Messaggi discriminatori su WhatsApp: sospesi altri 4 agenti a Losanna

Sono quattro le procedure di sospensione immediate avviate oggi, lunedì 1. settembre, dalla Città di Losanna. Sospensioni legate a doppio filo ai messaggi discriminatori circolati su alcuni gruppi WhatsApp che, fra i loro membri, contavano anche membri delle forze del'ordine. Le quattro misure si aggiungono alle quattro sospensioni già pronunciate lunedì scorso.
Il Municipio, in una nota stampa, ha precisato che «tutte le persone che avevano condiviso le immagini rivelate in occasione della conferenza stampa della scorsa settimana e che ancora lavoravano in seno al Corpo di polizia cittadino sono state sospese con effetto immediato». E ancora: «Allo stato attuale, non ci saranno ulteriori sospensioni rispetto all'inchiesta amministrativa». La Città sta pure organizzando, «con un grande studio di avvocati», una struttura destinata ai poliziotti. All'interno della quale i membri delle forze dell'ordine potranno «parlare in maniera confidenziale».
Al contempo, nel comunicato la Città ha fatto chiarezza attorno alle parole «sistemico» e «strutturale» associate al razzismo e ad altri comportamenti discriminatori all'interno del Corpo di polizia losannese. «L'intento, dietro l'uso di questi termini, non è mai stato quello di denunciare un razzismo diffuso all'interno della Polizia municipale di Losanna, ma piuttosto di riconoscere che l'attuale struttura e il funzionamento del Corpo di polizia non sono in grado di individuare, affrontare e prevenire abusi di questo tipo».
Le autorità ritengono che, a volte, la «natura faticosa del lavoro e una certa perdita di significato», aspetti che «richiederebbero cambiamenti nel supporto e nella cultura manageriale», contribuiscano a questi «eccessi». E ancora: «Sappiamo che si tratta di un lavoro difficile, a costante contatto con la delinquenza, la sofferenza, la povertà e l'estrema solitudine» ha spiegato il Comune, indicando di volere che «ognuno debba sentirsi orgoglioso di lavorare per la Polizia municipale di Losanna».
Gli abusi in seno al Corpo di polizia losannese, emersi con forza in questi giorni dopo la morte di un adolescente 17.enne in fuga dalle forze dell'ordine su uno scooter, avrebbero radici profonde. Nel giugno del 2023, come scrive il Blick, la RTS aveva pubblicato una foto che ritraeva un agente della Polizia di Losanna, sorridente e con il pollice alzato, davanti a una scritta su un muro dedicata alla memoria di Mike Ben Peter, un afrodiscendente morto nel 2018 dopo un intervento della Polizia. Questa foto e gli scambi discriminatori via WhatsApp rivelati lo scorso lunedì, in realtà, sarebbero soltanto la punta del'iceberg. Domenica, RTS ha rivelato nuovi risvolti. A dir poco inquietanti.
Innanzitutto, è interessante notare come – a suo tempo – la Polizia avesse annunciato l'avvio di un'indagine interna per chiarire i contorni di quella foto. Un'indagine dovuta, che però non è mai stata avviata come ha confermato la Città di Losanna. Il motivo? Il funzionario incaricato delle indagini apparteneva a uno dei gruppi WhatsApp incriminati. Non finisce qui: 24 Heures ha rivelato che l'organo di vigilanza della Polizia, la Commissione di Gestione del Consiglio comunale losannese, era stato informato dell'esistenza della foto già nel 2019 ma aveva deciso di non intraprendere alcuna azione. La tenacia dell'avvocato della famiglia di Mike Ben Peter, per contro, si era tradotta in una denuncia e in un'indagine esterna aperta dalla Procura vodese. Ed è proprio questa indagine che aveva fatto emergere due gruppi WhatsApp nei quali erano coinvolti decine di agenti. Gruppi in cui circolavano scambi razzisti, sessisti, antisemiti e discriminatori.
RTS, domenica, ha riferito di contenuti ancora più gravi. Un agente, commentando la foto in questione, aveva fatto riferimento a un video in cui un sospettato riceveva dei proiettili in bocca. Il video sarebbe poi stato cancellato, insieme ad altre immagini. Gli abusi, attenzione, sarebbero «usciti» dai gruppi WhatsApp: anche le e-mail professionali, infatti, sarebbero state utilizzate per diffondere commenti razzisti, sessisti e degradanti nei confronti di un collega. Interpellato, il Comune ha assicurato di non avere prove in merito ribadendo che l'indagine penale è ancora in corso.