Il rapporto

«Le sanzioni colpiranno: l'economia russa in crisi almeno fino al 2030»

Bloomberg riporta il contenuto di un documento redatto da esperti russi per il Cremlino: «Settori chiave a rischio» - Ma sulle misure contro Mosca regna il malcontento
Michele Montanari
06.09.2022 16:36

«Le sanzioni dell’Occidente colpiranno l’economia russa?». La domanda che da mesi è sulla bocca dell'opinione pubblica e provoca malumori a tutte le latitudini per via della crisi energetica e dell'aumento generale dei costi sembra aver trovato una risposta: sì, ma ci vorrà ancora un po’ di tempo. Lo scrive Bloomberg dopo aver visionato la copia di un rapporto preparato da esperti economisti per i funzionari del Cremlino. Stando al documento, la Russia potrebbe trovarsi ad affrontare una «recessione più lunga e più profonda con l'estendersi dell'impatto delle sanzioni statunitensi ed europee». Le sanzioni andrebbero infatti a «penalizzare» i settori su cui il Paese di Putin ha fatto «affidamento in questi anni per alimentare la sua economia». Il documento è stato redatto in vista di una riunione «a porte chiuse» degli alti funzionari avvenuta lo scorso 30 agosto ed è il risultato di mesi di lavoro. Gli economisti hanno cercato di valutare il vero impatto dell'isolamento finanziario della Russia in seguito all'invasione dell'Ucraina. Ciò che emerge è un quadro decisamente meno idilliaco rispetto a quanto Mosca sta cercando di far credere alla popolazione e al mondo, visto che gli esperti ufficialmente stimano una contrazione inferiore al 3% che dovrebbe addirittura ridursi nel 2023. Il rapporto dice altro: due dei tre possibili scenari riportati nel documento mostrano che la contrazione in Russia accelererà il prossimo anno e l'economia tornerà al livello prebellico solo alla fine del 2030, se non addirittura successivamente. Il modello cosiddetto «inerziale» vede l'economia toccare il fondo nel 2023, con un -8,3% rispetto al 2021, mentre lo scenario definito «di stress» indica il punto più basso nel 2024, con un calo dell’11,9% rispetto all’anno scorso. Gli scenari descritti sono quelli che tengono in considerazione una stretta delle sanzioni, supponendo che altri Paesi aderiscano facendo «terra bruciata» intorno alla Russia.

A rischio i settori trainanti dell'economia

Secondo il rapporto inoltre il graduale abbandono europeo del petrolio e del gas russo potrebbe anche incidere sulla «capacità del Cremlino di rifornire il proprio mercato». La Russia non si trova in difficoltà solo per quanto concerne le importazioni e le esportazioni, ma – evidenzia il rapporto – anche per il «blocco» che «ha colpito praticamente tutte le forme di trasporto», tagliando ulteriormente l'economia del Paese. Si teme inoltre una fuga di cervelli nel settore dell’informatica: il documento stima che fino a 200.000 specialisti potrebbero lasciare il Paese entro il 2025. Si prevede anche che nel giro di massimo due anni potrebbe arrivare una «riduzione dei volumi di produzione in molti settori orientati all'esportazione, che cesseranno di essere il motore dell’economia»: il solo taglio completo del gas in Europa potrebbe costare fino a 400 miliardi di rubli (6,6 miliardi di dollari) all'anno e non sarà «possibile compensare completamente le mancate vendite con i nuovi mercati». Le esportazioni di petrolio, gas e metalli saranno le prime ad essere colpite, ma non le sole: il problema riguarderà anche i prodotti chimici e il legno. Anche i settori che più dipendono dall'Occidente subiranno pesanti contraccolpi. Tra questi si citano l’agricoltura, l’aviazione, l'industria automobilistica, i prodotti farmaceutici, i trasporti e l’informatica. Secondo l’economista russo Alexander Isakov, citato sempre da Bloomberg, la crescita potenziale della Russia «è destinata a ridursi allo 0,5%-1,0% nel prossimo decennio. Successivamente, si ridurrà ulteriormente, fino a poco al di sopra dello zero entro il 2050», questo a causa del mancato accesso alle tecnologie occidentali, della fuga delle società straniere dal Paese e dei «venti contrari demografici».

Divisi sulle sanzioni

Vista l'attuale crisi energetica che porterà le famiglie e le imprese a ritrovarsi bollette sempre più care, le misure contro la Russia da tempo dividono opinione pubblica, esperti e politici: nel breve periodo sembrano infatti aver colpito più i sanzionatori che i sanzionati. In Paesi come l'Italia, che tra una ventina di giorni andrà alle elezioni, potrebbe addirittura insaturarsi un governo con membri contrari alle mosse dell'UE per fermare l'invasione dell'Ucraina. Un politico come Matteo Salvini, ad esempio, durante la sua campagna elettorale sta criticando apertamente le restrizioni verso Mosca: «Se vogliamo andare avanti con le sanzioni, facciamolo, vogliamo proteggere l'Ucraina, ma non vorrei che danneggiassimo noi stessi invece dei sanzionati», ha recentemente dichiarato il leader leghista. E non è la sola voce fuori dal coro: anche capi di Governo sono contrari alla politica contro la Russia. Il primo ministro ungherese Viktor Orban negli scorsi mesi è arrivato a definire le sanzioni come una «bomba atomica» sull'Ungheria mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan proprio quest'oggi ha dichiarato che i problemi per l'approvvigionamento di energia in Europa sono causati dalle sanzioni imposte dai Paesi europei, che ora «raccolgono ciò che hanno seminato». Dubbi sono arrivati di recente anche dall'Economist, secondo cui le misure non stanno dando i frutti sperati e questo perché, sostiene Eleonora Tafuro, ricercatrice dell'ISPI di Milano, «le sanzioni non sono applicate in modo uniforme da tutti gli attori economici rilevanti per la Russia». Insomma, l'Occidente dovrà tener duro come minimo fino al 2023 per vedere segni di cedimento evidenti nell'economia russa, come indicato nel rapporto diffuso da Bloomberg. L'alto rappresentante della politica estera UE Josep Borrell, proprio sulle pagine del CdT, ha spiegato che le misure occidentali «stanno già colpendo duramente Vladimir Putin e i suoi complici, e gli effetti sull'economia russa aumenteranno nel tempo». Borrell ha riconosciuto che le sanzioni creano delle difficoltà anche a noi, ma «questo è il prezzo che dobbiamo pagare per difendere la democrazia e il diritto internazionale».

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