivi. In caso di un clima freddo ed umido, ad esempio, potrebbe accrescere l’incidenza di alcune malattie come la ‘ruggine del grano’, o avere ripercussioni sfavorevoli sul ciclo di vita degli insetti impollinatori. Insomma, le ipotesi sono le più disparate perché il clima è un soggetto complesso e sono molteplici gli aspetti da tenere in considerazione» ci tiene a sottolineare Calanca che conclude «a volte si ha la tendenza a credere che il mondo dell’agricoltura sia statico e conservatore. Non è così. Gli agricoltori sono tra i primi a venir toccati dai cambiamenti climatici e spesso riescono in modo spontaneo ed empirico a trovare soluzioni e accorgimenti. Flessibilità e adattabilità devono essere, in ogni caso, le parole d’ordine».

Eccoci qui, dunque, in un mondo sempre più caldo a riflettere su cosa accadrebbe se il nostro pianeta fosse sempre più freddo. Un azzardo, una riflessione agli antipodi, un modo diverso di parlare di clima. Terminiamo questo viaggio con l’invito a comprendere meglio i cambiamenti per saperli affrontare, poiché come ci ricorda Gandhi: «L'adattamento non è camaleontismo, ma indica la capacità di resistere e di assimilare».

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