Bruxelles, perché si torna a parlare dei roghi del Corano

«Sono Abdeslam Jilani, mi sono vendicato per i musulmani. Ho ucciso tre svedesi ora (l'attentatore ne ha colpiti tre, ne sono morti due, ndr.). Si vive per la religione e si muore per la religione. Sono pronto a incontrare Dio felice e sereno». Sono queste le parole che Abdesalem Lassoued ha pronunciato in video dopo avere compiuto, lunedì sera, l'attentato a Bruxelles in cui hanno perso la vita due persone e una terza è rimasta ferita. Immagini pubblicate sui social network che le indagini stanno verificando. Ma questa mattina, in conferenza stampa, il procuratore federale belga Frédéric Van Leeuw ha confermato l'esistenza di un secondo video in cui l'attentatore allude ai roghi del Corano in Svezia. «In un video girato prima dell'attacco, lo stesso individuo appare con il volto coperto da un passamontagna e dichiara che "il libro di Allah è una linea rossa per la quale si sacrifica"». Un riferimento ai testi del Corano bruciati in Svezia nei mesi scorsi?
Il primo ministro svedese Ulf Kristersson si è espresso nella tarda serata di ieri, in una conferenza stampa. «Tutto indica che si tratta di un attacco terroristico mirato alla Svezia e agli svedesi», ha dichiarato. E ha aggiunto che Abdesalem Lassoued aveva soggiornato anche in Svezia ed era conosciuto dalla polizia svedese. Questa mattina, Kristersson ha comunicato che la polizia svedese sta lavorando insieme a quella belaa alle indagini sull'attentato. «Io sono in stretto contatto con il primo ministro belga Alexander De Croo». «I due svedesi assassinati non torneranno mai più a casa. Questa è una perdita inimmaginabile per la loro famiglia, i loro amici e per tutta la Svezia – ha aggiunto –. Viviamo in tempi bui. I terroristi odiano la nostra società libera, ma non permetteremo mai che ci portino via la libertà, non ci riusciranno. Dobbiamo difendere maggiormente i nostri valori e il modo in cui viviamo la nostra vita. Dobbiamo proteggere meglio le vite degli svedesi. Dobbiamo essere più vigili e meno ingenui». Il primo ministro ha pure punzecchiato le autorità belghe: «Quel terrorista era libero nonostante la consapevolezza della radicalizzazione d questo non va bene».
Dal canto suo Annelies Verlinden, ministro dell'Interno belga, intervistata su Radio 1 ha detto: «Le informazioni che abbiamo in questo momento sembrano indicare che l'attacco è collegato a obiettivi svedesi. Potrebbe anche avere legami con la Svezia. Abbiamo qualche idea di un possibile movente, ma è troppo presto per dirlo».
I roghi del Corano
A metà agosto la polizia svedese aveva innalzato il livello di allerta per «minaccia terroristica» per il Paese da 3 (elevato) a 4 (alto) su una scala a cinque livelli. Un'allerta tuttora in vigore – era stata annunciata come «prospettiva strategica di lungo periodo» – legata a timori per le tensioni provocate dai roghi delle copie del Corano, che hanno portato a un aumento della minaccia di attentati terroristici nel Paese e in Danimarca. «La minaccia posta alla Svezia è cambiata gradualmente e la minaccia di attacco rappresentata da attori islamisti violenti è aumentata nell'ultimo anno – aveva allora affermato Charlotte von Essen, direttore generale dei servizi di sicurezza svedesi –. La Svezia è passata dall'essere considerata un obiettivo legittimo per gli attacchi terroristici a essere considerata un obiettivo prioritario. Secondo la nostra valutazione, questa minaccia rimarrà per molto tempo».
Il 3 settembre la polizia ha riferito di vari disordini a Malmö, in reazione alla manifestazione in cui sono state bruciate diverse copie del Corano. Il 18 agosto il libro sacro ai musulmani era stato dato alle fiamme a Stoccolma e il gesto era stato trasmesso in diretta su TikTok. Il 31 luglio pagine del Corano erano state date alle fiamme durante una manifestazione, davanti al parlamento svedese a Stoccolma. Salwan Najem e Salwan Momika, i due protagonisti responsabili, si erano già resi in passato protagonisti di simili azioni a Stoccolma, davanti alla moschea principale della città e successivamente davanti all'ambasciata irachena. Il 25 luglio, un piccolo gruppo di attivisti aveva dato fuoco al Corano davanti alle ambasciate egiziana e turca a Copenaghen. Quattro giorni prima, a Teheran, Baghdad e Beirut, i tre principali centri dell'Islam politico sciita, diverse centinaia di manifestanti erano scesi in strada per protestare contro la profanazione del Corano avvenuta in Svezia.
Il caso
«In Svezia la polizia autorizza il rogo del Corano fuori da una moschea», titolavano a fine giugno molti giornali online internazionali. E si era aperto il dibattito sulla libertà di espressione. La polizia svedese aveva spiegato di avere autorizzato una manifestazione di protesta. L'autorizzazione era arrivata dopo la sentenza della Corte d'Appello che riteneva sbagliato che la polizia rifiutasse la manifestazione a causa del rischio di un attentato. La Corte aveva ritenuto che i rischi per la sicurezza quali motivi per negare un assembramento devono essere direttamente collegati all'assembramento programmato. «La polizia ha autorizzato il raduno» perché «i rischi per la sicurezza e le conseguenze che le autorità possono ritenere connesse a un rogo del Corano non sono di natura tale da poter essere, secondo la normativa vigente, alla base per decidere di rigettare la richiesta di organizzare una manifestazione», avevano scritto nella loro decisione le forze dell'ordine. La polizia, nell'accordare il permesso all'organizzatore, aveva pure precisato che nella Contea di Stoccolma vigeva il divieto di appiccare incendi. «È vero che c'è un divieto di accendere fuochi. Ma la protezione della libertà di parola saldamente sancita dalla costituzione va oltre. In caso di pericolo, interverranno gli agenti», aveva chiarito il portavoce della polizia. Il premier svedese Ulf Kristersson aveva dal canto suo dichiarato che la decisione della polizia di consentire il rogo fosse «legittima ma inappropriata».
Chi c'è dietro queste manifestazioni? Gesti provocatori vengono attribuiti al politico di estrema destra svedese Rasmus Paludan che il 21 gennaio scorso ha dato fuoco a una copia del Corano davanti all'ambasciata turca a Stoccolma. Il 27 gennaio, Paludan aveva fatto la stessa cosa davanti a una moschea di Copenaghen. Le azioni di protesta degli ultimi mesi in Svezia sono invece attribuite a Salwan Momika, 37.enne di origini irachene di religione cristiana, che ha spiegato le ragioni dietro alle sue provocazioni: «Voglio mostrare al mondo che il Corano è più pericoloso delle armi nucleari. Voglio che sia vietato o che i versetti sull'omicidio e l'incitamento all'omicidio siano rimossi da esso. Voglio preservare la libertà di espressione e i valori umani svedesi». Un'inchiesta di France24 ha svelato che Momika in Iraq apparteneva a una milizia cristiana all'interno delle Brigate dell'Imam Ali, un'organizzazione militante legata all'Iran.
Tutto ciò ha suscitato forti proteste dalla comunità islamica, con centinaia di persone che hanno preso d’assalto l’ambasciata svedese a Baghdad e roghi della bandiera svedese in Pakistan, tanto da spingere il Paese scandinavo a condannare moralmente il gesto di Momika, consentito in virtù della libertà di espressione costituzionalmente garantita dal Paese.