Alte temperature

Fra mucche e maxi-ventilatori

L'ondata di caldo minaccia la produzione di latte e la produzione di formaggio: in Italia si corre ai ripari attrezzando le stalle
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Red. Online
29.07.2023 19:15

«Il cambiamento climatico è qui. È terrificante. Ed è solo l'inizio». Giovedì, il segretario generale dell'ONU, Antonio Guterres, ha lanciato un appello per una immediata e radicale azione contro il fenomeno che, ormai, è definibile come una vera e propria «ebollizione globale». Il mutamento del clima, per gli scienziati, è inequivocabile e gli umani ne sono responsabili. Tragico che, a pagare lo scotto, non sia solo la nostra specie. I mari, ad esempio, hanno registrato in queste settimane temperature record capaci di ucciderne gli abitanti. In Florida, al largo di Manatee Bay, sono stati superati i 38 gradi. Temperature da vasca idromassaggio, per intenderci, in grado di annientare barriere coralline, pesci, microrganismi

Sulla terraferma a soffrire sono non solo gli animali selvatici, ma anche quelli da compagnia e da reddito. Mentre la vicina Italia si trova a fare i conti con un'ondata di caldo che ha portato non pochi dubbi sul futuro del turismo estivo, qualcuno si è mosso proprio per proteggere dalle alte temperature il bestiame che, in alcune regioni, rappresenta anche un'importante fetta del PIL. Un esempio particolare è stato raccontato in questi giorni dal Financial Times: gli allevatori dell'Emilia-Romagna (produttori di Parmigiano Reggiano), per salvare le proprie mucche dalla canicola, installano da tempo nelle proprie stalle dei maxi-ventilatori: un investimento che, di questi tempi, si sta facendo sempre più oneroso.

Meno latte

Le ondate di caldo mettono in pericolo anche gli animali, dicevamo. Una mucca stressata da alte temperature può infatti ridurre la produzione di latte del 10%. È allora nell'interesse degli allevatori trovare una soluzione per rinfrescare i bovini e metterli a loro agio nonostante il caldo sempre più torrido. Il giornale britannico porta dunque l'esempio emiliano: dalle parti di Parma, per combattere la canicola, gli allevatori installano grandi ventilatori — nelle stalle e nelle aree di alimentazione — da accendere nei giorni più torridi. Non solo: nebulizzatori rilasciano nell'aria quella stessa pioggerellina che, nei negozi, tiene fresco il reparto verdura. Una mossa necessaria: «Le mucche di solito soffrono quando la temperatura supera i 26°C», ha spiegato al Financial Times il presidente della sezione locale di Confagricoltura. E 26 gradi, di questi tempi, non si vedono manco da lontano.

Anni fa, quando questa strategia è stata messa in pratica per la prima volta, i ventilatori potevano essere accesi solo qualche ora al giorno nei mesi più caldi. Oggi, a causa del cambiamento climatico, i sistemi di raffreddamento sono in funzione per cinque mesi all'anno, per un periodo che varia da 16 a 24 ore al giorno.

Questione di costi

L'uso di tutta questa energia, è facilmente intuibile, fa lievitare i costi di produzione. Costi alimentati anche dalla dieta riservata alle mucche. Il regolamento per la produzione di Parmigiano Reggiano prevede che metà del foraggio provenga dalla fattoria in cui vivono gli animali, un altro 25% può provenire da altre fattorie all'interno della zona di produzione del formaggio DOP e solo il 25% può provenire da altre zone. Più facile a dirsi che a farsi: lo scorso anno la siccità ha decimato i raccolti di erba medica (largamente utilizzata come mangime). Quest'anno, invece, a pesare sono state le alluvioni. Mentre in alcune zone il costo del foraggio è cresciuto del 40%, i prezzi del Parmigiano Reggiano sono rimasti stabili.

Secondo i produttori di formaggio, queste sfide potrebbero lasciare alcuni caseifici in difficoltà nel soddisfare le quote di quest'anno, assegnate da un consorzio che regola la produzione di Parmigiano-Reggiano. L'anno scorso la produzione ha registrato un -2,2%. Quest'anno sarà peggio?

Il termine "mucca"

A proposito. Lo sapevate che il termine italiano "mucca" ha legami con lo svizzero tedesco e il Ticino? In origine, la parola utilizzata in Italia per descrivere la femmina del bovino era esclusivamente "vacca" (dal latino vacca). Nel 1700, "mucca" ha cominciato a diffondersi in Emilia e Toscana per distinguere l'esemplare utilizzato anche per i lavori agricoli (vacca) da quello esclusivamente da latte (appunto, mucca). Allora, le vacche da latte venivano importate prevalentemente dalla Svizzera: il termine "mucca" descriveva quindi, solitamente, gli animali provenienti dal nostro Paese, in particolare dal vicino mercato di Lugano. L'etimologia del vocabolo è incerta, ma alcuni dizionari etimologici e la Treccani attestano una probabile correlazione con i termini onomatopeici Mugg, Muchi, Mucheli, Muggeli, che in Svizzera interna indicavano una razza bovina.