Le rivelazioni

La spy story attorno a Steve Witkoff non ferma la trattativa sull’Ucraina

Bloomberg ha pubblicato le trascrizioni di due telefonate che l’inviato speciale della Casa Bianca ha fatto ai negoziatori russi – Il Cremlino accusa: la talpa è negli uffici di Washington, e nel frattempo ribadisce di non voler cedere sui punti in sospeso
Il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin (a sinistra) con l’inviato speciale USA Steve Witkoff. ©Gavriil Grigorov
Dario Campione
26.11.2025 23:09

Telefonate segretissime finite sui nastri di qualche spia e girate a uno dei siti d’informazione più noti degli Stati Uniti. Piani di pace che sarebbero dovuti rimanere riservati e che sono, invece, finiti sulle pagine dei giornali di tutto il mondo, per essere poi letteralmente buttati nel cestino. Manovre sotterranee di ogni genere. E l’irritazione - ma è un eufemismo - di chi sperava che la trattativa rimanesse sottotraccia per giungere a una decisione a due di cui tutti gli altri avrebbero dovuto semplicemente prendere atto.

Il negoziato su una possibile pace in Ucraina si è trasformato, nelle ultime ore, in una spy story degna dei momenti più caldi della Guerra fredda. L’ultimo tassello di questo strambo mosaico ha avuto come protagonista l’inviato speciale della Casa Bianca, Steve Witkoff, il quale non soltanto avrebbe spiegato ai russi come entrare nelle grazie di Donald Trump, ma sarebbe stato il principale sostenitore di un piano di pace - diventato poi il documento in 28 punti dello stesso Trump - fortemente inclinato verso le richieste russe. Una bozza che imponeva all’Ucraina di cedere l’intera regione del Donbass al Cremlino (compresi i territori non ancora conquistati militarmente), di ridurre drasticamente gli effettivi delle proprie forze armate e di non aderire mai in futuro alla NATO.

Le trascrizioni

Due telefonate rivelate da Bloomberg News - una tra Witkoff e il principale negoziatore del Cremlino, Yuri Ushakov, e un’altra tra Ushakov e Kirill Dmitriev, consigliere personale di Vladimir Putin e capo del fondo sovrano russo che si occupa di investimenti all’estero - hanno messo totalmente a nudo il modo di agire dell’inviato speciale di Trump, e sollevato un putiferio soprattutto all’interno della maggioranza che sostiene il presidente degli Stati Uniti.

Bloomberg News ha pubblicato il suo clamoroso scoop senza firma e senza alcuna indicazione specifica, chiaramente per non dare il minimo indizio sull’identità della fonte. Il portale americano ha spiegato soltanto di aver «revisionato e trascritto l’audio».

Nessuno, nel sistema mediatico USA, ha messo in discussione la veridicità dell’informazione. Ma, paradossalmente, ad attestare l’autenticità della notizia ci hanno pensato prima i russi e poi la stessa Casa Bianca.

Intervistato dal quotidiano moscovita Kommersant - giornale di proprietà del miliardario uzbeko Ališer Burchanovič Usmanov, imprenditore a capo del colosso russo della telefonia mobile MegaFon - Yuri Ushakov ha detto che le sue conversazioni con Witkoff non erano destinate alla pubblicazione e non dovevano, per questo, essere rese note. «Quanto accaduto è inaccettabile, la fuga di notizie è stata chiaramente volta a ostacolare le discussioni tra Russia e Stati Uniti». Peraltro, Ushakov ha spiegato che alcune delle sue conversazioni sono state condotte tramite canali governativi criptati. Un’affermazione volta a suggerire come la talpa sia da cercare tra i pochi funzionari di Washington che hanno avuto accesso a questo genere di file.

Poche ore dopo, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, in una dichiarazione riportata dall’agenzia Ria Novosti, ha spiegato come «le voci che ora si stanno facendo sentire - “licenziate Witkoff” - mirano principalmente a interrompere le tendenze finora modeste verso il raggiungimento di un accordo. Deragliano il fragile processo per un accordo di pace in Ucraina». E in relazione alle rivelazioni di Bloomberg, Peskov - poco abituato alla libertà di stampa dei sistemi di democrazia liberale - ha chiosato: «la parola “rispettabilità”, in relazione ai media occidentali, forse non dovrebbe più essere usata».

Realismo indigesto

Come detto, nemmeno la Casa Bianca ha contestato la veridicità della trascrizione del portale newyorkese. Anzi: Donald Trump ha descritto l’approccio di Witkoff verso i russi come una procedura negoziale standard. «Deve vendere questo all’Ucraina. Deve vendere l’Ucraina alla Russia - ha detto il presidente ai giornalisti - È quello che fa un negoziatore».

Un realismo che, però, non è piaciuto a molti parlamentari repubblicani. Alcuni di loro sono arrivati a chiedere persino la rimozione dell’inviato speciale. Con il deputato del Nebraska, Don Bacon, che si è spinto sino ad affermare l’impossibilità di dare credito ancora a Witkoff. «Non ci si può fidare di lui per guidare queste trattative. Un agente russo pagato farebbe meno di lui? Dovrebbe essere licenziato», ha detto Bacon.

Witkoff, però, va avanti. Con il benestare di Trump. Sempre oggi, Yuri Ushakov ha infatti confermato a Pavel Zarubin, giornalista di Rossiya 1, principale canale televisivo pubblico russo, che l’inviato speciale americano sarà a Mosca «la prossima settimana, insieme con rappresentanti dell’amministrazione di Washington legati agli affari ucraini». La trattativa, quindi, continua, anche se non è chiaro su quali basi. Al momento, l’unico documento sul tavolo è quello rivisto da Ucraina e Unione Europea, i «19 punti» di cui ha parlato il segretario di Stato USA Marco Rubio a Ginevra, domenica scorsa.

Un documento, va da sé, che non piace al Cremlino. «La Russia non farà concessioni sulle questioni fondamentali che riguardano il conflitto in Ucraina - ha detto il viceministro degli Esteri di Mosca, Sergey Ryabkov - accogliamo con favore lo sforzo americano ma non possiamo parlare di concessioni o di passi indietro nel nostro approccio sui punti chiave per la risoluzione delle questioni in sospeso». No, quindi, all’ingresso di Kiev nella NATO, no al ritiro dal Donbass, no all’uso dei fondi russi congelati per ripagare i danni di guerra.

Interessante, nelle parole di Ryabkov, il richiamo diretto al vertice in Alaska tra i presidenti di USA e Russia: «Alcuni elementi dell’incontro di Anchorage rappresentano già di per sé delle soluzioni di compromesso, come ha affermato anche Putin», ha specificato Ryabkov, che ha poi avvertito che, per il momento, la Russia «non è disposta a discutere pubblicamente alcun dettaglio» del piano di pace, comprese le sue varie versioni.

Altrettanto interessante la specificazione che il viceministro ha fatto riguardo a Pechino. «Per quanto riguarda ogni tentativo di soluzione diplomatica alla guerra, Mosca è in costante contatto con la Cina», ha detto Ryabkov. Come a ricordare a Trump l’inutilità di un tentativo americano di far uscire la Russia dall’orbita dell’alleato asiatico.