Il fenomeno

Gli allevamenti intensivi in Brasile e il vero costo di un «etto di bresaola»

I disboscamenti illegali in Amazzonia e la creazione di nuovi ranch sono dovuti anche alla pressione del mercato europeo e nostrano — Le terribili condizioni nelle quali sono allevati e macellati i bovini brasiliani contribuiscono a problemi sanitari — PUNTATA 2
Giacomo Butti
10.06.2022 10:00

La carne bovina costa. Per il portamonete, sì, ma anche per il clima. Sono fatti di cui si è già parlato e riparlato. Tematiche quali l'emissione di metano causata dall'animale (ogni giorno una mucca può emettere dai 300 ai 500 litri di metano) o il costo ambientale dell'esportazione delle sue carni sono state analizzate da ogni punto di vista. E le soluzioni sembrano poche: a cambiare radicalmente la situazione sarebbe solo il portare meno frequentemente a tavola la bistecca. Ma il problema non riguarda solamente l'allevamento e il trasporto. Le mandrie hanno bisogno di ampi pascoli: a chi "rubare" il terreno dove crescere i bovini? Al bosco, ovviamente. Recentemente, il Washington Post ha pubblicato un'ampia inchiesta sulla relazione fra deforestazione dell'Amazzonia e nascita di nuovi ranch (illegali). Il risultato? Le mappe che mostrano il regredire della foresta coincidono perfettamente con quelle dell'incedere dei nuovi allevamenti. Uno segue l'altro. E gli Stati Uniti giocano un ruolo fondamentale in questo processo: da quando, due anni fa, Washington ha deciso di riammettere l'import di carne cruda brasiliana, il Paese ne è divenuto il secondo principale acquirente. Senza contare che, a prescindere dalla provenienza dei tagli, gli Stati Uniti ne sono anche i più grandi consumatori: pur rappresentando "solo" il 4% della popolazione mondiale, consumano il 20% della sua carne bovina.

Con Greenpeace Svizzera, Animal Equality Italia e l'esperto di Storia dell'Amazzonia Antoine Acker, professore all'Università di Zurigo, abbiamo voluto approfondire l'argomento da un punto di vista ambientale, animale e storico-politico. 

Di seguito, la seconda puntata con l'ONG Animal Equality. Ed ecco la prima puntata con Greenpeace, per chi se la fosse persa.

© Shutterstock
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Dagli allevamenti illegali alle malattie

Ne avevamo già parlato nel corso della prima puntata, Come stiamo divorando l'Amazzonia un hamburger alla volta: per scavalcare i regolamenti relativi l'allevamento di bovini su territori disboscati illegalmente, in Brasile è diffusissima la pratica del cattle laundering, riciclaggio di bovini. Come funziona? È semplice: gli animali vengono scambiati da un ranch all'altro, da uno che non è "in regola" a uno che lo è. In questo modo, ogni (seppur blando) controllo delle autorità brasiliane sulla provenienza degli animali diventa assolutamente inutile. La tracciabilità? Inesistente. E l'impatto sulla salute del bestiame non è indifferente. «Questa pratica opaca e fraudolenta porta ad allargare le aree dedicate all'allevamento intensivo di bovini», evidenzia Chiara Caprio di Animal Equality Italia. Già, perché per quanto molti ranch definiscano "estensivo" il proprio metodo di allevamento, all'aperto e con spazi "verdi", «in realtà sono l'alta densità di animali in uno spazio limitato e la pratica con la quale vengono cresciuti a farne, a tutti gli effetti, allevamenti intensivi». Per questo il cattle laundering porta gravi conseguenze, sottolinea la collaboratrice di Animal Equality. «Ogni specie ha caratteristiche e bisogni etologici. Nel caso dei bovini da carne stiamo parlando di animali che tendenzialmente, in natura, sono definibili come "prede". Il vivere in gruppo così come i rapporti con i propri simili e il territorio sono elementi importanti per questa tipologia di animali». Costringere i bovini a continui spostamenti e rimescolamenti non può dunque fare bene: «È una pratica che non tiene per niente conto delle loro necessità. Senza considerare che questo riciclaggio comporta il trasporto di animali vivi, operazione a cui noi di Animal Equality siamo assolutamente contrari, che sia all'interno dei confini nazionali o verso l'estero».

Il problema della non tracciabilità non sta solo nell'allevamento, ma anche nella macellazione. «La macellazione illegale è diffusissima in Brasile. Anche questa aiuta a confondere le origini dei bovini, tanto da rendere impossibile da determinare se un esemplare provenga o meno da allevamenti nati su foreste disboscate illegalmente. Animal Equality si è occupata di documentare le condizioni in questi macelli: abbiamo riscontrato che, oltre ovviamente a non applicare alcuna norma minima di benessere animale, tali strutture presentano alti tassi di macellazione di mucche incinte (pratica presente anche in Occidente) con feti ormai formati. Stiamo parlando insomma di stabilimenti che non hanno certo come obiettivo il fatto di garantire il benessere animale».

Una cattiva gestione dell'allevamento, una mancata attenzione alla biosicurezza, porta a contagi. È una questione seria che non riguarda solo la salute degli animali ma anche la nostra

E quando non c'è rispetto per le condizioni di vita dell'animale (all'allevamento o al macello), spesso le malattie non tardano ad arrivare. Pensiamo ad esempio all'afta epizootica. La malattia altamente contagiosa che tocca ruminanti e suini era stata riscontrata dalla Food Safety and Inspection Service statunitense: ciò aveva portato a un temporaneo "stop" dell'importazione di carne brasiliana fra il 2017 e il 2020. «La presenza di simili malattie denota condizioni di allevamento non idonee, che tengano in considerazione il benessere animale (ad esempio ignorando la densità massima per spazi limitati)». Caprio allarga il discorso: «Diverse patologie possono trasmettersi dall'animale all'uomo, e viceversa. Pensiamo ad esempio all'aviaria o al caso dei visoni con la COVID-19: una cattiva gestione dell'allevamento, una mancata attenzione alla biosicurezza, porta a contagi. Parliamo insomma di una questione seria che non riguarda solo la salute degli animali ma anche la nostra. Da chi opera nelle strutture a chi consuma i prodotti. Senza considerare che in caso di focolai a essere toccata è la popolazione intera, che consumi o meno i prodotti».

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Il vero costo della bresaola

Prima parlavamo degli Stati Uniti: da soli consumano un quinto della carne bovina mondiale. Molta di essa proviene dal Brasile. Ma il Paese nordamericano non è l'unico ad effettuare grandi importazioni. «Gli accordi commerciali tra America del Sud e del Nord sono specchio di problematiche molto gravi riguardanti consumo e relazioni internazionali. Animal Equality ha chiesto, del resto, che l'Europa rivedesse le proprie politiche sull'importazione di prodotti provenienti dal Sudamerica».

Per la filiera della bresaola, l'Italia importa moltissima carne dal Brasile, contribuendo alla problematica

Basta varcare la frontiera e recarsi in Italia per vedere come la carne brasiliana la faccia da padrone. «La filiera della bresaola ha un grosso impatto», spiega Caprio. Proprio così: il salume è prodotto con le carni di diversi bovini, ma spesso e volentieri proviene da quelle dello zebù, un animale presente in Africa e Asia ma da tempo importato in Brasile e spesso incrociato con un'altra razza bovina utilizzatissima per la bresaola, la charolaise. «Con i suoi prodotti IGP o DOP l'Italia importa tantissima carne dal Brasile, contribuendo alla problematica». Per questo nel mondo intero «è assolutamente necessario un cambio di mentalità. Gli Stati Uniti giocano un ruolo importante: ideatori e promotori dell'allevamento intensivo, hanno contribuito e contribuiscono a questo tipo di consumo non sostenibile e inquinante. A più riprese, con tentativi maldestri, l'Occidente ha provato a diminuire l'impatto climatico e sugli animali dell'allevamento. Ma non può più aggrapparsi al fatto che i Paesi un tempo definiti "emergenti" e ormai consolidati (penso ad esempio a Cina e India) siano oggi grandi inquinatori e sempre più anche consumatori di carne. Nazioni come gli Stati Uniti devono dare l'esempio e prendano atto del proprio impatto presente e passato su questo meccanismo».

È necessario un cambio di mentalità, uno che riduca drasticamente il consumo di carni e altri derivati animali. Il consumatore ben informato prende già decisioni simili: i prodotti vegetali alternativi alla carne sono sempre più diffusi

Di qui l'appello: «Animal Equality è assolutamente a favore di una drastica diminuzione del consumo di carni e altri derivati animali. Ovviamente siamo a favore di una dieta a base vegetale, che riteniamo sia la più sostenibile e gestibile per il nostro organismo, ma sappiamo che un cambiamento a livello globale prenderà ben più di 15-20 anni. L'allevamento è un sistema economico, è necessaria un'intera transizione. L'Olanda oggi dice "dobbiamo ridurre del 30% il numero di animali allevati nel nostro Paese". Vanno prese dappertutto misure simili. Del resto il consumatore ben informato prende autonomamente decisioni simili: in Svizzera come in Italia, prodotti alternativi alla carne sono sempre più diffusi».

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